Non mi ero accorta
che avessero modificato la legge elettorale. Anzi, la Costituzione.
Perché da sabato 30 marzo 2013, siamo passati
dalla repubblica parlamentare alla repubblica presidenziale.
Il presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano si è fatto, per così dire, la sua bicamerale (ricordate,
l’iniziativa di D’Alema, da alcuni ritenuta il tentativo d’inciucio con Berlusconi
che però la fece saltare).
La definisco
bicamerale ma si tratta – ufficialmente – dell’istituzione di due commissioni
con il compito di individuare le priorità d’intervento in campo economico e
istituzionale, al fine di trovare una convergenza che porti alla formazione di
un governo dopo che il mandato esplorativo di Bersani ha prodotto il nulla di
fatto.
Come si è arrivati a
questa sorta di bicamerale? E’ necessario fare un passo indietro, perché la
situazione attuale dipende dagli effetti del voto elettorale, a sua volta
dipendenti da quelli del governo Monti e dall’assenza di capacità strategica di
Bersani.
Berlusconi
e Monti, il ruolo di Giorgio Napolitano.
A onor del vero, è
con l’avvento del governo Monti che siamo passati, di fatto, alla repubblica
presidenziale. Quanto meno: a un “esercizio prevalente” del presidente della
repubblica. Intendo con questo: un inevitabile (dato il contesto italiano ed
europeo) presidio di Giorgio Napolitano che rappresentava all’estero e, perché
no, nel nostro paese, l’unico punto di riferimento.
Si erano create
condizioni tali – piaccia o no – che richiedevano l’allontanamento di
Berlusconi. Nel momento in cui i Mercati ne decretavano la fine dopo averlo per
anni “lasciato fare” (perché se le lobby esistono, ci sono per buttarti giù ma
ci sono anche per metterti su), Giorgio Napolitano nominava Mario Monti
senatore a vita e, a seguire, gli affidava l’incarico di formare il nuovo
governo.
Il Pd, in quel
momento in testa ai sondaggi, avrebbe potuto negare l’appoggio al presidente
della Bocconi. Ma la situazione politica ed economica internazionale fece desistere
Bersani dal chiedere il voto anticipato.
E’ probabile, ma non
vi è controprova, che se il PD avesse optato per le elezioni le avrebbe vinte.
Le condizioni “emozionali” e pratiche in cui versavano gli italiani avrebbero
consentito al partito di Bersani un risultato migliore di quello che si è
realizzato il 24 e 25 febbraio 2013.
Nonostante Bersani
abbia meno appeal di Renzi sugli italiani.
Cinque
anni di governo, le prerogative cancellate del Parlamento
Non entro nel merito
della capacità o incapacità dei due governi già affrontata più volte nel blog. M’interessa
fare una considerazione oggettiva su un aspetto costituzionale richiamato, non
a torto, da Grillo. Che, però, ne dimentica altri per sua “comodità”.
I cinque anni di governo, quattro di Berlusconi e uno di Monti, sono stati caratterizzati dalla numerosità dei decreti legge presentati al Parlamento e dalla relativa approvazione a colpi di fiducia.
I cinque anni di governo, quattro di Berlusconi e uno di Monti, sono stati caratterizzati dalla numerosità dei decreti legge presentati al Parlamento e dalla relativa approvazione a colpi di fiducia.
Vale a dire: per
evitare le lungaggini dell’esame parlamentare, per motivi ad personam o perché
bisognava ottemperare urgentemente al “compitino” imposto dall’Europa, quando i
provvedimenti arrivavano alla Camera e al Senato, il governo chiedeva la
fiducia, cioè l’espressione di voto favorevole della maggioranza che lo stava
sostenendo.
Questa “prassi” ha
impedito l’esercizio completo delle prerogative costituzionali che spettano al
Parlamento. Il potere legislativo che la Costituzione assegna si compone,
infatti, sia della facoltà di presentare proposte di legge indipendenti dalle
attività del governo, sia di votare i disegni legge o e/o di convertire i
decreti di legge di provenienza governativa.
La Costituzione dichiara espressamente – all’art.77 – che “il governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. Quando, in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.
Quanto sopra non lascia adito a dubbi: i decreti leggi presentati dal Governo devono avere carattere d’urgenza, devono essere presentati immediatamente alle Camere per la conversione in legge, altrimenti, decadono entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Coerentemente con le prerogative che la Costituzione assegna al Parlamento, Camera e Senato non sono obbligate a convertire il decreto legge bensì possono predisporre e approvare apposite norme di legge per regolare la materia (i rapporti) oggetto del decreto legge governativo.
Una cosa è certa. Non si può negare che l’uso continuo di decreti di legge e di voti di fiducia esautori le funzioni del Parlamento e questo, si badi bene, non è certo un aspetto marginale ma essenziale per la democrazia di un paese, dove deve esistere una dialettica, un confronto e un’opposizione. Quante volte come cittadini italiani abbiamo sperato che certe norme non passassero o che qualche partito apportasse modifiche o si opponesse a provvedimenti. Ma c’è un problema reale che ci stiamo trascinando, che si ripropone nella nuova legislatura e che va affrontato: le modalità di predisposizione e approvazione delle leggi. Due rami del Parlamento con analoghe prerogative non è criterio funzionale all’efficacia e tempestività del potere legislativo.
La Costituzione dichiara espressamente – all’art.77 – che “il governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. Quando, in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.
Quanto sopra non lascia adito a dubbi: i decreti leggi presentati dal Governo devono avere carattere d’urgenza, devono essere presentati immediatamente alle Camere per la conversione in legge, altrimenti, decadono entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Coerentemente con le prerogative che la Costituzione assegna al Parlamento, Camera e Senato non sono obbligate a convertire il decreto legge bensì possono predisporre e approvare apposite norme di legge per regolare la materia (i rapporti) oggetto del decreto legge governativo.
Una cosa è certa. Non si può negare che l’uso continuo di decreti di legge e di voti di fiducia esautori le funzioni del Parlamento e questo, si badi bene, non è certo un aspetto marginale ma essenziale per la democrazia di un paese, dove deve esistere una dialettica, un confronto e un’opposizione. Quante volte come cittadini italiani abbiamo sperato che certe norme non passassero o che qualche partito apportasse modifiche o si opponesse a provvedimenti. Ma c’è un problema reale che ci stiamo trascinando, che si ripropone nella nuova legislatura e che va affrontato: le modalità di predisposizione e approvazione delle leggi. Due rami del Parlamento con analoghe prerogative non è criterio funzionale all’efficacia e tempestività del potere legislativo.
Il pensiero, però,
che questa classe politica cambi l’architettura costituzionale mi mette i
brividi. Ma l’argomento va affrontato. Rientrerebbe nell’ambito di quelle
riforme istituzionali di cui si parla da anni ma mai realizzate. Del resto: in presenza di unti del signore che si fanno leggi ad personam non esistono
le condizioni per modificare la Costituzione.
In
sintesi:
1. la
Costituzione prevede che il potere esecutivo – il governo – possa far uso dello
strumento del decreto legge in certe condizioni. Il mancato rispetto di queste
condizioni esautora il Parlamento dai compiti stabiliti Carta Costituzionale.
2.
Esiste un problema reale legato alle modalità e ai tempi di approvazione delle
leggi. Non è difficile comprendere che è indispensabile apportare modifiche ai
criteri di esame e approvazione delle leggi per consentirne l’introduzione in
tempi ragionevoli. Tanto più necessario in momenti che richiedono decisioni
funzionali e rapide, ma, altrettanto necessario nella normale logica di
efficienza di un lavoro. Ancor più se questo lavoro è l’esercizio di una delega
attribuita dagli italiani con il voto.
Ad
oggi, i punti 1 e 2 rimangono aperti. Non sono pensabili altri 5
anni di governo a suon di decreti legge, non è pensabile un iter laborioso e
tardivo da parte del Parlamento.
Gli effetti del governo Monti nella testa (e nel voto) degli italiani
Gli effetti del governo Monti nella testa (e nel voto) degli italiani
I punti sopra espressi
in sintesi chiedono di essere affrontati al più presto. Valgono per qualsiasi
governo e legislatura.
C’è però un aspetto
che attiene più al governo Monti, agli effetti della sua azione. Qualcosa che
la classe politica non dovrebbe ignorare e dimenticare, nel presente e nel
futuro. Pena: perdere il confronto elettorale.
Gli italiani che seguono con costanza e dovizia di particolari le vicende della politica non sono molti. Certo. Molti italiani seguono i tg, navigano in internet, leggono la stampa gratis (Metro e Leggo), ma non hanno certo il tempo e, tanto meno, la voglia di seguire costantemente tutto l’affollarsi e inflazionarsi di dichiarazioni politichesi. Molte cose sfuggono. Normalmente, l’attenzione per le vicende della politica si concentra negli ultimi due mesi che precedono il voto.
Gli italiani che seguono con costanza e dovizia di particolari le vicende della politica non sono molti. Certo. Molti italiani seguono i tg, navigano in internet, leggono la stampa gratis (Metro e Leggo), ma non hanno certo il tempo e, tanto meno, la voglia di seguire costantemente tutto l’affollarsi e inflazionarsi di dichiarazioni politichesi. Molte cose sfuggono. Normalmente, l’attenzione per le vicende della politica si concentra negli ultimi due mesi che precedono il voto.
Ritengo però che alla
maggioranza degli italiani del paese reale non sia sfuggito il tormentone sui
Mercati. Il giornaliero e continuo rimarcare di Monti sulla necessità di
rispettare gli impegni con l’Europa e “rassicurare” i Mercati.
E’ un po’ come
quando, se si ha un problema in casa, dopo un’iniziale discussione, anche uno scontro,
vista la gravità della situazione, anziché metterci volontà e impegno per
cercare di risolvere la questione ci si limitasse a rinfacciare i
comportamenti e le parole che hanno creato il problema: “questo non lo dovevi fare, smettila di fare questo…”.
La crisi del paese
reale - che è ancor prima morale-culturale che economica - era tale che
sentirsi dire continuamente: “dobbiamo
fare i compiti, ce lo chiedono i Mercati”, era insopportabile. Oltre che,
controproducente. Tra l’altro, ha fatto pensare a molti che mentre la crisi
aumentava anziché diminuire, perché per quattro anni Berlusconi ha continuato a
negarla aspettando che passasse, una non meglio imprecisata Europa volesse
salassarci dopo aver frenato per anni la crescita italiana ponendo paletti e
vincoli alle nostre produzioni ed esportazioni.
Le dichiarazioni di
collaborazione tra Bersani e Monti, precedute – un giorno sì e un giorno no –
da frecciatine di Monti (“strategia” del suo spin doctor per attirare voti del
centro-destra) e dalle contro frecciate di Bersani hanno fatto perdere voti a
sinistra al Pd e non hanno attirato né a questo partito né alla lista Monti i
voti degli insoddisfatti di Berlusconi. Che dire: Bersani e Monti, una coppia
perfetta.
Di asini della
strategia politica.
E tralascio il
grande e irrisolto problema del Pd. Da molti anni al potere, in alcuni momenti
al governo seppure con una maggioranza risicata in Parlamento, ma nessuna
sostanziale diversità dal Berlusconi e dal modello del berlusconismo. Solo un
miracolo poteva far conseguire a Bersani un risultato al riparo da incertezze e
insidie. Ma, si sa, il Padreterno ha di meglio da fare che miracolare gli
invertebrati.
Ora. Mi domando e dico…
Ora. Mi domando e dico…
Capisco che un
laureato alla Bocconi certe cosucce non le capisca ma, possibile che nessun
avversario di Berlusconi – stampa annessa e connessa - avesse colto il “sentimento”
diffuso nel paese nei confronti dell’Europa e del governo Monti?
Beh…uno lo ha colto: Giuseppe Piero Grillo. Perché tramite il web e andando in giro per l’Italia ha capito quali erano gli umori. Peccato che la risposta di Grillo a una visione non propriamente autorevole dell’Europa (uscire dall’euro) sia alquanto discutibile. Ma nessuno dei politici e intellettuali a supporto – opinionisti della stampa inclusi – l’ha mai voluta seriamente discutere. Nella loro sicumera che il M5S non avrebbe fatto breccia come invece si è rivelato il 24 e 25 febbraio.
Beh…uno lo ha colto: Giuseppe Piero Grillo. Perché tramite il web e andando in giro per l’Italia ha capito quali erano gli umori. Peccato che la risposta di Grillo a una visione non propriamente autorevole dell’Europa (uscire dall’euro) sia alquanto discutibile. Ma nessuno dei politici e intellettuali a supporto – opinionisti della stampa inclusi – l’ha mai voluta seriamente discutere. Nella loro sicumera che il M5S non avrebbe fatto breccia come invece si è rivelato il 24 e 25 febbraio.
E, invece, il M5S ha
ottenuto un risultato superiore alle attese, mentre il Pdl perdeva il 50% dei
voti rispetto al 2008 e il Pd non riusciva a conquistare i numeri sufficienti
per avere la maggioranza al Senato.
Quanto a Monti…ha
preso meno di ciò che si aspettava. Chi semina Mercati viene punito da…chi va
al mercato.
Il
fallimento di Monti, una lezione da non dimenticare
Il fallimento di
Monti e dei suoi ministri – gente che, va riconosciuto, si è messa ‘a fare’ –
sta in questo: nel continuo ripetere a degli italiani che non si sentivano
colpevoli, che erano dei reietti se non rispettavano le condizioni imposte
dall’Europa. E’ opportuno che nessuno ripeta mai più questo grossolano errore.
Se anche gli italiani – non solo la classe politica – sono responsabili della crisi del paese, non è ricordandoglielo
ogni giorno o attribuendo loro responsabilità che non sentono proprie che se ne
esce.
Se ne esce prendendo
provvedimenti anche impopolari ma cercando di provocare un cambiamento nello
stile di pensiero e di vita. Francamente, questo non è un compito che può
assumere un governo Monti. Questo è un compito che deve assumere una classe
politica nuova. La classe politica insieme a una società civile che abbia idee,
competenze, che possa unire le forze con chi esercita la delega di
rappresentanza che deriva dal voto (per questo, è necessario il ritorno
all’espressione delle preferenze, con tutti i rischi annessi e connessi quali
il controllo dei voti).
‘Uno non vale uno in questo caso’ come sostiene uno slogan di Casaleggio-Grillo. ‘Uno vale molto e molti (cioè più persone)’ nel momento in cui questo ‘uno’ sa capire le esigenze collettive, ascoltare, proporre. Onestà e competenza sono i requisiti fondamentali.
‘Uno non vale uno in questo caso’ come sostiene uno slogan di Casaleggio-Grillo. ‘Uno vale molto e molti (cioè più persone)’ nel momento in cui questo ‘uno’ sa capire le esigenze collettive, ascoltare, proporre. Onestà e competenza sono i requisiti fondamentali.
Non credo che ‘uno vale molto e molti’ sia un concetto che possano capire o cui
possano aderire Casaleggio e Grillo.
Se lo facessero, verrebbe bene una certa “manipolazione”. Lo scrivo tra apici
perché non sono ancora del tutto convinta che siano manipolatori. Scorgo alcuni
geni ma, non so perché, concedo a Grillo il beneficio del dubbio.
Post elezioni febbraio 2013: le “difficoltà” nella formazione di un nuovo governo, la proposta di prorogare il governo Monti
Post elezioni febbraio 2013: le “difficoltà” nella formazione di un nuovo governo, la proposta di prorogare il governo Monti
Non sto a ripercorrere
le elezioni e i risultati elettorali. Se non per affermare che:
1. il M5S ha
conseguito un risultato superiore alle sue attese;
2. Gli eletti del
Movimento 5 Stelle sono stati votati da poche migliaia di persone;
3. Esperienza (i
cinquestelle sono considerati da “benevoli” grillologi come inesperti) non è sinonimo
d’intelligenza né di capacità di analisi e azione politica. L’esperienza è un
ingrediente che serve nella vita per fare meglio e prima.
4. Bersani ha
scoperto in ritardo i punti programmatici che, se citati nell’ultimo mese pre
elettorale, gli avrebbero portato qualche voto in più (e tolto qualche voto in meno).
5. Silvio Berlusconi
ha perso quasi il 50% dei voti rispetto alle elezioni del 2008 e il Pd non è
stato in grado di intercettare il voto di parte di quegli italiani.
Detto quanto sopra…
Giorgio Napolitano
ha dato un mandato esplorativo a Bersani per capire se vi fossero le condizioni
per formare un nuovo governo.
Si rimprovera a Bersani
di essersi fissato con il M5S. Lo “rimproverano” coloro che vogliono il governo
con il Pdl per avere materiale per fare “dotte analisi” (opinionisti che non
legge nessuno; si leggono tra loro e basta o, tutt’al più, li legge chi, come
me, da un’occhiata giornaliera perché ha un blog). Lo “rimproverano” coloro che
vogliono il suicidio del Pd.
Personalmente, non
ritengo che Bersani abbia sbagliato nel cercare quel partner. Caso mai, le
motivazioni sono discutibili. Cercare di stanare Grillo ben sapendo (o no?) che
il M5S non ha una linea politica e che Grillo e Casaleggio se la “inventano”
momento per momento con qualche post, doveva indurre Bersani a mollare il
corteggiamento un po’ prima, perché non c’erano le condizioni di un “rapporto”.
Ritengo però, che
non si possa chiedere al Pd – con tutti i limiti più volte evidenziati – di
suicidarsi. E il governo Pd-Pdl è un favore a Berlusconi, a Grillo e…a Renzi.
Bersani non è parente di Einstein ma, ogni tanto, ha pure il diritto di
smettere di fare il fan di Tafazzi.
Come sappiamo, Bersani si è presentato da Napolitano con un nulla di fatto. E gli opinionisti di vari quotidiani sostengono che il presidente della Repubblica sia un fautore, dati i risultati elettorali, di un governo votato da Pd e Pdl. Bersani ha sempre dichiarato la sua contrarietà, ma ha bisogno dei voti del M5S. Grillo, come sappiamo, ha sempre affermato: no fiducia a priori. Voteremo i provvedimenti di volta in volta, se saranno in linea con i nostri programmi elettorali.
Come sappiamo, Bersani si è presentato da Napolitano con un nulla di fatto. E gli opinionisti di vari quotidiani sostengono che il presidente della Repubblica sia un fautore, dati i risultati elettorali, di un governo votato da Pd e Pdl. Bersani ha sempre dichiarato la sua contrarietà, ma ha bisogno dei voti del M5S. Grillo, come sappiamo, ha sempre affermato: no fiducia a priori. Voteremo i provvedimenti di volta in volta, se saranno in linea con i nostri programmi elettorali.
Nel mentre che
Bersani cercava di indurre i Cinquestelle a un “rapporto”, il consulente giuridico di Grillo: il professor Becchi, proponeva la proroga del governo Monti.
La Costituzione Italiana, in effetti, non prevede esplicitamente che dopo le
elezioni, quindi a nuova legislatura, si debba formare un nuovo governo. E il Parlamento, dice Grillo, può iniziare a
lavorare. A legiferare. Come prevede la
Costituzione.
E’ così?
Grillo
e ancor più il suo consulente giuridico Becchi la
Costituzione l’avranno letta tutta no. O no?
E’ vero che la Costituzione non prevede espressamente che dopo nuove elezioni si formi un nuovo governo. Teoricamente, il governo della legislatura precedente potrebbe rimanere in vita. A oltranza.
E’ vero che la Costituzione non prevede espressamente che dopo nuove elezioni si formi un nuovo governo. Teoricamente, il governo della legislatura precedente potrebbe rimanere in vita. A oltranza.
Ed è vero che, la
Costituzione assegna al Parlamento il potere legislativo. Ergo: il Parlamento
può predisporre norme di legge, discuterle, modificarle, approvarle. Ciò
indipendentemente dall’azione del governo.
Detto quanto sopra, se
andiamo a votare ci sarà un perché.
I cittadini italiani
esprimono un voto. Si forma così una nuova composizione parlamentare. Già
questo basterebbe per chiedersi: ci dev’essere un governo in ragione della nuova
composizione parlamentare? La Costituzione non lo indica esplicitamente. Ma, Grillo e il professor Becchi dovrebbero
saperlo, esiste l’art.71 che
così disciplina: “L'iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle
Camere ed agli organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale.
Gli
estensori della Costituzione sono stati intelligenti, anche se, è presumibile
che qualche inesperto vi fosse. Nel sancire il primo principio democratico
di separatezza dei tre poteri: legislativo (Camera e Senato), esecutivo
(Governo), giudiziario (Magistratura) hanno capito che è impensabile governare
senza predisporre uno straccio di disposizione normativa. Ma, nel contempo,
hanno fissato all’azione del governo dei paletti legislativi, quelli dell’art.
77. Quello che stabilisce le condizioni dei decreti legge. Questa era la classe
politica di allora. Sani principi e capacità di comprendere come dovesse
funzionare una democrazia. Vi sembra che oggi la nostra classe politica sia
della stessa specie?
Orbene..
Se anche volessimo
ignorare – come Grillo e Becchi – la logica democratica per cui di
fronte a una nuova espressione di voto vi sia un governo coerentemente
rappresentativo, vi è l’articolo 71 della Costituzione che i due sopra citati ignorano
o fingono di ignorare.
Va da sé, che se un
governo può avere l’iniziativa delle leggi queste dovranno poi essere
sottoposte all’esame del Parlamento. Non è difficile comprendere quanto sia
opportuno che un governo abbia una maggioranza parlamentare che lo sostenga.
Questo non gli attribuisce facoltà di abusare con decreti legge, ma gli dà gli
strumenti per gestire la cosa pubblica.
La facoltà che la Costituzione
assegna al governo in materia legislativa non riduce minimamente le facoltà del
Parlamento. Come si evince dal medesimo art.71.
In
sintesi:
1. dall’esercizio del
voto nasce una nuova legislatura
2. per quanto non
espressamente previsto dalla Costituzione, il voto esprime le scelte degli
italiani; è quindi logica conseguenza democratica che il potere esecutivo
rappresentato dal governo rispecchi il nuovo equilibrio che si è formato in
Parlamento;
3. qualora si
volesse ignorare il punto 2, c’è l’art.71 della Costituzione che attribuisce
l’iniziativa legislativa anche al governo e l’art.77 che attribuendo dei limiti
prevede che la sua azione legislativa sia sottoposta all’approvazione
parlamentare.
Come si può fare
tutto ciò senza una maggioranza parlamentare? Come può il governo Monti
svolgere appieno le funzioni che la Costituzione attribuisce al governo dovendo
procedere solo per la gestione degli affari correnti?
Conclusione: è
necessario che vi sia un governo con piene attribuzioni e non limitato all’ordinaria
amministrazione. E’ auspicabile che il governo sia sorretto da una maggioranza,
perché un governo di minoranza che, di volta in volta, va a cercare
l’approvazione per i provvedimenti di sua iniziativa, crea una situazione d’incertezza
e, data la caratteristica della nostra classe politica, sprovvista di capacità
gestionale, individualista, in alcuni pezzi corrotta, optare per un governo di
minoranza soggetto a votazioni “variabili” rende il potere esecutivo inefficace
e più esposto a ricatti e condizionamenti.
In altri paesi un
governo che, di volta in volta, cerca voti per i suoi provvedimenti può
funzionare, in Italia, no.
Piaccia o no a
Grillo e Becchi, ma un governo che vada al Parlamento e si faccia dare una
fiducia deve esistere.
Il
momento attuale, la “bicamerale” di Napolitano, reazioni
Il presidente della
Repubblica ha preso atto che Bersani non vuole un governo con i voti del Pdl,
che il M5S non è disposto a concedere fiducia a priori. Che non è il caso di
andare votare con questa legge elettorale che ripresenterebbe i soliti problemi
di governabilità a meno che…le nuove elezioni non le vinca Berlusconi.
Sì, perché se
Berlusconi sta recuperando consenso, come sostiene il diretto interessato, è
possibile che l’ex premier ottenga la maggioranza in entrambi i rami del
Parlamento. Il porcellum di Calderoli è stato argutamente pensato dal leghista
per favorire la maggioranza del centro-destra. Si è partiti dal presupposto che
alcune regioni sono roccaforti di quest’area politica. Se si andasse votare a
giugno o, comunque, entro l’anno, è presumibile che il voto in certe regioni
non cambierebbe. Se a questo aggiungessimo un recupero rispetto alle percentuali
ottenute alla Camera, il gioco è fatto: Berlusconi sarebbe nuovamente il
candidato premier. Manco un nuovo presidente della repubblica di sinistra
potrebbe impedire a Berlusconi di governare.
Berlusconi al
momento ha due opzioni: voto immediato – da giugno a fine anno – o governo con
il Pd. Che questo partito pagherebbe al prossimo giro elettorale. Anche se
fosse tra qualche anno.
Dato quanto sopra,
da cui discende l’impossibilità di trovare una formula di governo che abbia i
numeri in Parlamento e data la determinazione di Napolitano di opporsi a un
governo che vada alla ricerca dei voti a ogni provvedimento, ecco che il
presidente della repubblica s’inventa – e non mi pare sia mai successo prima –
una sorta di bicamerale. Due commissioni composte da cinque saggi ciascuna.
Compito di queste
commissioni l’individuazione dei punti prioritari, sia in materia economica sia
in materia istituzionale con l’intenzione di arrivare a trovare una maggioranza
per sostenere un governo.
Che c’entrano queste
commissioni con il dettato costituzionale e con la prassi costituzionale.
Nulla. Certo. Non c’è nulla che osta. Ma la scelta di Napolitano è “discutibile”
dal punto di vista della prassi costituzionale e, al momento, non si capisce a
cosa porti. Mettiamo pure che le due commissioni riescano in dieci giorni a
predisporre un piano d’interventi. Chi ci assicura che le forze politiche
abbiano la volontà di procedere con l’attuazione. Non solo. Se i contenuti
delle proposte dei cosiddetti saggi incidessero in misura incisiva su norme attuali
e su aspetti che hanno più volte contrapposto Pd e Pdl, che fine farebbero
queste “saggezze”.
A rassicurare i
Mercati?
Ci risiamo…non
ricominceremo con il tormentone dell’Europa e dei Mercati. Perché, sia chiaro,
l’obiettivo non può essere fare ciò che vogliono l’Europa e i Mercati ma
attuare alcuni provvedimenti base per rifiatare. Nel mentre, il Parlamento
dovrà recuperare le sue prerogative e dimostrare l’effettiva volontà di
cambiamento incidendo nel profondo delle istituzioni. Il cambiamento dei
modelli di vita degli italiani richiede invece tempi lunghi. Sia per gli
interventi immediati sia per quelli a lungo termine, non è indispensabile
questa sorta di bicamerale da repubblica presidenziale.
Ma, oggettivamente,
che poteva fare Napolitano di fronte all’esito dell’incarico esplorativo dato a
Bersani? Non può sciogliere il Parlamento appena eletto perché siamo nel
semestre bianco (così chiamato il periodo di sei mesi che precede l’elezione di
un nuovo presidente della repubblica), non riesce a trovare una maggioranza
intorno a un governo.
Certo. Può
rassegnarsi a un governo di minoranza che si presenti di volta in volta in
Parlamento per far approvare i suoi provvedimenti. Altra soluzione non c’è. Ma il
governo di minoranza è in grado di “rassicurare” l’Europa e i Mercati e, soprattutto, ha
sufficiente forza per farsi sentire a livello europeo così da ottenere un alleggerimento
del compitino e…qualche esercizio in meno?
Non si può negare
che a Giorgio Napolitano sia capitato un rebus. Con ciò, l’Italia non è una
repubblica presidenziale. Troppe “anomalie” gestionali rischiano di far saltare
per aria tutto. Non solo i Mercati.
P.S: i cosiddetti
saggi sono tutti di sesso maschile. Questo ha provocato la reazione di Emma
Bonino e di altre donne. Non mi pare la questione principale. Non che non abbia
rilevanza questo “sessismo”. Ma il primo punto della questione è: perché, a
cosa servono, cosa devono fare questi componenti le commissioni. Vale a dire:
ruoli e obiettivi. La prima domanda che si pone un uomo al sapere che un certo
incarico è stato assegnato ad altri e non a lui è: che ruolo, che obiettivi. Le
donne, invece, hanno come reazione istintiva: ma noi non ci siamo.
Beh..in questa
bicamerale di Napolitano che, al momento, pare inutile, è meglio non esserci.
Ma, soprattutto, sarà opportuno ragionare di fronte a certi eventi con logica
maschile e non femminile. Non si tratta – l’equivoco del femminismo e della
liberazione sessuale – di imitare il maschio. Al contrario, si tratta di
capirne le logiche e usarle dove è necessario. Solo così riusciremo a farci aprire
certe porte, a sedere su certe poltrone, dalle quali dimostreremo senza
particolare sforzo la nostra superiorità
in certi ambiti e serviremo al cambiamento sempre più indispensabile di questo
paese.
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