venerdì 20 gennaio 2012

Italiani meno individualisti e più sensibili al dovere?


da: La Stampa

Italiani più sensibili ai doveri
di Luigi La Spina

È sempre azzardato collegare segnali che sembrano arrivare da più parti nella società italiana per cercare di cogliere nuovi sentimenti e nuovi bisogni. Eppure, notizie e reazioni alle notizie che si sono succedute in queste ultime settimane paiono indicare la necessità, ma anche il desiderio, di ritrovare nella responsabilità individuale, nell’impegno personale al rigore dei comportamenti, nella consapevolezza dei doveri oltre che dei diritti, la strada più sicura, forse l’unica, per un riscatto nazionale. Per uscire da una specie di depressione psicologica collettiva, umiliata per un confronto negativo da parte degli stranieri che riteniamo ingiusto, ma che non sappiamo contrastare. Come se fosse frutto di una inesorabile congiura del destino. Quello che conferma, con l’ostinazione dei fatti e delle opinioni, vecchi pregiudizi e vecchi sospetti verso l’Italia e verso gli italiani.

Perché, nonostante le furiose opposizioni delle categorie colpite dalle annunciate liberalizzazioni del governo e dopo i duri tagli imposti ai bilanci familiari, il premier Monti mantiene un così elevato consenso popolare in tutti i sondaggi? Perché i richiami secchi del capitano De Falco ai doveri di un comandante suscitano così clamorosi brividi di ammirazione e sentimenti di riconoscenza nazionale?

Perché il blitz delle «Fiamme gialle» a Cortina, al di là delle locali reazioni, è stato accolto con unanime soddisfazione? Perché a quella tolleranza, complice e ammiccante, verso le piccole e grandi furbizie individuali, pare si sia improvvisamente sostituita una generale intransigenza, quasi giacobina? Perché appare così insopportabile persino quella nube di linguaggio, ipocrita, demagogica e incompetente, tipica di certa classe politica che ha ammorbato, fino a poco tempo fa, i nostri giornali e le nostre tv?

Domande alle quali non è facile rispondere, ma che meriterebbero qualche non inutile riflessione.
Anche perché sorgono pure dalla conoscenza di proposte inusuali, persino provocatorie, che, in altri tempi, avrebbero suscitato non solo sorpresa, ma sconcerto e, probabilmente, indignazione. Nel clima di questi giorni, invece, paiono giustificate e opportune, sintomo e conseguenza di un ritrovato senso di consapevolezza individuale verso i doveri collettivi, verso i doveri nei confronti dello Stato.

Ci riferiamo, solo come un esempio, magari marginale ma significativo, all’intenzione, da parte di alcune Regioni, di comunicare al paziente, dopo la cura, il costo sostenuto dal servizio sanitario per la prestazione fornita. Non si tratta, evidentemente, di aggiungere alla sofferenza del malato l’afflizione del senso di colpa per l’esborso a cui lo Stato è stato costretto per guarirlo o alleviare i dolori della sua vita. Né di «mercificare il valore della salute», come, con un gergo tardosessantottino, alcuni si affretteranno a bollare l’iniziativa. Ma l’invito a prendere coscienza di come le tasse che si impongono ai cittadini siano usate e di quale delitto si macchino coloro che le evadono. Insieme all’appello, implicito ma evidente, a medici, industrie farmaceutiche, dirigenti ospedalieri perché le singole responsabilità di fronte a sprechi e inefficienze non permettano di affossare un bene prezioso che l’Italia è riuscita a conquistare e che sarebbe un delitto perdere: il nostro servizio sanitario nazionale.

Chiunque abbia avuto la sfortuna di dover ricorrere alle cure in un Paese extraeuropeo, soprattutto negli Stati Uniti, sa come le discriminazioni di censo siano alla base delle possibilità di guarigione del malato e, comunque, di un trattamento adeguato. Proprio per conservare questa condizione di vantaggio, però, si impongono scelte chiare e urgenti. In futuro, l’allungamento delle speranze di vita, l’arrivo alle soglie della vecchiaia di classi molto numerose, i progressi nelle tecnologie e nelle terapie imporranno maggiori spese per garantire un’assistenza paragonabile a quella attuale e, augurabilmente, anche migliore.

Occorrono, perciò, comportamenti personali responsabili. Perché non ci possiamo più permettere quella mentalità, falsamente democratica, che ritiene inesauribili le risorse dello Stato e, contemporaneamente, insopportabili le tasse. Sempre le proprie, naturalmente. Il risultato dell’illusione alimentata dall’idea che si possa «dare tutto a tutti» sarà quello di una feroce selezione classista tra chi potrà far ricorso alla sanità privata e chi dovrà subire l’inevitabile degrado della sanità pubblica. A questa opera di educazione alla disciplina e alla consapevolezza individuale potrà servire anche un piccolo segnale come questa comunicazione, dopo la cura. E’ vero che la vita di una persona non ha prezzo, ma è vero anche che ha un costo. Ed è bene che tutti lo sappiano.

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