da: l’Espresso
Roberto
Mancini aveva indagato sui rifiuti tossici nella Terra dei Fuochi. Pochi giorni
fa è morto di tumore, “malattia professionale”. Ma tra i suoi colleghi che
difendono i loro compagni accusati di violenze, nessuno si ricorda di lui
La realtà è sempre complessa e lo è ancor
di più se si prova a renderla facile, a semplificarla per guadagnare il
consenso. O quando si tenta di appiattirla al servizio di comode logiche di appartenenza.
Nonostante io sia scortato dai Carabinieri, e conosca talento e abnegazione
degli uomini dell’Arma, non posso ignorare che i casi di Stefano Cucchi e
Riccardo Magherini gettano ombre sulle forze dell’ordine, e le gettano tanto
più perché la prima reazione delle autorità è stata tentare di minimizzare.
Di fronte ai sospetti dell’opinione
pubblica chi dovrebbe rendere conto con chiarezza ai cittadini tende a
rispondere derubricando i comportamenti violenti dei poliziotti in eccessi
colposi. Lo fanno per difendersi meglio sul piano giuridico, ma questo
determina la sostanza, e finisce per erodere la credibilità delle istituzioni.
C’è un’altra strategia poi, sempre la
stessa, intollerabile. Si scava nella vita del morto per dimostrare che era un
poco di buono. Che era un drogato. Che era
un disadattato, un marginale. E così
l’attenzione si concentra su vizi presunti o reali del morto senza chiedere
conto a chi lo ha visto vivo per l’ultima volta come quel corpo si sia
procurato ferite e contusioni mortali.
Ci sono poi fatti che non possono passare
sotto silenzio e che non è possibile non stigmatizzare. L’applauso ai
poliziotti condannati per l’omicidio di Federico Aldrovandi durante il
congresso del Sindacato autonomo di Polizia (Sap) è un atto vergognoso, ma
l’indignazione non basta più.
La strategia è ormai chiara: garantire ai
poliziotti la serenità che qualunque cosa accada – possono sbagliare, finanche
uccidere ed essere condannati – quel sindacato sarà sempre al loro fianco. Il
segretario generale del Sap, Gianni Tonelli, trova spazio sulla peggiore stampa
italiana, e da quei pulpiti arriva ad affermare una cosa che fa accapponare la
pelle, ovvero che la polizia è stanca di stare sulla difensiva. Affermazione
gravissima, che varrà la pena di ricordare quando il prossimo poliziotto
calpesterà un essere umano credendolo uno zaino.
C’è poi il meccanismo per disinnescare le
critiche che fa leva sull’eroismo e sull’onestà della stragrande maggioranza di
poliziotti e carabinieri. Se un poliziotto sbaglia, si ricorda la scorta di
Giovanni Falcone morta durante il servizio, senza farsi scrupoli nell’accostare
persone oneste morte da eroi ad assassini in divisa. Spacciano l’appartenenza
al corpo per garanzia, ma le azioni e le volontà sono individuali. Un uomo
salvato da un poliziotto non giustifica un uomo ammazzato o maltrattato da un
altro poliziotto: è una banalità, ma deve essere chiara, altrimenti non sarà
mai possibile raccontare un’altra polizia. Una polizia che non riceve applausi,
che lavora in silenzio, che vive e muore in silenzio.
Roberto Mancini è stato un poliziotto vero.
È morto lo scorso 30 aprile, ucciso da un tumore sviluppato per aver fatto bene
il proprio lavoro. Da commissario della Criminalpol, negli anni Novanta,
Mancini aveva indagato sul traffico di rifiuti tossici in Campania e compiuto
continui sopralluoghi nella Terra dei fuochi. Già nel 1996 aveva denunciato un
consistente e pericoloso traffico di rifiuti, facendo nomi e cognomi. Uno dei
protagonisti assoluti di quel traffico, l’avvocato Cipriano Chianese, oggi è
agli arresti domiciliari dopo che – secondo le accuse – avrebbe smaltito
illegalmente rifiuti provenienti dal Nord, costruendo un impero economico. A
Chianese sono stati confiscati beni per 82 milioni di euro; Mancini ha ricevuto
dallo Stato solo 5mila euro come indennizzo per il cancro che alla fine l’ha
portato alla morte.
Ho cercato ovunque una dichiarazione di
Gianni Tonelli su Roberto Mancini, ma non ho trovato nulla.
Dopo Genova, dopo i casi Cucchi, Uva,
Aldrovandi, non possiamo più solo indignarci. C’è bisogno di una riforma
legislativa a tutela della stragrande maggioranza di poliziotti e carabinieri
che svolgono il proprio lavoro con senso di responsabilità. È il momento di
introdurre il reato di tortura. Solo in questo modo si darà la possibilità
effettiva al cittadino di sentirsi tutelato. E ai corpi di polizia di non
vedere sviliti il loro lavoro e la loro credibilità a causa di chi non merita
di vestire alcuna divisa.
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