Quando
la fiction aiuta a riflettere
di Mirella
Poggialini
Un tema scottante,
con implicazioni che di solito si evitano, quello delle “stragi del sabato sera”.
E ben fa la Rai – che ha già affrontato il tema attuale delle separazioni
matrimoniali in una precedente fiction – a proporre una vicenda nella quale la
crudezza della cronaca non viene velata con buonismo inopportuno. Peccato che
La vita che corre, che lunedì ha portato a Raiuno 6 milioni di spettatori
(share 20,58%), saliti martedì a 6.340.000 (share 22,15%), abbia impegnato un
cast con alcuni efficaci protagonisti in
una soap dall’andamento prevedibile, in cui la forza dei temi e delle
situazioni si è spesso stemperata in sceneggiatura mielosa. Perché Enzo Decaro,
il padre-insegnante che scopre con angoscia un mondo che dovrebbe conoscere e
che invece ignora, è una figura convincente, così come il figlio perfettino, il
giovane medico che finge una moralità tutta ambigua, un bravo Flavio Parenti:
altri personaggi invece echeggiano stereotipi delle serie popolari e risultano
meno persuasivi. Ed è invece la duplicità di quanto appare a rendere vera la
storia: perché il figlio “sbandato”, quello che muore nell’incidente, è il
colpevole sottolineato, drogato e spacciatore, ma è soprattutto il fratello
maggiore, l’inappuntabile dottorino, suo complice ben mascherato, a rendere la
complessità di una situazione nella quale il rapporto con la droga – sovente causa
degli incidenti stradali che fanno strage di giovani – risulta sfaccettata e
sfumata da un’accettazione sociale (non se ne parla, si compatisce e non si
condanna) che è invece indiretta permissività. Resta il fatto che la storia,
narrata con molti elementi tratti dalla cronaca quotidiana da Fabrizio Costa,
colpisce per la sua attualità e per i problemi che pone: lo “sballo” dei
giovani, il denaro facile, l’incomprensione dei genitori che sfuggono a verità
penose. Una storia dura e forse anche utile, come riflessione amara sul nostro
mondo.
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