da: Il Fatto Quotidiano
A dispetto dei disfattisti, dei rosiconi e
dei gufi sempre pronti a denigrare l’Italia, la doppia retata di ieri ha
portato un sacco di buone notizie.
1) Il Paese è più unito che mai, da Milano
a Reggio Calabria, attorno all’unica industria che ancora tira: il crimine, più
o meno organizzato. 2) Con buona pace delle malelingue, sempre pronte a
denunciare i gravi ritardi di Expo 2015, le tangenti e gli appalti truccati
sono addirittura in anticipo, quindi tutto bene: prima o poi si faranno anche i
lavori, anche perché chi ha sganciato le mazzette ha il sacrosanto diritto di
essere pagato. 3) Non era vero, come sostenevano i giudici calunniatori, che
Scajola fosse innocente: semplicemente, era sbagliato il reato. Mentre tutti si
lasciavano distrarre da quei quattro spicci pagati a sua insaputa per la casa
con vista Colosseo, lui faceva scappare all’estero un amico condannato per
’ndrangheta. E pensare che B., appena saputo dell’assoluzione, ci era rimasto
male e l’aveva levato dalle liste di Forza Italia, in quanto incensurato e
dunque impresentabile, per non perdere voti. Neppure Alfano l’aveva voluto nel
Ncd, il che è tutto dire.
Ora che Sciaboletta è tornato al gabbio, al
prossimo giro lo ricandidano di sicuro. A meno che non si faccia di nuovo
assolvere, si capisce, rovinandosi irrimediabilmente l’immagine: ci mancherebbe
pure che fosse un’altra volta innocente.
A tante buone notizie fa purtroppo da
contrappunto una nota stonata: l’endemica mancanza di ricambio nelle classi
tangentizie. La solita gerontocrazia non si rassegna alla pensione e continua a
monopolizzare il mercato della mazzetta, tarpando le ali a tanti giovani che
non vedono l’ora di farsi valere, con tecniche ben più avanzate e innovative.
Possibile che, all’alba del 2014, sia ancora tutto in mano agli attempati
Scajola, Matacena, Berlusconi, Greganti, Previti, Gianni Letta, Frigerio,
Guarischi, Bisignani, Danesi e Grillo (nel senso di Luigi), per citare soltanto
alcuni dei nomi usciti dalle carte delle due retate? Questa puzza di déjà vu,
questo sferragliare di cateteri, dentiere e cinti erniari, questo eterno
ritorno dei revenants non fa bene all’immagine della nuova Italia. Più che la
rottamazione e la rivoluzione, viene in mente il triste Vent’anni dopo di
Alexandre Dumas, con D’Artagnan e i tre moschettieri invecchiati, imbolsiti e
divisi alle prese con Mazarino al posto di Richelieu e di Luigi XIV al posto di
Luigi XIII. O, più credibilmente, L’audace colpo dei soliti ignoti, sequel del
mitico film di Monicelli, con la banda del buco che torna a colpire con gli
stessi, catastrofici risultati.
Scajola
era finito in galera per la prima volta nel 1983, alla tenera età di 35 anni, per lo
scandalo del casinò di Sanremo, e anche allora c’entrava la mafia. Ma nemmeno
allora era riuscito a farsi condannare: e ora indovina chi viene a Matacena?
Sempre lui, a 66 anni. Attorno a Expo 2015 si udiva un gran fragore di ganasce
fin dal primo giorno, quando Formigoni garantì “massima trasparenza” e piazzò a
vigilare sugli appalti il generale Mori e il capitano De Donno, quelli della
trattativa con Vito Ciancimino. L’arrivo di Lupi (Compagnia delle opere) e
Poletti (coop rosse) nel governo Renzi, ministri rispettivamente delle
Infrastrutture e del Lavoro, aiutò a comprendere meglio il tutto.
Massimo
Guarischi è nato appena nel 1963, ma è un enfant prodige:
conobbe per la prima volta le patrie galere già nel 2000. Poi ci tornò nel
2013. Ora non c’è il due senza il tre.
Previti
doveva finire dentro nel 1999, ma lo salvò il centrosinistra.
Però fu solo un rinvio: nel 2006 raggiunse Rebibbia per scontare 7 anni e mezzo
per corruzione giudiziaria, ma uscì tre giorni dopo grazie al solito
centrosinistra (indulto).
Gianstefano
Frigerio lo fece arrestare Di Pietro nel ’92 e poi nel ’93.
Prendeva tangenti su tutto, anche da Paolo Berlusconi, infatti scriveva sul
Giornale. Fu condannato a 6 anni e la sentenza lo colse nel 2001 alla Camera,
dov’era stato appena eletto deputato con FI, candidato in Puglia e col nome
cambiato (“Carlo”) per non dare troppo nell’occhio.
Poi ottenne un ricalcolo della pena e i
servizi sociali, da scontare a Montecitorio. Ultimamente lavorava al Ppe, a
Bruxelles, e guidava un centro studi sull’arte del furto con scasso, dedicato
all’incolpevole Tommaso Moro. Ieri è tornato nel suo habitat naturale, così
come Primo Greganti. Il faccendiere
del Pci-Pds torinese (il partito dei Fassino e dei Chiamparino) fu arrestato la
prima volta nel ’93: era già molto trasversale, pappa e ciccia col faccendiere
Fininvest Brancher. Tre volte pregiudicato, dopo i servizi sociali ottenne la
tessera del Pd. E rieccolo attivissimo alla festa nazionale del Pd nel 2010 e
nell’attuale campagna elettorale per il Chiampa governatore del Piemonte.
Bisignani e Danesi furono beccati la prima volta nel 1981, nelle liste della P2,
assieme a B. e a tanti altri. Bisi tornò nei guai nel ’93 per la maxi-tangente
Enimont, Danesi nel ’96 per i malaffari delle Ffss, ri-Bisi nel 2012 per la P4.
Gianni
Letta lo scoprì Gherardo Colombo nel 1982 con in tasca un
miliardo di fondi neri dell’Iri in tasca e lo riscoprì Di Pietro nel ’92 con in
bocca una mazzetta al socialdemocratico Cariglia.
Luigi
Grillo fu indagato nel ’94, poi assolto, poi reindagato nel
2009 con gli amici Fazio & furbetti del quartierino, poi riassolto: chissà
se stavolta ce la fa.
Enrico
Maltauro, costruttore veneto, patteggiò per tangenti nel ’94,
poi tornò in pista. Come tutti, come sempre. Ha ragione Napolitano: è giunta
l’ora di sanare una volta per tutte la piaga
del sovraffollamento delle carceri.
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