martedì 24 gennaio 2012

Siria: una situazione di stallo che favorisce il regime


da: La Stampa

Siria, per non destabilizzare vince lo stallo
di Vittorio Emanuele Parsi

Uno stallo rosso sangue: è esattamente questa la fotografia della situazione in Siria, dove il regime degli Assad e i gruppi ribelli risultano intrappolati lungo un sentiero di crescente radicalizzazione, mentre nessuno appare in grado di poter sconfiggere l’altro. A oltre dieci mesi dal suo divampare e nonostante gli oltre 5.000 morti fin qui provocati da una repressione sempre più feroce, il regime di Bashar Al Assad non è stato in grado di schiacciare la rivolta. La violenza impiegata contro i dissidenti è però stata sufficiente a evitare che la rivoluzione siriana sfruttasse l’abbrivio delle altre primavere arabe. Ha cioè impedito che essa potesse divenire incontestabilmente maggioritaria all’interno della società, come invece è accaduto in Tunisia e in Egitto. Si trattava della sola possibile strategia a disposizione di Assad, una volta che le prime stragi non avevano ottenuto l’effetto sperato di dissuadere chiunque volesse unirsi ai nuclei originari di rivoltosi. Proprio la scelta della brutalità ha spinto le forze dell’opposizione a perseguire la via della resistenza armata nei confronti del regime, così concorrendo a spostare il Paese da una situazione di «rivoluzione pacifica» a quella attuale di «guerra civile a bassa intensità».

Una guerra civile che oggi è in stallo. Le zone in cui la rivolta ha preso avvio restano infatti ancora confinate alla periferia del Paese e la stessa roccaforte ribelle di Homs è in realtà divisa tra filo-governativi e rivoltosi. Anche le defezioni nelle file dell’Armée siriana, seppure in aumento, sono ancora piuttosto scarse, con le fonti più generose che parlano di 15.000 disertori e renitenti su 200.000 effettivi (che assommano a 450.000 includendo i riservisti in massima parte richiamati in servizio). Sostenitori del regime e ribelli sembrano oggi in grado di raccogliere il consenso di minoranze sostanziose della popolazione, mentre la maggioranza resta (o torna a essere) indecisa sul da farsi.

La radicalizzazione dello scontro potrebbe così fare il gioco del regime, che appare in grado
di sfruttare le paure e le divisioni che attraversano la composita e frammentata società siriana. Il protrarsi degli scontri aumenta la possibilità che nel fronte anti-Assad siano i più estremisti a prevalere. E, infatti, la preoccupazione che la fine del potere dispotico (ma laico) degli Assad possa segnare il trionfo di un regime fondamentalista e intollerante inizia a diffondersi non solo tra gli alauiti e i cristiani ma anche tra molti sunniti. Non è un caso che gli attori regionali - a cominciare dalla Lega Araba, che domenica sera ha deciso (anche con il consenso siriano) di estendere la missione dei propri osservatori, mentre ha incassato un netto rifiuto alla proposta di un governo di transizione - sembrano tornati a essere piuttosto cauti, dopo essersi parecchio sbilanciati a favore della rivoluzione nei mesi scorsi. La Lega si era del resto decisa a scaricare Assad solo nel momento in cui aveva iniziato a considerarlo un fattore di destabilizzazione del fragile ordine del Levante e nella convinzione che le sue ore fossero ormai contate. In realtà, la resilienza del regime ha fatto venir meno le speranza di un esito in stile tunisino o egiziano, mentre si fanno sempre più irrealistiche le possibilità di un intervento esterno. Se europei e americani hanno sostanzialmente sempre escluso il loro coinvolgimento, quello turco o arabo - già assai poco credibile - si è semplicemente dissolto dopo il monito lanciato da Teheran circa la sua intenzione di difendere l’alleato siriano in caso di «invasione straniera».

Arrivati a questo punto, c’è chi inizia a pensare che il trionfo dei ribelli potrebbe avere effetti destabilizzanti eguali o persino superiori alla sopravvivenza del regime di Assad. Se a Damasco dovesse comparire un potere sunnita e integralista, gli effetti sui precari equilibri del vicino Libano e sulla stessa fragile Giordania potrebbero infatti essere devastanti, trascinando il primo in una nuova guerra civile e minacciando la monarchia ashemita (entrambi esiti inaccettabili innanzitutto per Ryad). Molto meglio temporeggiare e iniziare a vedere come finirà la partita nucleare tra Teheran e Washington, allora, la quale comunque collocherà il mondo arabo in una posizione di forza o debolezza relative, semplificando le scelte della Lega (e di sauditi e qatarini che la stanno «discretamente» guidando).

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