giovedì 22 maggio 2014

Elezioni europee, Francia: dove la destra ha già vinto



da: la Repubblica

Nel “Far West” della Francia dove la destra ha già vinto
Hénin-Beaumont una volta era una roccaforte “gauche”: ora è la culla del terremoto populista d’Europa.
È la città-simbolo del travaso dei voti della sinistra inghiottiti dalla Le Pen.
di Bernardo Valli

Questo è il piccolo teatro di una grande svolta politica. Qui il proletariato, come si diceva un tempo, si è espresso votando per l’estrema destra. Hénin-Beaumont è una cittadina del bacino minerario in disuso del Nord della Francia. Hai l’impressione di visitare la trincea di lontane guerre: oltre alle guerre di soldati, quelle mondiali del ‘900 che qui hanno infierito, ci sono state le non meno cruente guerre di minatori di cui i pozzi di carbone chiusi sono i sepolcri.

Hénin-Beaumot.
Le vestigia di una civiltà operaia scomparsa. Le immagini dei grandi romanzi popolari dell’Ottocento riemergono nella memoria più vive della smorta realtà lì sotto gli occhi. Un terremoto ha sconvolto il panorama sociale e politico del
nostro tempo e ha raggiunto anche questo struggente, ferito angolo del far west francese. Mi riferisco allo scambio incrociato tra i voti delle classi popolari, finiti nell’estrema destra, e quelli delle classi professionali, finiti nella sinistra riformista. Hénin-Beaumont è il piccolo ma significativo esempio di come quel travaso di consensi cambi il volto politico delle nostre società.
Le metropoli hanno istinti europeisti, le province profonde diffidano invece di una comunità aperta al mondo, senza frontiere, esposta alle immigrazioni. Il voto all’estrema destra è come una barricata contro l’Islam. Tra pochi giorni avremo un’altra operazione di chirurgia plastica-elettorale. L’estrema destra populista raccoglierà una nuova ondata di consensi perché ha saputo impadronirsi della collera popolare e la scaglia contro le istituzioni europee e i suoi tecnocrati, contro le elites politiche ed economiche nazionali, contro le banche e la mancanza di vere frontiere. Quest’ultime sono viste come vergognosi colabrodo: lasciano passare l’Islam, giudicato islamista anche quando non lo è. Il voto del 25 maggio ci rivelerà gli umori burrascosi, che in Francia dovrebbero fare del Front National il primo partito del paese, sia pur provvisoriamente. Un posto d’eccezione nella gerarchia dei movimenti nazionalpopulisti che inquietano con i loro successi la democrazia europea.

Qualche settimana fa, a fine marzo, le elezioni amministrative francesi hanno dato un’anticipazione, poiché in quell’occasione si è affermata l’estrema destra in cui gli specialisti distinguono la corrente radicale e la corrente populista. Quest’ultima ha prevalso a Hénin-Beaumont (27 mila abitanti), ed è stato un avvenimento nazionale. Da sempre, fino al marzo scorso, nella città prevaleva una società di sinistra con un passato di tragiche e oleografiche lotte operaie. Dal 1789 più di trenta sindaci hanno rappresentato movimenti progressisti. Neppure due mesi fa le stesse classi popolari, con alle spalle generazioni di minatori, hanno scelto Steeve Briois, stretto collaboratore di Marine Le Pen, come primo sindaco del Front National a Hénin-Beaumont. Dallo scontento dovuto alle difficoltà economiche particolarmente pesanti nella regione, e aggravato dagli ultimi pessimi amministratori municipali, coinvolti in scandali e rivelatisi ingordi di tasse, in altri tempi avrebbe tratto vantaggio l’estrema sinistra, anch’essa versata spesso nel populismo. Invece ne ha approfittato l’estrema destra. La quale ha una netta impronta anti-europea.

I superstiti politici della sinistra azzardano un giudizio severo. Per loro è un sacrilegio. Pensano al passato mitico della regione. Sono trascorsi centotrent’anni dalla primavera del 1884, quando Emile Zola venne qui nel Nord-Pas-de-Calais per seguire un grande sciopero dei minatori. Scese nelle gallerie Renard della Compagnies des mines d’Anzin a Denain, percorse per otto giorni i quartieri operai di Bruay, e da questa esperienza ricavò il romanzo popolare Germinal, ancora letto nelle scuole di Francia. “Germinal” è un mese del calendario repubblicano, corrisponde all’inizio della primavera e alla rinascita della natura e Zola stabilisce un parallelo con il risveglio della coscienza operaia, osservato durante lo sciopero nelle miniere. Nemmeno un secolo e mezzo dopo, Marine Le Pen ha scippato quel passato. È stata consigliera comunale a Hénin-Beaumont e ha fatto proseliti, aiutata dal tenace Steeve Briois, il nuovo sindaco. Appena insediato, Briois ha messo alla porta la Lega dei diritti dell’uomo, col pretesto che occupava un locale del municipio senza pagare l’affitto. In realtà non sopportava coinquilini che l’avevano accusato di razzismo. Il quarantenne Briois si dichiara tuttavia un «repubblicano », che in Francia è sinonimo di cittadino rispettoso delle leggi della République. Ciò non toglie che quelli che la governano o l’hanno governata siano tous pourris ( tutti marci), secondo lo slogan di Marine Le Pen. Il cui successo, oltre all’innegabile capacità di oratore e all’immagine accattivante, per molti addirittura carismatica, è dovuto anche alla solidarietà con le classi popolari. Solidarietà ribadita in tutti i comizi, con la solennità di un atto di fede. Non sono stati inutili, hanno creato proseliti, i puntuali abbracci a quello che era il proletariato. Il quale nel frattempo ha smarrito nome e cambiato natura. Infatti, per Marine Le Pen, più che da cittadini è composto da individi.
La conquista è costata una rinuncia. Una censura-rinuncia ai temi classici dell’estrema destra: l’antisemitismo, la difesa del cristianesimo occidentale, l’opposizione alla laicità, all’aborto e all’omosessualità. Questi principi non più sbandierati restano nelle convinzioni di molti militanti del Front National. Interrogato sul “matrimonio per tutti” — in sostanza se celebrerà come sindaco i matrimoni gay — Steeve Birois ha dato una risposta dapprima vaga e poi rassegnata, da buon repubblicano: la legge li prevede e dunque s’hanno da fare. Poi magari si cercherà di cambiare la legge. Steeve Birois è gay, non lo nasconde come altri non pochi collaboratori di Marine Le Pen, ma non è sedotto, per disciplina di partito o per scelta personale, dall’idea del matrimonio per tutti.
Lontano dal piccolo, simbolico Hénin-Beaumont, ed anche fuori dai confini di Francia, il Front National non esercita l’influenza che si pensa dovuta a un partito al quale i sondaggi annunciano un imminente grande avvenire. Il movimento di Marine Le Pen stenta a trovare alleati nelle estreme destre impegnate a trasformarsi in nazionalpopulismi più accettabili dagli elettori europei, e soprattutto ansiose di costituire domani una forza in grado di contare nel nuovo Parlamento di Strasburgo. Dove per formare un gruppo, e quindi proporre leggi, sono necessari venticinque deputati di almeno sette diversi paesi.

Marine Le Pen la metamorfosi l’ha attuata, almeno in superficie, e rifiuta la qualifica di estrema destra che le viene ancora affibbiata. Dice di non essere né di destra né di sinistra, anche perché le due definizioni per lei non hanno più alcun senso. La sua famiglia politica resta tuttavia quella che le ha lasciato il padre Jean-Marie. E nell’ambito di quella famiglia di estrema destra il suo potere è scarso. Resta “casalingo”, non si estende molto oltre i patri confini. Sul piano ideologico non gode di un grande prestigio. Ha come ribalta la Francia e questo la rende un’ospite di rango, ambita e corteggiata. È accolta con tutti gli onori nella Russia di Putin. È telegenica. Ma non è considerata l’ispiratrice di un nuovo populismo, con pretese democratiche.

Non lei, ma l’austriaco Andreas Moizer stava tentando con un certo successo di creare una grande alleanza delle estreme destre. Esponente di rilievo dell’Fpö (Partito austriaco della libertà), Moizer ha una grande influenza tra i pangermanisti del suo paese: è stato consigliere culturale in Carinzia, quando Joerg Haider, leader dell’estrema destra, era il governatore. Nello scorso novembre è stato Moizer a disegnare un’intesa nazional-populista sulla base di una piat- taforma ideologica comune ed emancipatrice, cioè accettabile dai partiti democratici, di cui servirsi per essere ammessi al potere, una volta allontanata la discriminante accusa di estremismo. Per contrasti interni al Fpö, Andreas Moizer è però stato tolto in aprile da capolista dei candidati alle elezioni europee e il suo aggiornamento del nazional populismo è rimasto in sospeso.
Cosi i vari movimenti entrano dispersi e con programmi diversi nel Parlamento di Strasburgo. Marine Le Pen ha stretto legami con l’olandese Geert Wilders del Partito per la libertà, con l’austriaco Heinz-Christian Strache del Partito libertà, con l’italiana Lega Nord, col Partito nazionale slovacco, con i Democratici svedesi. Insieme fanno parte dell’Alleanza europea per le libertà. Ma entrano con i loro eventuali deputati nel Parlamento di Strasburgo con progetti contrastanti. In particolare per quel che riguarda l’Unione europea, che gli uni vogliono riformare ed altri abolire. Cosi per l’euro, difeso dagli uni, sia pur con notevoli cambiamenti rispetto ai criteri attuali, e dagli altri invece condannato e sostituito con monete nazionali.

Il britannico Nigel Farage, dell’UK Indipendence Party, non desidera legami con il Front National di Marine Le Pen, ma neppure con le estreme destre ungheresi, troppo indigene, troppo locali. Non l’attrae neppure il partito eurofobo greco, troppo rozzo. Farage vuole soltanto che il Regno Unito tagli i vincoli con Bruxelles e recuperi la propria indipendenza. Uno storico belga, David Engels, ha paragonato l’Unione europea alla Repubblica romana in declino e destinata a trasformarsi in un impero. L’esercizio intellettuale è interessante, numerosi colleghi di Engels ne hanno discusso, ma nel panorama europeo non c’è traccia di un Augusto imperatore. Né di un Nerone davanti a Bruxelles in fiamme. C’è piuttosto una frantumata tribù di barbari che vorrebbe disintegrare l’Europa semiunita, ma che per ora non ne ha la forza sufficiente. E si deve accontentare di condividere quello che appare l’ossessione comune: la ripulsa dell’Islam, che attraverso l’immigrazione tenderebbe a distruggere la civiltà occidentale.

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