mercoledì 2 maggio 2012

Beppe Grillo: mafia e stato



Sulla mafia il buonsenso di Grillo non è proprio a 5 stelle
Perché sulla battuta infelice a Palermo il politico si gioca la credibilità del suo pensiero.
di Lia Celi

Non sta bene parlare male di chi ti ha sfamato alla sua tavola. Quindi non potrei mai parlare male di Beppe Grillo, visto che nella lontana estate del 1997, quando fui spedita a casa sua a Nervi da Paolo Flores d’Arcais per rivedere assieme a lui un’intervista per Micromega, mi rifocillò con delle ottime penne al pomodoro, che io indegnamente contraccambiai ammorbandogli il soggiorno di fumo di sigaretta (allora per me scrittura e tabagismo erano inscindibili).
I TEMI CARI AL GRILLO D'ALLORA. Lui sicuramente si è dimenticato di quella carneade sfumazzante, ma io non dimentico mai un piatto di pastasciutta, specie se consumato davanti a uno splendido panorama. Penne a parte, non ho scordato nemmeno il contenuto dell’intervista, anche perché verteva su temi che Grillo trattava nei suoi spettacoli di allora e aveva già presentato su Cuore, il settimanale per cui avevo lavorato (lo sviluppo sostenibile, la dittatura dell’automobile, gli aspetti più ottusi del cosiddetto “progresso”).
NON ANCORA ENTRATO IN POLITICA. Argomenti per i quali il performer (nel senso che non era più solo comico, ma ancora non era politico) attingeva a materiali e spunti freschi freschi dal Nord Europa, soprattutto dalla Germania, e che per l’Italia erano nuovi di zecca.
A Beppe Grillo va il merito di averli resi popolari attraverso il suo personalissimo stile di divulgazione che mescola intrattenimento, comicità, pedagogia e reportage.
Senza Grillo, probabilmente, non avremmo Marco Paolini, Ascanio Celestini e tutti gli altri «oratori civili» che dal
palco sottopongono le memorie pigre e le coscienze addormentate a salutari elettrochoc travestiti da affascinanti, e a tratti perfino divertenti, monologhi.

Imparare a indorare la pillola

La ricetta è sempre la stessa dai tempi di Lucrezio e Torquato Tasso: il pubblico accetta argomenti difficili solo se presentati in forma piacevole, come il bimbo assume più volentieri la medicina se l’orlo del bicchiere è intinto nel miele («succhi amari ingannato intanto ei beve, e da l’inganno suo vita riceve» come scrisse Tasso nella Gerusalemme Liberata). La scienza naturale e la storia delle Crociate, raccontate in poesia, sono più palatabili; gli orrori passati e presenti d’Italia, interpretati con il gesto, la voce e la battuta da un istrione geniale, sono uno spettacolo che ti inchioda alla poltrona strappandoti lo sdegno e la risata quasi contemporaneamente.
ALLA RICERCA DEL RETTO PENSIERO. A metà fra la rabbia e la risata, fra l’emotività scatenata e il distacco ironico, c’è il retto pensiero, ed è qui che lo spettatore, dopo aver oscillato come un pendolo fra l’uno e l’altro polo, dovrebbe fermarsi, attirato dalla forza del buon senso, o ragione, o spirito critico, dipende da come lo vogliamo chiamare.
Se manca questa forza, o è troppo debole, il pensiero dello spettatore sbanda, non sa dove arrestarsi, si confonde, si ferma sulla rabbia o, più raramente, sulla risata, scandalizzato o del tutto fuori strada.
LO SCIVOLONE POCO ELEGANTE SULLA MAFIA. Come è successo con l’ultima affermazione di Grillo che, sintetizzata (ovviamente a capocchia) dai media, suona così: «La crisi è peggio della mafia, che chiede il pizzo ma non strangola le proprie vittime». Affermazione che ha dato il destro ai detrattori di Grillo per strombazzare l’equazione «antipolitica uguale pro-mafia», ma che è parsa inopportuna anche a parecchi suoi sostenitori, o almeno ai più laici, soprattutto perché pronunciata a Palermo, e alla vigilia del trentennale dell’omicidio di Pio La Torre e Rosario Di Salvo, che in effetti strangolati non furono, bensì crivellati di colpi di pistola.
STRANGOLARE L'ECONOMIA DEL PAESE. Quest’immagine di mafia cavalleresca, illegale ma non ignobile, fra i Beati Paoli e i Due mafiosi contro Goldginger di Franco e Ciccio, è sempre stata un mito, ma oggi è meno credibile che mai: di mafie ce ne sono tante, una più feroce dell’altra, e nessuna è estranea alla crisi strangolatrice, anzi: si reggono a vicenda, da brave complici, il laccio e il sacco del bottino.
E come la crisi, in Italia le mafie strangolano da anni l’economia del Paese, sono il freno a mano che ne blocca il progresso, non solo con le loro attività criminose, ma anche e soprattutto per la mentalità che osmoticamente hanno diffuso anche in tessuti sociali non mafiosi.
L'ACCUSA DI COMPLOTTO MEDIATICO. Ci volevano buon senso e spirito critico per far arrestare il pendolo dell’opinione nel giusto mezzo fra accatastare il rogo e l’accusa di complotto mediatico contro il guru del Movimento 5 stelle. Giusto mezzo che nella frase in questione si può riassumere così: questa crisi è veramente, veramente, veramente, ma veramente brutta, da Palermo a Tarvisio.
UN PAESE AD ALTISSIMA SUSCETTIBILITÀ. Ma è almeno un trentennio che in Italia l’esercizio del buon senso e dello spirito critico viene scoraggiato in ogni contesto, dalla scuola alla politica alla cultura per non parlare dei media, dove si preferiscono ipocrisia e malafede (è uno degli effetti dell’osmosi del mafia-pensiero di cui sopra).
Grillo dovrebbe saperlo: siamo un Paese ad altissima suscettibilità per quanto riguarda le stronzate, e una battuta infelice durante un comizio è, oggettivamente, una stronzata. Ma è su queste stronzate, facilmente strumentalizzabili, che si gioca la credibilità di un uomo e del movimento che anima. La mafia non solo fa saltare i negozi di chi non paga il pizzo, ma uccide giudici e politici scomodi e scioglie nell’acido donne e bambini.
UNA BATTUTA DEL TUTTO FUORI LUOGO. Anche la crisi sta facendo troppi morti, e, come la mafia, sembra invincibile perché lo Stato tenta di combatterla dopo averci flirtato troppo a lungo. Questa era la battuta da fare in Sicilia. Se Beppe vuole riutilizzarla, gliela regalo. Sempre troppo poco, rispetto a quelle stupende penne al pomodoro.

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