mercoledì 16 maggio 2012

Michele Boldrin e David K.Levine: Abolire la proprietà intellettuale / 1


L’economia della musica

La Recording Industry Association of America (Associazione dell’industria di registrazione d’America, o RIAA) e le analoghe associazioni industriali che operano nei paesi europei sostengono il seguente argomento: il cambiamento tecnologico rende necessari interventi legislativi – e di controllo – che prevengano la «pirateria», perché questa sta uccidendo l’industria della musica. Certamente, i musicisti hanno il diritto di trarre vantaggio dalle loro creazioni. Nel sistema corrente, però, i proventi del copyright vanno ai musicisti oppure ai principali produttori che agiscono come guardiani e pastori di tali produzioni? Grazie alla distribuzione via internet e ai moderni computer utilizzati dagli studi di registrazione, il costo per produrre musica si rivela abbastanza basso. Dunque i presunti costi fissi da recuperarsi attraverso i profitti dei monopoli non sono dovuti agli effettivi costi di produzione e distribuzione della musica, che la tecnologia moderna ha ridotto notevolmente rispetto a quelli di un tempo, bensì alla…esistenza del sistema del coyright e al fatto che le grandi organizzazioni burocratiche dei monopoli musicali devono essere mantenute nella loro funzione parassitica. Di lì emergono i costi legali, di agenzia e di marketing che la musica monopolizzata deve sostenere, e che vengono trasferiti sui consumatori. 

C’è un secondo fatto importante che resta implicito in questa storia, un fatto che molti di noi già conoscono bene, ma che spesso viene dimenticato: i musicisti professionisti che riscuotono un discreto successo guadagnano circa
50 mila dollari all’anno dalle vendite dei loro CD o, meglio, da quella porzione della loro attività che è protetta dal monopolio intellettuale; con tutta probabilità guadagneranno le stesse cifre, o anche maggiori, attraverso i concerti dal vivo, che non sono protetti dai monopoli intellettuali e nemmeno ne beneficiano. E’ abbastanza evidente che musicisti rock o pop non hanno bisogno di contratti multimilionari per esibirsi in pubblico o per registrare la propria musica. Inoltre, poiché nella stragrande maggioranza dei casi appaiono ricompensati da guadagni lordi attorno ai 100-150 mila dollari l’anno, evidentemente la loro disponibilità a registrare la propria musica o a suonarla in concerto, invece che perdere tempo a fare qualcos’altro, non sembra per niente elevata. Ancora una volta, una considerazione attenta a come si potrebbe distribuire musica attraverso le tecnologie oggi disponibili suggerisce che le enormi e costose burocrazie legali, distributive e di marketing delle multinazionali della musica sono – con molta probabilità – dei residui parassitici prodotti dalla tecnologia del passato e mantenuti in vita dal sistema del copyright. Se oggi si riducesse il copyright sulla musica a cinque o dieci anni in tutto, molto probabilmente aumenterebbe la quantità e qualità della musica disponibile, soprattutto quella prodotta da quegli ottimi musicisti che, non avendo ancora raggiunto la condizione di stelle (una condizione a cui, quasi certamente, la grande maggioranza di loro non giungerà mai), sarebbero ben contenti di produrre e suonare la propria musica in virtù di redditi che si aggirano attorno ai 100 mila dollari (o euro) all’anno.

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