da: Corriere della
Sera
L’occasione sciupata della tv italiana
Le nostre produzioni spariscono dalle fiere
internazionali. Ma non è tutto perduto
di Dom Serafini
L’industria audiovisiva
italiana è scomparsa dalla scena internazionale. Ormai è un fatto chiaro. Alle
ultime due fiere Tv – Atf di Singapore e Natpe di Miami Beach – non vi era un
singolo espositore italiano. Al mercato del cinema Afm di Santa Monica lo
scorso autunno, vi era una sola società espositrice italiana. In compenso a
questi eventi sono aumentate le presenze di società francesi, spagnole, turche,
coreane, cinesi, canadesi, inglesi ed in particolar modo dell’America Latina.
La crisi del
settore si è aggravata con la scomparsa dell’Istituto per il commercio estero
(Ice) che permetteva a molti produttori e distributori italiani di partecipare
alle fiere contenendo le spese.
Ci si chiede
perché gli italiani riescano ad esportare in tutto il mondo moda, automobili,
arredamento, prodotti alimentari, vini e persino barche, ma non un programma
televisivo o un film?
Una volta non era
così, anzi l’Italia era all’avanguardia nel settore audiovisivo mondiale. Basti
ricordare che il concetto di una fiera per la Tv e il cinema è nato in Italia
nel 1960 con il Mifed di Milano. L’idea di un festival cinematografico è nata a
Venezia nel 1932 e quello radio-televisivo è stato creato dalla Rai
(PrixItalia) nel 1948.
Primi nel commerciale
Ma non solo. L’Italia
ha introdotto la Tv commerciale in Europa (prima esisteva solo un sistema
commerciale semi-statale in Gran Bretagna) negli anni Settanta ed ha
contribuito a popolarizzare programmi europei nelle Americhe negli anni Ottanta. In quel periodo, grazie a personaggi come Renato
Pachetti (Rai Corp., New York),
Biagio Agnes e Giampaolo Sodano (Rai), Michele Guido Franci (Mifed-Fiera Milano), Silvio Berlusconi (Fininvest) e Carlo Sartori (Forum Tv all’Onu), l’Italia primeggiava a livello internazionale, ed in particolar modo a Hollywood. E i risultati si vedevano sotto forma di grandi coproduzioni con gli americani, poi vendute in tutto il mondo.
Biagio Agnes e Giampaolo Sodano (Rai), Michele Guido Franci (Mifed-Fiera Milano), Silvio Berlusconi (Fininvest) e Carlo Sartori (Forum Tv all’Onu), l’Italia primeggiava a livello internazionale, ed in particolar modo a Hollywood. E i risultati si vedevano sotto forma di grandi coproduzioni con gli americani, poi vendute in tutto il mondo.
Il declino è cominciato con l’entrata in
politica di Berlusconi, che ha creato un complesso produttivo altamente
dipendente dal potere politico, un sistema distributivo superfluo e una
struttura manageriale inefficiente. Ha aiutato invece a risparmiare sugli
acquisti, vista la vicinanza tra i dirigenti Rai e quelli Mediaset.
Si è visto come i
produttori siano stati incoraggiati ad entrare in politica e poi lasciati alla
mercé del governo per poter continuare a produrre. Siamo stati testimoni di
come ai produttori non venissero concessi
i diritti di sfruttamento all’estero. Abbiamo anche incontrato i produttori non interessati alla vendita
oltre confine perché già appagati
dai ricavi sul territorio nazionale. Infine abbiamo osservato come siano venuti
meno la creatività e il marketing.
Si dice spesso
che, mentre un distributore di audiovisivi americani riesce a vendere ghiaccio
a un eschimese, un italiano non saprebbe nemmeno vendergli una stufetta. Da
tener presente che solamente una piccola parte dei contenuti Usa è buono, il
resto è reso appetibile da una vasta campagna di marketing. Strategia che tra
l’altro seguono altre industrie italiane come appunto quelle della moda e degli
alimenti.
Forma e sostanza
La politicizzazione
del settore intrattenimento ha anche ridotto la creatività, impoverito i
contenuti ed eliminato gli elementi commerciali. Inoltre, la visione
«romacentrica» dell’industria, secondo la quale tutto ciò che succede fuori
Roma non serve, ha ulteriormente danneggiato il comparto, non solo televisivo e
cinematografico, ma anche quello musicale. Basti guardare il recente Festival di Sanremo: le parti più seguite erano gli
intervalli tra le canzoni in gara.
Seppur la
situazione sia grave, l’Italia audiovisiva
può tornare a risplendere nel mondo grazie alla sua grande riserva di
talenti: artistici, tecnici e manageriali. La premiazione al Festival di
Berlino del film dei fratelli Taviani, Cesare
deve morire, esalta questa creatività a livello artistico che dovrà
crescere a livello commerciale.
Per far ciò bisogna però ridurre l’influenza politica in Rai; far sì che
i produttori rischino di tasca
propria e quindi siano stimolati dalle vendite estere; offrire contributi statali per il marketing internazionale;
proporre sovvenzioni per coproduzioni estere; stimolare la creazione di
cooperative di reti Tv per la produzione di fiction;
aiutare lo sviluppo di società per la distribuzione a livello mondiale e
agevolare tutti i media che si espandono a livello internazionale (come Rai
World e Mediaset Italia). Infine, la stampa italiana dovrebbe essere più
severa: non correre a Cannes per ufficializzare improbabili vendite all’estero
ad uso e consumo dei referenti politici dei dirigenti tv.
Bisogna ricordare che
vendere seriamente un prodotto audiovisivo all’estero significa promuovere il
sistema Italia ed il Made in Italy, il che va a beneficio di tutti i nostri
settori produttivi.
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