giovedì 1 marzo 2012

Tv: le produzioni italiane sparite dal mercato internazionale, cause e rimedi


da: Corriere della Sera

L’occasione sciupata della tv italiana
Le nostre produzioni spariscono dalle fiere internazionali. Ma non è tutto perduto
di Dom Serafini

L’industria audiovisiva italiana è scomparsa dalla scena internazionale. Ormai è un fatto chiaro. Alle ultime due fiere Tv – Atf di Singapore e Natpe di Miami Beach – non vi era un singolo espositore italiano. Al mercato del cinema Afm di Santa Monica lo scorso autunno, vi era una sola società espositrice italiana. In compenso a questi eventi sono aumentate le presenze di società francesi, spagnole, turche, coreane, cinesi, canadesi, inglesi ed in particolar modo dell’America Latina.
La crisi del settore si è aggravata con la scomparsa dell’Istituto per il commercio estero (Ice) che permetteva a molti produttori e distributori italiani di partecipare alle fiere contenendo le spese.
Ci si chiede perché gli italiani riescano ad esportare in tutto il mondo moda, automobili, arredamento, prodotti alimentari, vini e persino barche, ma non un programma televisivo o un film?
Una volta non era così, anzi l’Italia era all’avanguardia nel settore audiovisivo mondiale. Basti ricordare che il concetto di una fiera per la Tv e il cinema è nato in Italia nel 1960 con il Mifed di Milano. L’idea di un festival cinematografico è nata a Venezia nel 1932 e quello radio-televisivo è stato creato dalla Rai (PrixItalia) nel 1948.

Primi nel commerciale
Ma non solo. L’Italia ha introdotto la Tv commerciale in Europa (prima esisteva solo un sistema commerciale semi-statale in Gran Bretagna) negli anni Settanta ed ha contribuito a popolarizzare programmi europei nelle Americhe negli anni Ottanta. In quel periodo, grazie a personaggi come Renato Pachetti (Rai Corp., New York),
Biagio Agnes e Giampaolo Sodano (Rai), Michele Guido Franci (Mifed-Fiera Milano), Silvio Berlusconi (Fininvest) e Carlo Sartori (Forum Tv all’Onu), l’Italia primeggiava a livello internazionale, ed in particolar modo a Hollywood. E i risultati si vedevano sotto forma di grandi coproduzioni con gli americani, poi vendute in tutto il mondo.
Il declino è cominciato con l’entrata in politica di Berlusconi, che ha creato un complesso produttivo altamente dipendente dal potere politico, un sistema distributivo superfluo e una struttura manageriale inefficiente. Ha aiutato invece a risparmiare sugli acquisti, vista la vicinanza tra i dirigenti Rai e quelli Mediaset.
Si è visto come i produttori siano stati incoraggiati ad entrare in politica e poi lasciati alla mercé del governo per poter continuare a produrre. Siamo stati testimoni di come ai produttori non venissero concessi i diritti di sfruttamento all’estero. Abbiamo anche incontrato i produttori non interessati alla vendita oltre confine perché già appagati dai ricavi sul territorio nazionale. Infine abbiamo osservato come siano venuti meno la creatività e il marketing.
Si dice spesso che, mentre un distributore di audiovisivi americani riesce a vendere ghiaccio a un eschimese, un italiano non saprebbe nemmeno vendergli una stufetta. Da tener presente che solamente una piccola parte dei contenuti Usa è buono, il resto è reso appetibile da una vasta campagna di marketing. Strategia che tra l’altro seguono altre industrie italiane come appunto quelle della moda e degli alimenti.

Forma e sostanza
La politicizzazione del settore intrattenimento ha anche ridotto la creatività, impoverito i contenuti ed eliminato gli elementi commerciali. Inoltre, la visione «romacentrica» dell’industria, secondo la quale tutto ciò che succede fuori Roma non serve, ha ulteriormente danneggiato il comparto, non solo televisivo e cinematografico, ma anche quello musicale. Basti guardare il recente Festival di Sanremo: le parti più seguite erano gli intervalli tra le canzoni in gara.
Seppur la situazione sia grave, l’Italia audiovisiva può tornare a risplendere nel mondo grazie alla sua grande riserva di talenti: artistici, tecnici e manageriali. La premiazione al Festival di Berlino del film dei fratelli Taviani, Cesare deve morire, esalta questa creatività a livello artistico che dovrà crescere a livello commerciale.
Per far ciò bisogna però ridurre l’influenza politica in Rai; far sì che i produttori rischino di tasca propria e quindi siano stimolati dalle vendite estere; offrire contributi statali per il marketing internazionale; proporre sovvenzioni per coproduzioni estere; stimolare la creazione di cooperative di reti Tv per la produzione di fiction; aiutare lo sviluppo di società per la distribuzione a livello mondiale e agevolare tutti i media che si espandono a livello internazionale (come Rai World e Mediaset Italia). Infine, la stampa italiana dovrebbe essere più severa: non correre a Cannes per ufficializzare improbabili vendite all’estero ad uso e consumo dei referenti politici dei dirigenti tv.
Bisogna ricordare che vendere seriamente un prodotto audiovisivo all’estero significa promuovere il sistema Italia ed il Made in Italy, il che va a beneficio di tutti i nostri settori produttivi. 

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