da: La Stampa
Dagli all'evasore
Fra i pochi
effetti positivi (Monti direbbe: «Non del tutto negativi») di questa crisi Fine
di Mondo c’è il cambio di atteggiamento degli italiani nei confronti degli
evasori. Fino a qualche tempo fa, intorno agli evasori luccicava ancora
quell’alone di rispetto confinante con l’invidia che nel nostro Paese circonda
sempre i furbi quando mettono in pratica le trasgressioni che gli altri osano
soltanto immaginare. Rubare allo Stato non era percepito come un furto. Non più
di quanto lo sia depredare l’accampamento nemico durante una guerra. L’evasore
si ammantava di ideali libertari: il rifiuto di piegarsi al sopruso di un
potere straniero. Quando c’è da dare e non da prendere, lo Stato in Italia non
siamo mai noi, ma qualcun altro.
Poi è arrivata la crisi e abbiamo capito che le tasse non servono solo a finanziare le cricche corrotte e sprecone (Monti direbbe «non del tutto frugali») dei politici, ma anche a tenere in piedi la baracca. Che ogni euro evaso significa un servizio in meno negli ospedali e per la strada. E che quell’euro mancante, non potendo più gravare sul debito pubblico, d’ora in poi dovrà essere compensato da una nuova imposta. Così l’invidia si è trasformata in disprezzo e rabbia. Specie verso quegli evasori totali, ieri ne sono stati scoperti altri 7500, che non evadono per sopravvivere ma per continuare a spassarsela sulle spalle di chi non ce la fa più. A uno di questi eroi in disgrazia è stato sequestrato un cavallo da corsa, figlio di Varenne: ora trotta per lo Stato. Io avrei preferito veder trottare il proprietario in qualche lavoro socialmente utile.
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