Nei giorni scorsi,
le “divergenze” tra Roberto Maroni e Umberto Bossi hanno provocato una censura
da parte del senatur che ha proibito
all’ex ministro dell’Interno di tenere comizi.
Seguendo la moda
attuale, Maroni ha preso facebook e ha diffuso la notizia aggiungendo il suo
“senso di vomito” per tale presa di posizione non prevista dallo statuto del
partito. Non per altro. Non c’è statuto. Non c’è partito. E’ la Lega di Bossi.
All’apprendere la
notizia, molti amministratori leghisti hanno invitato Maroni a tenere comizi
nelle località che governano. Data la reazione e la diffusione a livello
nazionale della censura, Bossi - circondato dalla sua associazione di badanti:
il cerchio magico - ha chiamato Maroni e i due si sono “chiariti”.
Possiamo immaginare
il livello linguistico della conversazione.
Ora.
Del fatto in sé,
mi fregherebbe poco o nulla. Non mi appassionano le vicende politiche degli
eterni secondi che pensano di poter essere i primi e non capiscono che il capo ha
scelto – da sempre - altri.
Tra l’altro, non
trovo nulla di scandaloso nel comportamento
di Bossi. E’ perfettamente coerente
con la sua tipologia mentale e gestionale della Lega.
M’interessa,
invece, soffermarmi su un’affermazione
di Maroni, fatta ieri sera a ‘Che
tempo che fa’.
L’ex ministro del
governo Berlusconi ha dichiarato che ritiene opportuno che la Lega faccia un
congresso.
Già. I partiti
tradizionali, quelli di “Roma ladrona” per intenderci, usano fare
frequentemente congressi per eleggere i loro segretari. Roberto Maroni ci ha
ricordato che la Lega non fa un congresso da dieci anni.
Dicasi: dieci
anni.
Orbene (si fa per
dire…)
Il signor Roberto Maroni dov’era in questi dieci
anni. A vendere case a Montecarlo? A suonare con la sua banda rock?
Per dieci anni –
nei quali ha potuto tenere comizi – non ha eccepito all’assenza di un congresso
nel quale discutere una linea, approvarla e nominare un segretario.
Per dieci anni –
nei quali ha potuto tenere comizi – ha espresso il suo pensiero. Che era quello
del capo. Il pensiero unico di Umberto Bossi. Del resto, entrambi sono nati
comunisti. Il pensiero unico è quello sancito dal “centralismo democratico”. Il
confronto non è previsto. Sarebbe catalogato come divisione interna equiparando
così la Lega a uno dei partiti della ‘Roma ladrona’.
Nei dieci anni nei
quali si è allineato in toto al suo capo non ha espresso la richiesta di un
congresso. Ora che la base leghista scalpita insoddisfatta e si sta rendendo
conto (lentamente, neuroni scarsi e non allenati) che Bossi è un morto vivente
si converte al confronto interno.
E, allora, la
conclusione è semplice. Fintanto che il pensiero di Maroni era identico a
quello di Bossi, l’ex ministro del governo Berlusconi non eccepiva al centralismo
“democratico”. Oggi che il suo pensiero diverge da Bossi, spunta l’esigenza di
manifestare il pensiero diverso.
Meglio tardi che
mai. Come si disse ai tempi di un altro strappo subito: quello di Fini da
Berlusconi.
Ecco. Appunto. Fini e Maroni hanno in comune di essere stati considerati dei numeri due potenziali numero uno.
Ecco. Appunto. Fini e Maroni hanno in comune di essere stati considerati dei numeri due potenziali numero uno.
Peccato - per loro – che né Berlusconi né Bossi
abbiano mai pensato a Fini e Maroni come loro successori.
Giusto o
sbagliato. Condivisibile o no, la realtà è questa. Se n’è accorto Roberto Maroni
che ha l’ambizione – legittima – di rappresentare la nuova base leghista.
Significa che Roberto Maroni vuole essere il nuovo
capo e, quindi, il nuovo pensiero unico
della Lega?
A questo punto,
una considerazione su Fabio Fazio.
Dissento in linea
logica da coloro che lo vorrebbero più incalzante e aggressivo. Il suo
programma e il suo modo di porsi è quello del talk da conversazione. La logica
di ‘Che tempo che fa’, della conduzione di Fabio Fazio, è questa. Se si vuole
altro, si guardi ‘Ballarò’, ‘Servizio Pubblico’, ecc.
Va detto che,
quando vuole e se vuole, Fazio sa porre domande e/o fa obiezioni che - senza
snaturare la tipologia di rapporto conduttore-ospite - rendono più incisivo il dialogo anticipando
talvolta domande che i telespettatori si pongono.
Però..
Sabato scorso, uno
degli ospiti del talk di Fazio è stato il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia.
Tra il consentire
all’intervistato di esprimere il proprio pensiero e la conduzione di una
conversazione come se fosse l’addetto alle pubbliche relazioni di Pisapia e,
anche ieri, quando con Maroni, non gli è palesata neppure la domanda: ma lei in questi dieci anni perché non
obiettato all’assenza di congressi (certo, domanda pleonastica, ma andava
fatta), c’è una differenza. Sostanziale. Non solo formale.
Se lo stesso tipo d’intervista-conversazione,
fosse stata fatta da un Belpietro o da altri faziosi del centro-destra a
Berlusconi, giustamente, le persone dotate di un minimo di senso critico
avrebbero commentato contro lo zerbinaggio giornalistico.
Io guardo ‘Che
tempo che fa’ con lo stesso senso critico che riservo ad altri programmi. Fabio
Fazio ne dovrebbe essere soddisfatto. Perché l’assenza di senso critico non fa
onore all’oggetto dell’osservazione oltre che al soggetto che osserva.
Chiudo con una
domanda: il testo della “conversazione” con Pisapia gliel’ha scritto Michele
Serra? Perché è più efficace quando scrive certe ‘Amaca” su la Repubblica.
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