da: La Stampa
Siria, per non destabilizzare vince lo stallo
di Vittorio Emanuele Parsi
Uno stallo rosso
sangue: è esattamente questa la fotografia della situazione in Siria, dove il
regime degli Assad e i gruppi ribelli risultano intrappolati lungo un sentiero
di crescente radicalizzazione, mentre nessuno appare in grado di poter
sconfiggere l’altro. A oltre dieci mesi dal suo divampare e nonostante gli
oltre 5.000 morti fin qui provocati da una repressione sempre più feroce, il
regime di Bashar Al Assad non è stato in grado di schiacciare la rivolta. La
violenza impiegata contro i dissidenti è però stata sufficiente a evitare che
la rivoluzione siriana sfruttasse l’abbrivio delle altre primavere arabe. Ha
cioè impedito che essa potesse divenire incontestabilmente maggioritaria
all’interno della società, come invece è accaduto in Tunisia e in Egitto. Si
trattava della sola possibile strategia a disposizione di Assad, una volta che
le prime stragi non avevano ottenuto l’effetto sperato di dissuadere chiunque
volesse unirsi ai nuclei originari di rivoltosi. Proprio la scelta della
brutalità ha spinto le forze dell’opposizione a perseguire la via della
resistenza armata nei confronti del regime, così concorrendo a spostare il
Paese da una situazione di «rivoluzione pacifica» a quella attuale di «guerra
civile a bassa intensità».
Una guerra civile che oggi è in stallo. Le zone in cui la rivolta ha preso avvio restano infatti ancora confinate alla periferia del Paese e la stessa roccaforte ribelle di Homs è in realtà divisa tra filo-governativi e rivoltosi. Anche le defezioni nelle file dell’Armée siriana, seppure in aumento, sono ancora piuttosto scarse, con le fonti più generose che parlano di 15.000 disertori e renitenti su 200.000 effettivi (che assommano a 450.000 includendo i riservisti in massima parte richiamati in servizio). Sostenitori del regime e ribelli sembrano oggi in grado di raccogliere il consenso di minoranze sostanziose della popolazione, mentre la maggioranza resta (o torna a essere) indecisa sul da farsi.
La radicalizzazione dello scontro potrebbe così fare il gioco del regime, che appare in grado
di sfruttare le paure e le divisioni che attraversano la
composita e frammentata società siriana. Il protrarsi degli scontri aumenta la
possibilità che nel fronte anti-Assad siano i più estremisti a prevalere. E, infatti,
la preoccupazione che la fine del potere dispotico (ma laico) degli Assad possa
segnare il trionfo di un regime fondamentalista e intollerante inizia a
diffondersi non solo tra gli alauiti e i cristiani ma anche tra molti sunniti.
Non è un caso che gli attori regionali - a cominciare dalla Lega Araba, che
domenica sera ha deciso (anche con il consenso siriano) di estendere la
missione dei propri osservatori, mentre ha incassato un netto rifiuto alla
proposta di un governo di transizione - sembrano tornati a essere piuttosto
cauti, dopo essersi parecchio sbilanciati a favore della rivoluzione nei mesi
scorsi. La Lega si era del resto decisa a scaricare Assad solo nel momento in
cui aveva iniziato a considerarlo un fattore di destabilizzazione del fragile
ordine del Levante e nella convinzione che le sue ore fossero ormai contate. In
realtà, la resilienza del regime ha fatto venir meno le speranza di un esito in
stile tunisino o egiziano, mentre si fanno sempre più irrealistiche le
possibilità di un intervento esterno. Se europei e americani hanno
sostanzialmente sempre escluso il loro coinvolgimento, quello turco o arabo -
già assai poco credibile - si è semplicemente dissolto dopo il monito lanciato
da Teheran circa la sua intenzione di difendere l’alleato siriano in caso di
«invasione straniera».Una guerra civile che oggi è in stallo. Le zone in cui la rivolta ha preso avvio restano infatti ancora confinate alla periferia del Paese e la stessa roccaforte ribelle di Homs è in realtà divisa tra filo-governativi e rivoltosi. Anche le defezioni nelle file dell’Armée siriana, seppure in aumento, sono ancora piuttosto scarse, con le fonti più generose che parlano di 15.000 disertori e renitenti su 200.000 effettivi (che assommano a 450.000 includendo i riservisti in massima parte richiamati in servizio). Sostenitori del regime e ribelli sembrano oggi in grado di raccogliere il consenso di minoranze sostanziose della popolazione, mentre la maggioranza resta (o torna a essere) indecisa sul da farsi.
La radicalizzazione dello scontro potrebbe così fare il gioco del regime, che appare in grado
Arrivati a questo punto, c’è chi inizia a pensare che il trionfo dei ribelli potrebbe avere effetti destabilizzanti eguali o persino superiori alla sopravvivenza del regime di Assad. Se a Damasco dovesse comparire un potere sunnita e integralista, gli effetti sui precari equilibri del vicino Libano e sulla stessa fragile Giordania potrebbero infatti essere devastanti, trascinando il primo in una nuova guerra civile e minacciando la monarchia ashemita (entrambi esiti inaccettabili innanzitutto per Ryad). Molto meglio temporeggiare e iniziare a vedere come finirà la partita nucleare tra Teheran e Washington, allora, la quale comunque collocherà il mondo arabo in una posizione di forza o debolezza relative, semplificando le scelte della Lega (e di sauditi e qatarini che la stanno «discretamente» guidando).
Nessun commento:
Posta un commento