Il Veneto dei suicidi
La crisi e i risvolti drammatici in quella che era
una delle regioni più ricche d'Europa. Eugenio Benetazzo, esperto di finanza,
ci racconta la sua terra, il suo Veneto in difficoltà. Un modello
imprenditoriale, quello del Nord-Est, ormai fallimentare
di Eugenio Benetazzo
Da quando si è
innescata la cosiddetta crisi economica
siamo stati colpiti in maniera abbastanza preoccupante da fenomeni di suicidi legati a impossibilità o incapacità di piccole e
medie imprese di continuare il loro operato.
Impossibilità che
per la maggior parte dei casi è sfociata nella peggiore manifestazione
possibile attraverso un suicidio, riferendomi in particolar modo alla mia
regione, il Veneto, come quella più colpita da questi fenomeni di grande e
profondo disagio sociale e di inquietudine. Con periodicità non dico
settimanale ma quasi, qui nel Triveneto, e anche in altre vicine province,
riceviamo con tristezza queste notizie che rammaricano e preoccupano, anche
perché una persona prima di arrivare a commettere un gesto finale di questa
portata, ritengo sia portata a sviluppare tutta una serie di pensieri e di
riflessioni che non riguardano meramente la scena economica, ma anche quella
sociale e sentimentale. Pensiamo a padri che si sono tolti la vita e, oltre a
abbandonare l'azienda, le proprie maestranze, hanno abbandonato anche la
propria famiglia.
Come mai il Veneto in particolar modo viene colpito da
questo fenomeno sociale che non ha precedenti storici? Forse la spiegazione la
troviamo nel cosiddetto modello del Nord
- Est, quel modello di sviluppo economico che è stato osannato e ammirato
per decenni in tutto il mondo. Un modello costituito da piccole e medie imprese molto flessibili, dinamiche, con un numero
contenuto di manodopera che consentiva
di essere particolarmente competitivo,
almeno in uno scenario economico in cui non esisteva ancora la globalizzazione
e in cui ancora non bisognava andare a scontrarsi con la concorrenza,
soprattutto proveniente da Oriente.
Il modello del Nord - Est, oggi, è un modello
fallimentare, ormai perdente. Parliamo di un modello caratterizzato magari
da poca managerialità e soprattutto
da molta improvvisazione e voglia di
fare, che sono caratteristiche che han sempre contraddistinto questa
Regione.
Sostanzialmente
qui c'è tanta vocazione per lavorare, tanta
voglia di fare, però quando lo scenario
economico, negli ultimi 10 anni, è mutato radicalmente, questo non ha
permesso innanzitutto un cambio di governance e di dirigenza ambientale. Non ha
consentito, cioè, alle piccole - medie imprese di adeguarsi anche nel modo di
produrre, fare concorrenza, vendere, distribuire etc., dovendo accettare invece
la concorrenza e le difficoltà
provenienti da uno scontro che non si era mai visto tra operatori economici provenienti soprattutto dall'area indocinese e
indonesiana.
Esistono
distretti, nel mio territorio, che oggi soffrono profondamente questa
trasformazione.
Nello specifico possiamo identificare un aspetto che è particolarmente caratteristico di questo territorio, che è sostanzialmente la sottocapitalizzazione. La maggior parte della piccola e media impresa operante nel Triveneto è costituita da piccole e medie imprese con bassi capitali e risorse. Imprese che tutto sommato hanno un capitale di rischio molto contenuto, e questo le rende molto abili nel momento in cui si fa incontro a un periodo di ristrutturazione o di ridimensionamento del mercato.
Nello specifico possiamo identificare un aspetto che è particolarmente caratteristico di questo territorio, che è sostanzialmente la sottocapitalizzazione. La maggior parte della piccola e media impresa operante nel Triveneto è costituita da piccole e medie imprese con bassi capitali e risorse. Imprese che tutto sommato hanno un capitale di rischio molto contenuto, e questo le rende molto abili nel momento in cui si fa incontro a un periodo di ristrutturazione o di ridimensionamento del mercato.
E' vero, però, che
diversi episodi di cronaca nera hanno evidenziato come molti piccoli
imprenditori hanno preferito abbandonare l'attività togliendosi la vita per
ragioni legate alla propria sfera personale e soprattutto alla responsabilità
sociale nei confronti del territorio all'interno del quale sono insediati. Mi
riferisco a tutti quegli esempi in cui gli imprenditori non se la sentivano di
licenziare persone, operai con i quali lavoravano ormai da decenni, per ragioni
di coesione e vicinanza sociale proprio con la sfera personale che caratterizza
tantissimo questa Regione, e hanno preferito optare per una strada nefasta.
Vi sono inoltre
episodi molto gravi che fanno capire come addirittura piccole e medie imprese
in questo momento sono in difficoltà per le tempistiche di pagamento che hanno
molti enti locali, i quali commissionano attività e forniture e poi mettono
profondamente in difficoltà le imprese per pagamenti che si realizzano su 6 o
addirittura 12 mesi. E questo, anche a causa dei problemi di
sottocapitalizzazione cui facevo riferimento prima, rende faticosa la vita
finanziaria per la piccola e media impresa.
Termino questo
pensiero che abbiamo formulato per commentare questo fenomeno che è
particolarmente gravoso che secondo me dovrebbe portarci a riflettere tutti
quanti, visto che nel vivere quotidiano l'imprenditore ha tante possibilità di
scelta, non necessariamente quella di togliersi la vita, ma anche quella di
abbandonare, eventualmente un mercato o un'attività che o non è più
remunerativa o non dà più soddisfazione.
Purtroppo nella nostra storia di imprenditori italiani abbiamo imparato a innamorarci delle nostre aziende, avendole magari ereditate da generazioni precedenti, e quindi abbiamo una sorta di impegno morale nel continuare a portarle avanti. Purtroppo la trasformazione endemica di tutto il tessuto produttivo del nostro paese che è destinato, ahimè, a un lento e inesorabile processo di deindustrializzazione, ci porta a cominciare a riflettere su quelle che sono le problematiche di ristrutturazione aziendali, per le piccole e medie imprese nei prossimi anni.
Purtroppo nella nostra storia di imprenditori italiani abbiamo imparato a innamorarci delle nostre aziende, avendole magari ereditate da generazioni precedenti, e quindi abbiamo una sorta di impegno morale nel continuare a portarle avanti. Purtroppo la trasformazione endemica di tutto il tessuto produttivo del nostro paese che è destinato, ahimè, a un lento e inesorabile processo di deindustrializzazione, ci porta a cominciare a riflettere su quelle che sono le problematiche di ristrutturazione aziendali, per le piccole e medie imprese nei prossimi anni.
In altre parti del mondo, questi tipi di
fenomeni non si verificano perché nella maggior parte dei casi le aziende hanno
dimensioni maggiori e soprattutto hanno un management
esterno alla proprietà dell'azienda. Solitamente il management non è
radicato nel territorio oppure non ha legami con il territorio, per cui quando
un grande general manager di un'azienda di grandi dimensioni decide di
delocalizzare, di chiudere, di spostarsi, di portare alla fine una linea
produttiva, è una decisione che viene presa dentro una sala consiliare che non
ha più di tanto risvolti sociali a livello personale per il management, mentre
come abbiamo detto all'inizio dell'intervento, nella nostra terra questo tipo
di percorso non si è ancora verificato, ovvero il management è sempre stato
vicino, è del territorio e pertanto nei confronti dello stesso territorio ha
una responsabilità non solo diretta, ma anche indiretta per quanto riguarda il
grado di coesione e responsabilità con le maestranze.
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