da: Il Fatto
Quotidiano
Sta per compiere tre mesi il solenne impegno di Piercasinando sui fondi pubblici
ai partiti camuffati da “rimborsi
elettorali”.
È il 10 febbraio
quando, sull’onda del caso Lusi, il leader Udc annuncia: “Lunedì presento una
proposta di riforma dei partiti e la sottopongo in anteprima ad Alfano e
Bersani”. Parola d’ordine, ovviamente, “trasparenza”: infatti il tesoriere Udc,
Pino Naro, già arrestato e condannato per peculato ai tempi di Tangentopoli e
ora indagato per una mazzetta di 200 mila euro dal costruttore Tommaso Di
Lernia, è sempre al suo posto. Ricevuto il plico casiniano, gli altri due
dell’Ave Mario, cioè Bersani e Alfano,appongono le loro firme annunciando
“tempi rapidissimi”.
ABC ci dormono sopra un mesetto, confidando
nell’amnesia generale, e rialzano i capini solo il 5 aprile, quando esplode il caso
Belsito. Altro annuncio epocale, uno e trino: “La legge sui partiti è molto
urgente, ci sono gli estremi per un decreto”. Bersani: “Riforma improrogabile, corsia di assoluta priorità”. Casini: “Passiamo dalle parole ai
fatti”. Alfano: “Con me si sfonda una
porta aperta”. Certo,come no. Monito di Napolitano:
“Si ponga mano ad adeguate iniziative”. Di
Pietro, conoscendo i suoi polli, deposita il referendum per abolire i
cosiddetti rimborsi. Infatti il decreto ad hoc tramonta subito:meglio un
emendamento al decreto fiscale del governo. Anzi no: la “moral suasion” del
Quirinale fa saltare pure quello, visto che non c’entra niente con l’oggetto
del decreto fiscale ed è dunque“inammissibile”. Però – giurano Qui Quo Qua – la
proposta di legge verrà approvata in commissione“in sede legislativa”, cioè
senza passare dall’aula. Naturalmente il 18 aprile tramonta anche la sede
legislativa. Il presidente della Cassazione fece sapere che non rientra nei
suoi poteri controllare i bilanci dei partiti (come invece avevano pensato quei
gran geni dei tre), e nemmeno quelli della Corte dei Conti
e del Consiglio di
Stato, visto che i partiti restano associazioni private. Così i tecnici della
Camera bocciano l’intera proposta. Che, oltre a essere scritta coi piedi, non
taglia un euro ai “rimborsi”(nemmeno alla rata annuale di 180 milioni prevista
per fine luglio), ma si limita a istituire controlli a incasso avvenuto.
Il Trio Lescano, infatti, in un memorabile
comunicato, definisce “errore drammatico” tagliare i fondi ai partiti che,
senza quella montagna di soldi, cadrebbero nelle grinfie“dei ricchi e delle
lobby” (oggi invece ne sono notoriamente immuni). Il tesoriere pd Misiani
confessa al Fatto che, senza la rata di luglio, il partito fallisce perché ha
già speso tutti i soldi prima ancora di incassarli, ed è pure in rosso di 43
milioni. Il 24 aprile Bersani si rimangia tutto e cade nell’“errore
drammatico”: ora vuole “dimezzare i rimborsi”pubblici, mentre Alfano li vuole
direttamente abolire(“bastano quelli privati”, specie a chi gode di credito
illimitato presso il Silviomat, come le altre olgettine) e Pier quasi. A quel
punto, dopo una dozzina di conati di monito provenienti dal Colle, scende in campo Monti con un’ideona
delle sue: reclutare un nome nuovo,
giovane e tenero virgulto della
politica, per studiare la complessa materia dei tagli ai partiti. Chi? Giuliano Amato, 74 anni, entrato in
Parlamento nel 1983, che avendo una pensione di 31 mila euro al mese e vantando
la più grande collezione di poltrone al mondo, è proprio quel che ci vuole.
Come consigliere economico e sottosegretario di Craxi (quello che raddoppiò il
debito pubblico e le tangenti private), vicesegretario psi, 5 volte ministro e
2 volte premier, di finanziamenti pubblici se ne intende, mentre delle mazzette
private non s’è mai accorto. Nel ’93 firmò insieme a Conso il decreto
Salvaladri per depenalizzare il finanziamento illecito,fortunatamente respinto
da Scalfaro perché incostituzionale. Chi meglio di lui per riformare la
materia? Resta l’amarezza per le precarie condizioni di Giulio Andreotti. Ma, appena
si rimette in salute, potrà dare un valido contributo. Sempre in veste di
supertecnico.
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