da: Lettera 43
Minacciata nel suo monopolio, la più
corporativa delle categorie italiane è scesa sul piede di guerra. Ma il nuovo
servizio è il futuro. E costa meno.
Il
centro di Milano bloccato dai tassisti in rivolta, la polizia in tenuta anti
sommossa che ne contiene la rabbia. Teatro: la centralissima corso Venezia, i
giardini di Palestro e un festival di grande richiamo, quello organizzato dalla
rivista Wired. Il cui torto, sabato 17 maggio, è stato quello di ospitare un
dibattito su mobilità e trasporto urbano invitando la responsabile italiana di
Uber, l’applicazione per telefonini che consente a chi ne ha bisogno di
rintracciare una macchina con autista e di usufruirne dei servizi a un prezzo
generalmente molto inferiore a quello dei taxi.
Apriti
cielo. Minacciata nel suo regime di monopolio, la più corporativa delle categorie
italiane è scesa sul piede di guerra. Lo ha fatto forte del
suo potere condizionante, tale per cui nessuna pubblica amministrazione ha mai
osato scalfirne i privilegi, e del ricatto in base al quale, incrociando le
braccia, si precipita nel caos la viabilità di una città le cui ambizioni
metropolitane sono frustrate dalla sua lacunosa rete di trasporto pubblico . A
tal punto che, quando
i tassisti scioperano, Milano e le sue strette vie
soccombono sotto il peso di un inestricabile groviglio di auto. QUEI TASSISTI CONSERVATORI. Come ogni monopolista che si rispetti, la categoria non ammetterebbe neanche sotto tortura di godere di una sfacciata rendita di posizione. Imprigionata in un obsoleto meccanismo di costose licenze, gelosa delle proprie prerogative, combatte il nuovo che avanza con argomentazioni pretestuose. A dire dei 5 mila tassisti meneghini, Uber sarebbe il paravento dietro cui si nascondono autisti improvvisati che mettono a grave rischio la sicurezza dei passeggeri.
UBER
FUNZIONA. Insomma, dietro l’innovazione tecnologica ci sarebbe solo una
marmaglia di abusivi che fa dumping selvaggio sulle tariffe. Naturalmente
chiunque abbia provato Uber sa che non è così. Che, tranne qualche eccezione,
il servizio è puntuale ed efficiente. E, quel che conta in tempi di crisi, che
è più economico.
Perché,
e questa è la nota dolente di cui su cui i tassisti non vogliono sentir
ragione, il loro servizio ha un costo spropositato che oggi la stragrande
maggioranza dei cittadini non si può permettere.
LA
COLPA DELLE AMMINISTRAZIONI. Protetti da un meccanismo di prezzi i cui rialzi e
balzelli le pubbliche amministrazioni hanno sempre accettato nella paura di
perdere il consenso, ovvero i voti, della categoria, i tassisti hanno sin qui
dettato legge.
A
Milano, giusto per citare due note dolenti, sono riusciti a impedire che dal
vicinissimo aeroporto di Linate al centro non ci fosse una linea metropolitana
di collegamento.
Più
di recente, hanno ottenuto che il supplemento per le corse notturne scatti alle
nove di sera. Il che, in una città dove fortunatamente la gente ancora esce -
sabato notte, tra Piano festival e Wired il centro brulicava - è un paradossale
quanto ingiustificato balzello.
TRA
CASTA E CONCORRENZA. Ora, di fronte all’annuncio di nuovi scioperi (il primo
annunciato per l’11 giugno) l’Amministrazione, ovvero la politica, deve fare la
voce grossa e non cedere. Dalla sua ha l’appoggio di gran parte della
cittadinanza, che verso la protervia dei tassisti ha maturato una tracimante
insofferenza, oltre che una dirimente questione di merito. Se c’è un’azienda
che, fatta salva serietà e sicurezza, assicura un servizio a costi inferiori a
beneficio di chi ne usufruisce, l’ente locale deve assicurare le condizioni
perché esse possa esercitare la sua attività.
Se
i tassisti vorranno, combattano Uber in nome del mercato e della libera
concorrenza offrendo prezzi migliori, e non facendo le barricate o minacciando
serrate. Cosa che, in preda al più becero corporativismo, non hanno nessuna
intenzione di fare.
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