venerdì 9 maggio 2014

Marco Travaglio: “L’audace colpo dei soliti noti”



da: Il Fatto Quotidiano

A dispetto dei disfattisti, dei rosiconi e dei gufi sempre pronti a denigrare l’Italia, la doppia retata di ieri ha portato un sacco di buone notizie.
1) Il Paese è più unito che mai, da Milano a Reggio Calabria, attorno all’unica industria che ancora tira: il crimine, più o meno organizzato. 2) Con buona pace delle malelingue, sempre pronte a denunciare i gravi ritardi di Expo 2015, le tangenti e gli appalti truccati sono addirittura in anticipo, quindi tutto bene: prima o poi si faranno anche i lavori, anche perché chi ha sganciato le mazzette ha il sacrosanto diritto di essere pagato. 3) Non era vero, come sostenevano i giudici calunniatori, che Scajola fosse innocente: semplicemente, era sbagliato il reato. Mentre tutti si lasciavano distrarre da quei quattro spicci pagati a sua insaputa per la casa con vista Colosseo, lui faceva scappare all’estero un amico condannato per ’ndrangheta. E pensare che B., appena saputo dell’assoluzione, ci era rimasto male e l’aveva levato dalle liste di Forza Italia, in quanto incensurato e dunque impresentabile, per non perdere voti. Neppure Alfano l’aveva voluto nel Ncd, il che è tutto dire.
Ora che Sciaboletta è tornato al gabbio, al prossimo giro lo ricandidano di sicuro. A meno che non si faccia di nuovo assolvere, si capisce, rovinandosi irrimediabilmente l’immagine: ci mancherebbe pure che fosse un’altra volta innocente.


A tante buone notizie fa purtroppo da contrappunto una nota stonata: l’endemica mancanza di ricambio nelle classi tangentizie. La solita gerontocrazia non si rassegna alla pensione e continua a monopolizzare il mercato della mazzetta, tarpando le ali a tanti giovani che non vedono l’ora di farsi valere, con tecniche ben più avanzate e innovative. Possibile che, all’alba del 2014, sia ancora tutto in mano agli attempati Scajola, Matacena, Berlusconi, Greganti, Previti, Gianni Letta, Frigerio, Guarischi, Bisignani, Danesi e Grillo (nel senso di Luigi), per citare soltanto alcuni dei nomi usciti dalle carte delle due retate? Questa puzza di déjà vu, questo sferragliare di cateteri, dentiere e cinti erniari, questo eterno ritorno dei revenants non fa bene all’immagine della nuova Italia. Più che la rottamazione e la rivoluzione, viene in mente il triste Vent’anni dopo di Alexandre Dumas, con D’Artagnan e i tre moschettieri invecchiati, imbolsiti e divisi alle prese con Mazarino al posto di Richelieu e di Luigi XIV al posto di Luigi XIII. O, più credibilmente, L’audace colpo dei soliti ignoti, sequel del mitico film di Monicelli, con la banda del buco che torna a colpire con gli stessi, catastrofici risultati.

Scajola era finito in galera per la prima volta nel 1983, alla tenera età di 35 anni, per lo scandalo del casinò di Sanremo, e anche allora c’entrava la mafia. Ma nemmeno allora era riuscito a farsi condannare: e ora indovina chi viene a Matacena? Sempre lui, a 66 anni. Attorno a Expo 2015 si udiva un gran fragore di ganasce fin dal primo giorno, quando Formigoni garantì “massima trasparenza” e piazzò a vigilare sugli appalti il generale Mori e il capitano De Donno, quelli della trattativa con Vito Ciancimino. L’arrivo di Lupi (Compagnia delle opere) e Poletti (coop rosse) nel governo Renzi, ministri rispettivamente delle Infrastrutture e del Lavoro, aiutò a comprendere meglio il tutto.
Massimo Guarischi è nato appena nel 1963, ma è un enfant prodige: conobbe per la prima volta le patrie galere già nel 2000. Poi ci tornò nel 2013. Ora non c’è il due senza il tre.
Previti doveva finire dentro nel 1999, ma lo salvò il centrosinistra. Però fu solo un rinvio: nel 2006 raggiunse Rebibbia per scontare 7 anni e mezzo per corruzione giudiziaria, ma uscì tre giorni dopo grazie al solito centrosinistra (indulto).
Gianstefano Frigerio lo fece arrestare Di Pietro nel ’92 e poi nel ’93. Prendeva tangenti su tutto, anche da Paolo Berlusconi, infatti scriveva sul Giornale. Fu condannato a 6 anni e la sentenza lo colse nel 2001 alla Camera, dov’era stato appena eletto deputato con FI, candidato in Puglia e col nome cambiato (“Carlo”) per non dare troppo nell’occhio.
Poi ottenne un ricalcolo della pena e i servizi sociali, da scontare a Montecitorio. Ultimamente lavorava al Ppe, a Bruxelles, e guidava un centro studi sull’arte del furto con scasso, dedicato all’incolpevole Tommaso Moro. Ieri è tornato nel suo habitat naturale, così come Primo Greganti. Il faccendiere del Pci-Pds torinese (il partito dei Fassino e dei Chiamparino) fu arrestato la prima volta nel ’93: era già molto trasversale, pappa e ciccia col faccendiere Fininvest Brancher. Tre volte pregiudicato, dopo i servizi sociali ottenne la tessera del Pd. E rieccolo attivissimo alla festa nazionale del Pd nel 2010 e nell’attuale campagna elettorale per il Chiampa governatore del Piemonte. Bisignani e Danesi furono beccati la prima volta nel 1981, nelle liste della P2, assieme a B. e a tanti altri. Bisi tornò nei guai nel ’93 per la maxi-tangente Enimont, Danesi nel ’96 per i malaffari delle Ffss, ri-Bisi nel 2012 per la P4.
Gianni Letta lo scoprì Gherardo Colombo nel 1982 con in tasca un miliardo di fondi neri dell’Iri in tasca e lo riscoprì Di Pietro nel ’92 con in bocca una mazzetta al socialdemocratico Cariglia.
Luigi Grillo fu indagato nel ’94, poi assolto, poi reindagato nel 2009 con gli amici Fazio & furbetti del quartierino, poi riassolto: chissà se stavolta ce la fa.
Enrico Maltauro, costruttore veneto, patteggiò per tangenti nel ’94, poi tornò in pista. Come tutti, come sempre. Ha ragione Napolitano: è giunta l’ora di sanare una volta per tutte la piaga del sovraffollamento delle carceri.

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