L’economia della musica
La Recording Industry Association
of America (Associazione dell’industria di registrazione d’America, o RIAA) e
le analoghe associazioni industriali che operano nei paesi europei sostengono
il seguente argomento: il cambiamento tecnologico rende necessari interventi
legislativi – e di controllo – che prevengano la «pirateria», perché questa sta
uccidendo l’industria della musica. Certamente, i musicisti hanno il diritto di
trarre vantaggio dalle loro creazioni. Nel sistema corrente, però, i proventi
del copyright vanno ai musicisti oppure ai principali produttori che agiscono come
guardiani e pastori di tali produzioni? Grazie alla distribuzione via internet
e ai moderni computer utilizzati dagli studi di registrazione, il costo per
produrre musica si rivela abbastanza basso. Dunque i presunti costi fissi da recuperarsi attraverso i profitti dei
monopoli non sono dovuti agli effettivi costi di produzione e distribuzione della musica, che la
tecnologia moderna ha ridotto notevolmente rispetto a quelli di un tempo, bensì
alla…esistenza del sistema del coyright e al fatto che le grandi organizzazioni
burocratiche dei monopoli musicali devono essere mantenute nella loro funzione
parassitica. Di lì emergono i costi legali, di agenzia e di marketing che la
musica monopolizzata deve sostenere, e che vengono trasferiti sui consumatori.
C’è un secondo fatto importante che resta implicito
in questa storia, un fatto che molti di noi già conoscono bene, ma che spesso
viene dimenticato: i musicisti professionisti che riscuotono un discreto
successo guadagnano circa
50 mila
dollari all’anno dalle vendite dei loro CD o, meglio, da quella porzione della
loro attività che è protetta dal monopolio intellettuale; con tutta probabilità
guadagneranno le stesse cifre, o anche maggiori, attraverso i concerti dal
vivo, che non sono protetti dai monopoli intellettuali e nemmeno ne
beneficiano. E’ abbastanza evidente che musicisti rock o pop non hanno bisogno
di contratti multimilionari per esibirsi in pubblico o per registrare la
propria musica. Inoltre, poiché nella stragrande maggioranza dei casi appaiono
ricompensati da guadagni lordi attorno ai 100-150 mila dollari l’anno,
evidentemente la loro disponibilità a registrare la propria musica o a suonarla
in concerto, invece che perdere tempo a fare qualcos’altro, non sembra per niente
elevata. Ancora una volta, una considerazione attenta a come si potrebbe
distribuire musica attraverso le tecnologie oggi disponibili suggerisce che le
enormi e costose burocrazie legali, distributive e di marketing delle
multinazionali della musica sono – con molta probabilità – dei residui
parassitici prodotti dalla tecnologia del passato e mantenuti in vita dal
sistema del copyright. Se oggi si
riducesse il copyright sulla musica a cinque o dieci anni in tutto, molto
probabilmente aumenterebbe la quantità e qualità della musica disponibile,
soprattutto quella prodotta da quegli ottimi musicisti che, non avendo ancora
raggiunto la condizione di stelle (una condizione a cui, quasi certamente, la
grande maggioranza di loro non giungerà mai), sarebbero ben contenti di
produrre e suonare la propria musica in virtù di redditi che si aggirano
attorno ai 100 mila dollari (o euro) all’anno.
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