venerdì 13 gennaio 2012

Nicola Cosentino: La Camera nega l’arresto


da: la Stampa

Cosentino, la Camera nega l'arresto
Lega spaccata. Bossi: "Mai forcaioli"
A Montecitorio 309 no e 298 sì. Radicali decisivi, il Pdl festeggia. Caos nel Carroccio, Maroni sfida il Senatùr: doveva andare dentro.
L'ex sottosegretario si dimette da coordinatore del Pdl in Campania

L’Aula della Camera, con voto segreto, salva Nicola Cosentino dal carcere. Trecentonove deputati contro 298 dicono no alle manette per il deputato del Pdl accusato dai magistrati campani di essere «il referente politico del clan dei casalesi». Il Pdl esulta. La Lega si spacca. La base "padana" si infuria. Il Pd perde i 6 radicali che, contro le indicazioni del partito, sono determinanti nel dire bocciare la richiesta di arresto avanzata dal Gip di Napoli e confermata dal Tribunale del riesame.

La giornata nell’emiciclo di Montecitorio è da subito convulsa. Prima Mario Monti parla di Europa e di crescita. Poi si commemora la scomparsa di Mirko Tremaglia. Infine si affronta il capitolo Cosentino, per salvare il quale, i colleghi del Pdl si battono da giorni. Chiamando «uno ad uno» leghisti e indecisi e facendo «un pressing incessante» su tutti i parlamentari campani. Cosentino seduto al suo posto saluta e conversa a lungo con Marco Milanese, Alfonso Papa, Claudio Scajola, Luigi Cesaro, pur non perdendo una parola dei vari interventi. Annuisce soprattutto quando parlano Manlio Contento (Pdl), che punta il dito più volte contro i magistrati (prendendosela in particolare con Nicola Quatrano); Luca Paolini: il leghista che ha insinuato il dubbio nel Carroccio ’disobbedendò in Aula al ’sì all’arresto suggerito da Maroni; Maurizio Turco, il radicale che riconosce nelle carte di Pm e Gip «il fumus persecutionis».


Il dibattito si svolge ordinato, a parte l’evidente noia di Paolo Guzzanti e di Renato Walter Togni (Lega). Il primo ’sfidà il proprio I-Phone a interminabili solitari di carte. Il secondo preferisce il calcio sull’I-pad. Nessuno scontro, come avviene spesso quando non c’è la diretta Tv. Unica eccezione: un botta e risposta al vetriolo tra il dipietrista Franco Barbato («Criminale, mafioso!») e l’ex Responsabile Vincenzo D’Anna («Mazzettaro!»). Berlusconi arriva in Aula poco prima del voto e si siede tra Angelino Alfano e Fabrizio Cicchitto. Nessun cenno a Cosentino neanche al momento del voto, quando tutti i deputati del Pdl si alzano in piedi e si riversano verso lo scranno del parlamentare casertano per abbracciarlo e baciarlo. Esulterà solo alla fine: «Così andrà a processo da uomo libero». Nel Pd, invece nessuno si muove. Solo all’uscita si fa evidente la rabbia di Dario Franceschini («Brutta pagina, la Lega ha calato le braghe») e di Rosy Bindi che se la prende con i Radicali («Non posso che sottolinearne la scorrettezza»). Gelo anche nell’Idv, con Antonio Di Pietro che parla di «scambio di voti criminale».

Maroni ammette: il Carroccio prima ha detto sì all’arresto, poi ha lasciato libertà di voto, alla fine, ha detto "ni". Riconosce che c’è stata in mattinata una riunione di gruppo «concitata» sul tema. Quindi ribadisce la validità della sua linea iniziale, cioè il via libera al carcere. E cerca di scaricare la colpa su Pd e Udc («i voti vengono anche da lì»). Il leader Udc Pier Ferdinando Casini però contesta («i numeri parlano chiaro» è la Lega che lo ha salvato). Poi commenta: il voto di oggi è stato «un grave errore politico» e l’applauso dei berlusconiani «un suicidio del Parlamento». L’opinione pubblica infatti, si osserva nel Pd, «attaccherà ancora di più la Casta». Cosa che puntualmente avviene: sia fuori Montecitorio con fischi e urla, sia su Internet («Anche gli applausi, i politici sono senza vergogna»). Cosentino, intanto, esce in trionfo dall’Aula con alcuni senatori e portaborse campani che lo alzano nel corridoio neanche fosse un goleador. Poi, festeggia a pranzo fuori. Paolini intanto fa i conti e risponde a Maroni che ad avergli "disobbedito" «sono almeno in 25-30». La Lega, infatti, osserva Bossi (che però non vota) «non è mai stata forcaiola». E pazienza per chi ha ancora davanti agli occhi il cappio sventolato in Aula da Leoni Orsenigo durante Tangentopoli. Cosentino in serata si dimette da coordinatore del Pdl con «decisione irrevocabile».

Nel Carroccio la tensione tra il Senatùr e Maroni è ai massimi storici. Bossi oggi non ha votato, e nelle indicazioni di voto date ai suoi prima che l’Aula di esprimesse ha optato per la libertà di coscienza. Un dietrofront rispetto alla decisione di mollare il deputato campano, presa su input dell'ex ministro dell'Interno ad inizio settimana, che provoca un vero e proprio marasma nella Lega. Nella riunione di Gruppo lo scontro tra maroniani e bossiani provoca una quasi sommossa, con urla e grida che risuonano nei corridoi del Palazzo. Ne risulta una mediazione con Bossi che precisa: «La linea è per la libertà di coscienza ma nel dubbio, si voti sì». Una soluzione che non basta a Maroni che al termine del voto sottolinea di «non condividere» la decisione del Senatur e di aver mantenuto fede alla linea di votare per l’arresto e come lui, assicura, molti deputati leghisti. Poi attacca: «Non so», mette in dubbio, se la base capirà. Quindi assicura: non ho avuto alcun contatto sull’argomento con Berlusconi. Assicurazione che fornisce anche Bossi che precisa: «Il Cavaliere non ha provato a convincermi a votare contro l’arresto». Ma nei corridoi della Camera gira la voce che il contatto ci si sia stato e che lo "scambio" avrebbe riguardato rassicurazioni sul voto anticipato. Argomento sul quale Bossi non demorde, anche perché, si dice, lo rafforzerebbe anche nel partito. La tensione tra il fondatore della Lega e l’ex pupillo, insomma, è ormai alle stelle. «Maroni è scontento? Non piangeremo..» commenta gelido Bossi. Mentre i maronani, persa la battaglia su Cosentino, promettono nei prossimi giorni di tornare alla carica.

Napolitano si può “risentire” fin quanto vuole. Rimane il fatto che la decisione della Corte Costituzionale – indirettamente – perché direttamente vorrebbe dire che una sentenza politica, allontana il rischio di elezioni anticipate. L’ammissione al referendum avrebbe indotto il centro-destra a far cadere il governo Monti per andare al voto con l’attuale riforma elettorale.
Napolitano, così come si è “preso carico” di ascoltare le richieste di Merkel e Sarkozy inducendo Berlusconi a dimettersi per lasciare il posto a Monti ora di dovrà “prendere carico” di una nuova riforma elettorale prima delle prossime elezioni politiche.
Sennonchè, mentre per le dimissioni del governo Berlusconi, pur nella tenacia di questo di non mollare, aveva dalla sua il duo che sgoverna l’Europa, cioè il premier tedesco e francese, e i mercati finanziari che ne avevano segnato la condanna (questo era e rimane anche se l’andamento dello spread non è sostanzialmente cambiato con il governo Monti), per l’impresa di una nuova legge elettorale non ha sponde d’appoggio. Quanto a tenacia non ha nulla da invidiare a Berlusconi ma, stante le sue prerogative costituzionali e la mancanza di condizioni “esterne” favorevoli l’impresa mi pare alquanto improbabile.
Comunque sia, da oggi, il signor Giorgio Napolitano si deve prendere carico anche di questa questione.
Giusto per smentire Di Pietro. Che ha fatto una connessione logica. La stessa che sto facendo io.

Nessun commento:

Posta un commento