2,2 euro è il
valore attuale del titolo Mediaset. Prima della crisi valeva 4,6.
Eppure….Silvio
Berlusconi ha sempre negato la crisi e non ha mai fatto nulla - perché inadatto a governare – per
risolverla. Chi è causa del suo mal – ma soprattutto dei nostri - pianga se
stesso.
Ora, Berlusconi e
la sua azienda di famiglia, vorrebbero impedire qualsiasi riforma del sistema
televisivo che potrebbe limitare il duopolio
“minacciando” riduzioni del personale in Mediaset.
Certo. Non possono
pensare a una riconversione verso programmi e modalità di palinsesto che
riattirino gli inserzionisti pubblicitari perché non hanno una struttura
aziendale capace di individuare criticità, trovare soluzioni per risolverle,
rispondere alla dinamicità di domanda del pubblico.
da: La Stampa
Nelle Tv del Cavaliere va in onda “il disgelo”
L’”addio alle armi” segnala la voglia di “grande
coalizione”
di Marco Alfieri
«Stiamo
recuperando la logica della polifonia nell’informazione, il mantra di Fedele
Confalonieri», sibila un manager di Cologno Monzese. «Negli ultimi anni,
dall’uscita di Enrico Mentana, quel tratto in Mediaset si era un po’ perso…».
La partenza del
canale all news TgCom24 diretto da Mario Giordano, anticipato in autunno per la
nascita del governo Monti, è il simbolo del lento scongelamento nella corazzata
mediatica di Silvio Berlusconi: tv e carta, Mediaset, Mondadori e il Giornale
spesso usati per tirare la volata alla carriera politica dell’ex premier. Da
qualche tempo sull’agile rullo quotidiano di Giordano non è casuale trovare tra
gli ospiti i «nemici» Rosi Bindi o Antonio Di Pietro. Non sono casi isolati.
Chi dopo colazione si sintonizza su Mattino 5, il talk della rete ammiraglia
Mediaset condotta da Paolo Del Debbio, si troverà spesso in video quei «comunisti»
dei giornalisti del Fatto, il direttore dell’Unità o quello di Avvenire, mai
tenero con il governo del Cavaliere. «Come dicevano i preti, se suoni sempre la
stessa campana alla fine si rompe…», usa la metafora Del Debbio. «La nostra
fascia è strategica per la pubblicità, ci sono molte responsabili di acquisto.
Dobbiamo fare ascolti, altrimenti…».
Certo la
metamorfosi della galassia mediatica di Silvio B., dopo l’uscita da Palazzo
Chigi e il crollo in Borsa del titolo Mediaset (a 1,8 euro) di quei tragici
giorni di novembre con l’Italia sotto attacco, è un percorso a scatti.
«Le scorie del
passato sono tutti i giorni sul campo», ragionano in azienda. «Ma il target
dell’informazione non potrà più essere solo politico, il mercato evolve e
Berlusconi, abituato a ragionare con la razionalità del portafoglio, lo sta
capendo…». Lo stesso ad di Mediaset
e numero uno di Publitalia, Giuliano Andreani, in una intervista al
Sole 24Ore ha parlato della necessità di conquistare il mercato web. Il senso è
che «il gruppo dovrà sempre più
diversificare su altri mercati dove la rendita politica si azzera e la credibilità è da conquistare»,
traducono da Cologno. Qualche giorno prima, sul Giornale di famiglia, Vittorio
Feltri aveva aperto al governissimo. Addio alle armi? In scia ad un Berlusconi
che, tra il sornione e il malizioso, sembra diventato il primo fan del
professore bocconiano. Sempre che non si
tocchino i tabù giustizia e tv. In quel caso, torna il Caimano.
In Mondadori sta succedendo lo stesso. La
linea del vertice è un ritorno al dna
pluralista dopo gli anni del bipolarismo di guerra. Prime discontinuità: Alfonso Signorini non più direttore
responsabile di Tv Sorrisi e Canzoni (lo resta di Chi) ma solo direttore
editoriale. A Segrate c’è chi parla di un suo ridimensionamento dopo il
sexygate e la stagione dei patinati al servizio della Real Casa di Arcore.
Inoltre le tre testate principe Tv Sorrisi, Chi e Panorama, in forte calo di
copie, subiranno un restyling grafico e di contenuti entro l’estate.
Al settimanale
diretto da Giorgio Mulè da un mesetto arrivato da IL (il maschile del Gruppo 24
Ore) il nuovo vicedirettore, Walter Mariotti, tutt’altro che un berlusconiano.
«Sull’agenda dei
nostri manager tornano centrali i numeri», raccontano da Segrate. «Per vendere bisogna essere autorevoli e plurali». Segnali deboli,
tra carta e tv, che spingono qualcuno a riandare con nostalgia alla stagione
dei Santoro, Costanzo, Mentana, le prime Iene e la Gialappa’s.
Lo scongelamento è in fondo il pendant mediatico del ritorno in pista del
Cavaliere in vista del toto Quirinale o di una posizione comunque da
kingmaker. Ma per farlo serve il volto dialogante e inclusivo delle sue tv e
riviste, consono alla stagione dei tecnici in politica. Ma soprattutto è una via obbligata dopo la fine della
polizza Berlusconi a Palazzo Chigi, che ha permesso di congelare i nodi
industriali del gruppo: i pochi campioni di ascolto (Zelig, Striscia la
notizia, De Filippi e Scotti), format usurati (Grande Fratello), la formula
Premium che non decolla, le difficoltà di Endemol e lo spostamento del trend
pubblicitario sulla pay tv profilata, in una stagione in cui il governo ha
sospeso il «beauty contest» sulle frequenze tv e il risarcimento milionario
versato da Fininvest all’arcinemico Carlo De Benedetti pesa sulle casse del
gruppo. Costringendo Mediaset a tagliare entro l’anno 250 milioni di costi.
«L’informazione nel dopo Berlusconi deve
riposizionarsi, venendo meno la polarizzazione. Saranno più centrali i
fatti sociali, economici e culturali che interessano la vita di tutti i giorni,
piuttosto che la politica politicante», conferma Lorenzo Sassoli De Bianchi,
presidente dell’Upa, l’associazione degli inserzionisti pubblicitari. Un’altra
volta vuol dire allargare i consensi tornando alla polifonia informativa tanto
cara al «pianista» Confalonieri. Centrale nei momenti delicati dell’azienda, in
cui la capacità di mediazione politico-istituzionale da premio sul protagonismo
dei figli grandi del Cavaliere, Pier Silvio in Mediaset e Marina in Mondadori.
Confalonieri,
intervistato da Ballarò non a caso ha elogiato il governo: «è utile, finora ha
fatto bene. Monti? Lo metterei a fare il presidente di Mediaset…». Si è fatto
poi vedere in Commissione Bilancio dove ha paventato il rischio occupazionale
se ricavi e pubblicità non ripartissero. Prima di chiudersi a colloquio con il
premier. La crisi si fa sentire (in un anno il titolo Mediaset è passato da 4,6 a 2,2 euro), c’è bisogno di sponde. La polifonia è un fatto di sopravvivenza…
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