da: Il Fatto Quotidiano
Le mille poltrone della
premiata famiglia Bazoli & Gitti
Per anni il presidente di
Intesa si è costruito la fama di ascetico padre nobile della sinistra. Ma
l’inchiesta su Ubi Banca rivela la sua rete di potere
di Giorgio Meletti
Si può capire la “profondo sorpresa” di
Giovanni Bazoli, che si trova a 81 anni indagato e perquisito perché
magistratura e Consob hanno deciso di vedere chiaro nelle sue tecniche di
esercizio del potere finanziario. Rivendicando di avere “sempre testimoniato
nella mia vita e nei miei comportamenti una totale e leale osservanza delle
regole e delle leggi”, il banchiere bresciano si elegge, come d’abitudine,
giudice di se stesso per contrapporre la sua specchiata reputazione
all’apparenza dei fatti. Si fa prima a fidarsi, a considerare i fatti
all’attenzione delle procure di Bergamo e Milano sotto la luce del rinomato
disinteresse personale, della sobrietà e della correttezza. Con queste tinte
rosee due generazioni di laudatores hanno accompagnato la trentennale parabola
del giurista che a metà anni 80 fu proiettato dal suo mentore Nino Andreatta
sul salvataggio del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, e sul quel disastro ha
costruito la maggiore banca italiana, Intesa Sanpaolo.
Certo, se Bazoli non fosse Bazoli, i
sospetti più maliziosi si affollerebbero. Perché il professore, mentre
diventava il più potente banchiere (e non solo) italiano, non ha mai sciolto i
legami con il potere finanziario della sua città. E c’è voluta un’apposita
legge dell’altrettanto sobrio governo Monti
per farlo sloggiare dal consiglio di sorveglianza di Ubi banca, uno dei
maggiori concorrenti di Intesa. Nel 2007, quando Ubi era appena nata dalla
fusione tra Popolare di Bergamo e Banca Lombarda di Brescia (di cui Bazoli è
stato anche vicepresidente), un complicato matrimonio i gruppi di potere di due
città chiave dell’economia lombarda e italiana, fu il dominus bergamasco,
Emilio Zanetti a proporre la sua elezione, e qualche coraggioso azionista osò
ipotizzare qualche “potenziale conflitto di interesse”. Zanetti, paterno,
disse: “Qualcuno può nutrire perplessità, ma mi auguro che queste vengano
fugate”.
All’indomani della leggina di Monti venne a
mancare il notaio Giuseppe Camadini, personaggio di spicco del potere
bresciano, legatissimo a Bazoli, insieme al quale realizzò la fusione tra Banco
di Brescia e Credito Agrario Bresciano da cui nacque Banca Lombarda.
L’associazione “Banca Lombarda e Piemontese”, che riunisce gli azionisti
bresciani di Ubi, ritenne di aver diritto di designare un bresciano per quel
posto, in base a quell’accordo di spartizione che gli inquirenti giudicano
“occulto” e quindi illecito. Fu prescelta Francesca Bazoli, avvocato bresciano,
classe 1968, che ha ereditato dal padre Giovanni lo studio legale. Le proteste
dei bergamaschi fecero saltare la successione ereditaria, anche se nessuno ha
protestato nel marzo scorso, quando Emilio Zanetti ha lasciato la presidenza
della Popolare di Bergamo (oggi controllata di Ubi) ma nel consiglio è entrato
suo figlio Matteo. Tra le regole non scritte vigenti nel mondo di Ubi Banca c’è
infatti questo singolare familismo delle famiglie per bene, che si passano le
poltrone di padre in figlio attraverso un peculiare meccanismo di meritocrazia
genetica, attraverso il quale un figlio può garantire agli azionisti lo stesso
coefficiente di onestà del genitore.
In
ogni caso Bazoli figlia si è accontentata di un posto nel consiglio della
controllata Banco di Brescia, che si è aggiunto alla vicepresidenza di Ubi
Leasing. Nel luglio dell’anno scorso, quando la Banca d’Italia ha completato
l’ispezione di Ubi Leasing che ha portato nei giorni scorsi all’esplodere dello
scandalo, Francesca Bazoli si è dimessa. Però è rimasta nel consiglio di Ubi
sistemi e servizi.
Se
non vigesse la presunzione di correttezza assoluta della famiglia Bazoli, ci
sarebbe da notare che anche Gregorio Gitti, marito di Francesca e genero di
Giovanni, ha i suoi incarichi nel gruppo Ubi. E’ presidente di ben quattro
controllate: 24-7 Finance, Ubi Finance 2, Ubi Finance 3, Lombarda Lease Finance
4. Gitti è professionista di notevole caratura e di ingegno multiforme. Il suo
studio legale Pavesi, Gitti, Verzoni è ben inserito nei gangli decisivi degli affari.
E il nome del genero di Bazoli spicca con frequenza nelle vicende che
riguardano sia pure indirettamente il suocero. Eccolo come consulente legale
nella fusione che dà luogo alla nascita di Ubi Banca, ecco protagonista della
nascita della nuova Alitalia di Roberto Colaninno, operazione targata Intesa
Sanpaolo, eccolo nella squadra degli advisor nella nascita di A2A, nata dalla
fusione delle due municipalizzate elettriche di Milano e di Brescia.
Nel 2013 Gitti è diventato deputato, eletto
nelle liste di Scelta Civica dopo anni di militanza nel Partito democratico di
cui è stato uno dei fondatori. Alla Camera si è subito distinto, tra le altre
cose, per il reddito, 3 milioni e 426 mila euro, secondo solo a quello del re
della sanità convenzionata Antonio Angelucci.
Colpisce anche, e aiuta a comprendere la
sorpresa di Bazoli per l’indagine che lo coinvolge, che nessuna autorità abbia
avuto finora niente da dire sui rapporti della famiglia con Romain Zaleski.
Notate la stranezza: a partire dal 2012 due
senatori, Giorgio Jannone (Pdl) e Elio Lanutti (Idv) hanno presentato due
distinti esposti alla magistratura, nei quali era scritto per filo e per segno
tutto ciò di cui la Guardia di Finanza è andata a cercare le prove due anni
dopo: per esempio il fatto che in sette anni di vita Ubi Banca abbia
distribuito un miliardo di euro in consulenze (legali e non).
Lanutti però ha presentato, già da anni, un
esposto anche alla Procura di Milano, riguardante Intesa Sanpaolo, con la
richiesta alla procura
guidata da Edmondo Bruti Liberati di verificare se con Zaleski non sia stato
commesso il reato di “abusiva concessione del credito”. Nessuno ha mai fatto
una piega, e si può facilmente indovinare il perché: la reputazione di Bazoli è
stata evidentemente giudicata sufficiente a fugare ogni sospetto. E quindi
rimangono solo allo stato di apparenze scombinate alcuni fatti: che le banche
italiane abbiano prestato al finanziere franco-polacco amico di famiglia di
Bazoli 6-7 miliardi per giocare in Borsa; che con quei soldi Zaleski arrivò ad
essere uno dei primi azionisti di Intesa Sanpaolo, il primo azionista di Ubi al
momento della nascita nel 2007, il primo azionista della Mittel, la finanziaria
di cui Bazoli è stato presidente per una vita (con Gitti consulente); che Intesa
Sanpaolo abbia prestato all’amico del presidentissimo almeno 800 milioni senza
pretendere garanzie reali, scavando così un buco inesorabile nei propri conti,
visto che le speculazioni di Zaleski sono andare molto male. La storia è
antica: perché si ti chiami Brambilla le banche ti fanno fallire all’istante
chiedendoti il rientro immediato e se ti chiami Zaleski ti tengono in vita per
anni dandoti ossigeno finanziario per centinaia di milioni? Finora la
magistratura non ha ritenuto che la vicenda possa riguardare il rispetto delle
leggi. La stessa idea devono averla Bazoli e i suoi cari. Non a caso nel 2008,
alla vigilia del crac Zaleski, Gitti ha fondato, con l’amico franco-polacco e
il suocero banchiere, la solenne Fondazione Etica, che si propone l’”elaborazione
di una nuova idea di Paese, basata su
una moderna etica pubblica”.
Ecco, l’etica è assicurata. Meno
male.
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