mercoledì 21 maggio 2014

Jack London: Il richiamo della foresta / 3



Il primo giorno trascorso da Buck sulla spiaggia di Dyea fu simile a un incubo. Ogni ora fu piena di sorprese e di violente emozioni. Improvvisamente strappato dal cuore della civiltà, era stato gettato nel mezzo di un mondo primordiale. Questa non era una vita oziosa, passata sotto il sole, senza altro da fare che passeggiate e annoiarsi. Qui non c’erano né pace, né un momento di riposo, né sicurezza. Tutto era confusione e attività, si rischiava costantemente la vita. Era assolutamente necessario stare sempre all’erta, perché questi uomini e questi cani non erano uomini e cani di città. Erano dei selvaggi, gli uni e gli altri, che non conoscevano altra legge che quella del bastone e della zanna.
Mai aveva visto combattere come queste creature simili a lupi e la sua prima esperienza fu una lezione indimenticabile. Fu un’esperienza indiretta, è vero, altrimenti non sarebbe sopravvissuto per trarne profitto. Curly ne fu la vittima. Erano accampati presso un deposito di legname e la cagna, col suo fare socievole, tentò di avvicinarsi a un husky, grosso come un lupo adulto, ma neppure la metà di lei. Non ci fu preavviso: soltanto un balzo fulmineo, lo scatto metallico dei denti, un secondo balzo altrettanto rapido, e il muso di Curly era squarciato dall’occhio alla mascella.

Era quello il modo di combattere dei lupi: colpire e balzare indietro; ma la vicenda non finì lì. Trenta o quaranta husky accorsero e circondarono i due combattenti, formando un cerchio interessato e silenzioso. Buck dapprima non riuscì a comprendere quella muta attenzione, né la bramosia con cui i cani si leccavano la bocca. Curly aggredì il suo avversario, che di nuovo la colpì e balzò da parte. Al successivo assalto, il cane l’affrontò di petto, in un modo del tutto insolito che le fece perdere l’equilibrio. Curly non riuscì più a rialzarsi. Era quello che gli huskies aspettavano. Le si strinsero addosso, ringhiando e latrando, e la seppellirono, mentre urlava disperata sotto la massa dei loro corpi irsuti. Tutto accadde in un modo tanto rapido e inatteso che Buck rimase sconcertato. Vide Spitz passarsi la lingua rossa sulle labbra con quel suo modo di ridere, e vide François gettarsi fra i cani, brandendo un’ascia. Altri uomini armati di bastone lo aiutavano a disperdere il branco. Non ci volle molto. Pochi minuti dopo che Curly era caduta, gli ultimi assalitori venivano scacciati a bastonate, ma lei giaceva inerte e senza vita sulla neve calpestata, in un lago di sangue, quasi letteralmente fatta a brandelli, mentro lo scuro mezzosangue, curvo su di lei, imprecava orribilmente. Questa scena tornò spesso a turbare i sonni di Buck. Dunque le cose stavano così. Il gioco non era leale e una volta a terra, era la fine. Ebbene, avrebbe fatto in modo di non finire a terra. Spitz tirò fuori la lingua e rise ancora, e da quel momento Buck lo odiò di un odio implacabile e mortale.


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