Una nave e un paese inclinati
di Mario Deaglio
«Nave senza
nocchiero in gran tempesta»: già settecento anni fa Dante si servì di una
metafora marittima per parlare dell'Italia. Anche oggi una nave che può servire
da metafora del Paese e delle sue difficoltà. Si tratta naturalmente della
«Concordia», abbandonata dal suo capitano, ossia «nocchiero», incagliata, con
il pericolo di affondare, in prossimità di un bellissimo tratto di costa
italiana. Non si tratta solo di accostamenti superficiali, occorre invece
riflettere sulla «Concordia» quale concentrato delle debolezze italiane.
Questa riflessione
deve partire dalla società proprietaria, la Costa Crociere, quasi una sintesi
dei successi e delle debolezze del capitalismo italiano. La Costa Crociere
(allora Giacomo Costa fu Andrea) venne fondata sette anni prima dell'unità
d'Italia e la famiglia Costa ha spesso giocato ruoli di primo piano nella
storia imprenditoriale italiana. Angelo Costa, fu un leader storico degli
industriali italiani e presiedette la Confindustria per ben 14 anni in due
periodi distinti, ai tempi del miracolo economico.
La Costa Crociere
è tra le prime società italiane a sperimentare le opportunità e le durezze del
capitalismo globale e le difficoltà italiane ad adeguarsi. Lancia le crociere
come nuovo prodotto, si dota di navi modernissime nelle quali si fondono la
tecnologia avanzata e la raffinatezza del made in Italy. Diventa così la prima
impresa croceristica del mercato europeo, forse l'unica società italiana di
servizi turistici che si rivolge davvero al mercato mondiale. Allarga
l'azionariato, diversifica, entra in Borsa ma non basta: l'Italia non crede
nelle sue imprese e non riesce a far affluire il risparmio - tra i maggiori del
mondo - verso le imprese e i loro progetti di espansione. A credere nella Costa
Crociere è invece
la multinazionale americana Carnival che nel 1997 ne acquista la maggioranza: la Carnival investe fortemente e, oltre alla Concordia, fa costruire per la Costa Crociere ben 10 grandi navi da crociera, sulle quali lavorano complessivamente oltre diecimila persone, capaci di trasportare 3-5 mila passeggeri l'una. La Costa Crociere contribuisce per circa il 25 per cento al fatturato e ai profitti della sua capogruppo.
la multinazionale americana Carnival che nel 1997 ne acquista la maggioranza: la Carnival investe fortemente e, oltre alla Concordia, fa costruire per la Costa Crociere ben 10 grandi navi da crociera, sulle quali lavorano complessivamente oltre diecimila persone, capaci di trasportare 3-5 mila passeggeri l'una. La Costa Crociere contribuisce per circa il 25 per cento al fatturato e ai profitti della sua capogruppo.
In queste
condizioni, l'episodio del Giglio si configura come molto di più di un
incidente, diventa il sintomo sia di un male oscuro del capitalismo italiano
che, oltre certe dimensioni, non riesce a mettere assieme idee, strategie e
capitali sia di un più vasto male oscuro: il caso della Concordia e le
difficoltà italiane possono infatti essere entrambe ricondotte a una crisi di
«governance», ossia del modo di funzionare della nave e, più in generale, del
Paese. L'inchiesta scopre scatole nere non funzionanti, radar fuori uso, forse
clandestini a bordo, manovre irregolari su una nave che andava troppo veloce in
acque nelle quali non avrebbe dovuto trovarsi, con un ponte di comando pieno di
gente che non avrebbe dovuto essere lì. Più in generale mette a nudo una
diffusa atmosfera di faciloneria, un costante stiracchiamento delle regole.
L'analogia può
anche andare oltre. La Concordia ha «in pancia» diverse migliaia di tonnellate
di carburante e di altri prodotti tossici che, se si squarciassero i serbatoi o
la nave affondasse, procurerebbero un danno gravissimo a fondali e zone
costiere che sono tra le più belle del Mediterraneo; la nave Italia ha «in pancia»
circa millenovecento miliardi di debiti. In situazioni di grave turbolenza
finanziaria potrebbero «inquinare» la finanza europea e globale qualora
l'Italia non riuscisse a onorare il suo vasto debito pubblico, oggi
rifinanziabile a tassi di interesse troppo elevati. Ecco allora il momento dei
tecnici. I sommozzatori, i palombari, gli incursori della Marina impegnati ad
aprire dei varchi nello scafo, gli specialisti olandesi dello svuotamento di
serbatoi; e forse, in futuro, grandi rimorchiatori che cercheranno di
raddrizzare la nave. A livello nazionale, ecco gli esperti chiamati al governo,
con vari ruoli, non solo a Roma ma anche ad Atene e in molti paesi europei.
Il risultato è una
nave inclinata, in un Paese inclinato, in un'Europa inclinata. Per un'ironia
della sorte, il nome «Concordia» era stato inteso, al momento del varo, appena
cinque anni e mezzo fa, come un omaggio alla nuova Europa in cui Stati molto
litigiosi cercavano di andare d'accordo. Tanto che a ciascuno dei suoi tredici
ponti era stato dato il nome di uno Stato europeo. Sarebbe un incoraggiamento
per l'Italia e per l'Unione Europea, entrambe chiamate in questi giorni a
decisioni difficili, se la metafora volgesse in positivo. Evitare il disastro
ecologico e raddrizzare la nave sarebbero di auspicio ad altri, ben più ampi,
raddrizzamenti.
Nessun commento:
Posta un commento