da: Il Fatto Quotidiano
Banche,
promotori e fondi pensione: la giungla del risparmio. Ecco come salvarsi
Gestione
o fai da te? I risparmiatori sono in balìa di consulenti, ostaggi di spese e
commissioni. Ma non solo. I piani previdenziali rischiano di diventare una
trappola senza uscita. E i controlli in Italia sono blandi. Ecco le possibili
vie di fuga
di
Beppe Scienza
I fondi comuni d’investimento hanno molti
pregi. Permettono infatti a chi li gestisce di portare via tanti soldi ai
risparmiatori. Ci sono, ad esempio, le commissioni di ingresso, di uscita, di
passaggio da un prodotto all’altro, di gestione, di incentivo. Presentano poi
una notevole opacità, per cui l’investitore non può scoprire perché magari ci
ha rimesso. A ciò si aggiunge la possibilità di dislocare la gestione
all’estero e aggirare così i blandi controlli previsti in Italia.
Ma i fondi comuni hanno anche un difetto.
Capita infatti che qualche risparmiatore si renda conto di essere stato fatto
fesso. E così disinveste, riprendendosi quanto è sopravvissuto alla gestione
professionale. La soluzione
per impedirlo si chiama previdenza integrativa. Chi
sciaguratamente ha sottoscritto un fondo pensione o un piano individuale
previdenziale (Pip), può tutt’al più cessare i versamenti, ma non può
riprendere i propri soldi. Se poi, colmo della disgrazia, vi ha destinato il
proprio Tfr, non può neppure impedire che vi confluisca anche quello che
maturerà in futuro. In questo modo i risparmi finiti in un fondo o Pip, restano
“sequestrati” anche per 30-40 anni. Così gestori e assicuratori hanno modo di
lucrare commissioni, provvigioni ecc. per i decenni a venire.
Tutto ciò spiega perché gli uni e gli altri
siano oggetto di un attacco combinato da parte di banche, Poste, promotori
finanziari, e pure sindacati.
La previdenza integrativa non sarebbe
un’idea insensata. Il problema è come si è concretizzata in Italia. Essa è
infatti diventata un ramo d’azienda dell’industria parassitaria del risparmio
gestito, mentre avrebbe potuto essere diverso. Non c’è motivo di sottoscrivere
fondi pensione o Pip, salvo che per una possibile elusione fiscale. Ma la
deducibilità o la detraibilità sono di regola un inganno: anziché dare soldi
all’Agenzia delle Entrate, si danno a un fondo o all’assicurazione scoprendolo
solo alla fine di averci rimesso; o non scoprendolo, perché i confronti possono
essere complessi. Il pericolo di una modifica in peggio del trattamento
fiscale, inoltre, è sempre in agguato come è già capitato più volte.
In ogni caso il vincolo temporale è
pesantissimo e nessun prodotto offre valide garanzie in potere di acquisto per
il capitale e/o la rendita cui dà diritto. I rischi di malversazione sono
addirittura maggiori che coi fondi comuni, a causa di un’opacità ancor
peggiore.
Come sempre nell’ambito degli investimenti,
alle menzogne raccontate a voce dai venditori, si aggiungono i consigli per gli
acquisti di pretesi esperti in articoli e interviste. Anche da parte delle
associazioni di consumatori nessuna voce critica e anzi apprezzamenti
infondati, spiegabili con connivenze più o meno palesi.
Si aggiungono poi le trappole della
pubblicità. Un esempio recente è dato dalla compagnia on line delle
Assicurazioni Generali che reclamizza “Pensiononline, il piano pensione che
assicura il tuo gran finale” anche a partire da 50 euro al mese sbandierando un
“Rendimento al 4,30%” che appare molto allettante. Nella nota si legge che esso
si riferisce al 2013 per la gestione separata Ri.Alto Previdenza e che nel 2012
era stato il 4,56%, nel 2011 il 4,66% e così via. È anche scritto che “i
rendimenti passati non sono necessariamente indicativi di quelli futuri”,
affermazione doppiamente ingannevole.
Per cominciare l’espressione “non
necessariamente indicativi” è una furbata per far credere che siano comunque
indicativi, cosa che per i rendimenti passati non vale mai. Ma c’è di peggio. A
valle di un periodo di discesa dei tassi, i rendimenti passati sono stati
strutturalmente gonfiati da tale fenomeno, che però non può ripetersi per
ineludibili motivi matematico-finanziari.
Per cui quelle percentuali sono il
contrario che indicative. Né è una scusante che analoga scorrettezza abbia
computo la Covip, organo di vigilanza, per svilire i rendimenti del Tfr.
Risparmiare per la vecchiaia è certo
consigliabile ma per cominciare è basilare regola di prudenza proteggersi
dall’inflazione, che è stata la causa delle peggiori batoste previdenziali
negli ultimi cent’anni. È vero che ora essa è bassa e magari lo resterà per un
po’, ma nulla garantisce (e anzi è improbabile) che tale rimanga per molti
anni. Sono quindi consigliabili impieghi agganciati ai prezzi al consumo. Tale
scelta ora come ora non appare penalizzante: i titoli reali offrono rendimenti
che con l’inflazione attuale sono grosso modo allineati a quelli dei titoli a
tasso fisso o variabile; e diventeranno però maggiori se l’inflazione riparte.
Impieghi con tali caratteristiche sono gli
specifici titoli di Stato italiani. Ma vanno bene anche i buoni fruttiferi
postali indicizzati all’inflazione, coi loro vantaggi (assenza rischio di
mercato e di costi) e svantaggi (rendimento a scadenza un po’ inferiore e
durata massima 10 anni).
Soprattutto bisogna mantenere il controllo
diretto dei propri risparmi, evitando qualunque forma di gestione o delega. E
quindi i fondi pensione, aperti e chiusi, i piani individuali previdenziali, ma
anche i fondi comuni e simili, eventualmente interrompendo i versamenti.
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