"Il mio George senza glamour e gossip"
Payne racconta il suo film da Oscar
Il regista, già amatissimo per il cult
"Sideways", dirige il dramma "Paradiso amaro", e non si
stupisce per le 5 candidature appena ricevute: "Lo sospettavo, dopo la
vittoria ai Golden Globe". E sul Clooney protagonista, da lui ritratto in
veste dimessa: "Sul set dimenticavo che è una superstar"
di Claudia Morgoglione
"Se mi
aspettavo le
cinque nomination agli Oscar 1? Diciamo che un po' sospettavo che ne
potesse arrivare qualcuna, avendo già vinto due Golden Globe. Ne sono felice,
ovviamente: sono in questo club ristretto di aspiranti alla statuetta, con
autori del calibro di Martin Scorsese. Ora ci vedremo tutti insieme, ai simposi
che vengono organizzati prima della cerimonia di premiazione. Anche se credo
proprio che colleghi come Woody Allen o Terrence Malick, anche loro in lizza,
non parteciperanno...". Ex enfant prodige del nuovo cinema indipendente
americano, già adorato dalla critica e dal pubblico cinefilo per il cult
Sideways, Alexander Payne scherza così, sul suo ruolo da protagonista nella
corsa alle statuette dorate. Grazie al dramma familiare Paradiso amaro, e alla
sua superstar protagonista, George Clooney, superfavorito come miglior attore dell'anno.
Ma c'è dell'altro.
Perché questo autore cinquantaduenne orgoglioso delle sue origini greche, a Roma proprio per presentare la sua pellicola (nelle sale dal 17 febbraio con distribuzione Fox), ha un'altra peculiarità. E cioè il talento di far recitare grandi divi in ruoli inediti, lontani anni luce dalla loro immagine patinata. Era già successo con un Jack Nicholson vecchio, dimesso e senza ghigno diabolico, in A Proposito di Schmidt. E accade di nuovo qui, con un Clooney (candidato anche lui agli Oscar, e già trionfatore ai Golden Globe) come non lo immaginereste mai. Non solo imbruttito, cosa accaduta già in altri film (vedi Syriana o La tempesta perfetta). C'è di più: qui il bellissimo del cinema mondiale è davvero irriconoscibile, un padre di famiglia triste, perdente, vestito con brutte camicie a fiori. In altre parole: sfigato. "Tutte le stelle con cui ho lavorato, e in particolare Clooney - spiega Payne - io le ho considerate sempre e solo degli attori. Mentre giro dimentico che si tratta di una star: me lo ricordo solo durante la promozione della pellicola, visto l'interesse mediatico che suscitano. Ma io lo vedo solo come un interprete che possiede le qualità, la verità che cerco per i miei film. Tutto il contesto di gossip - le sue ultime fidanzate, lui che dichiara di non volersi mai sposare, e così via - non mi interessa. Io gli ho chiesto di vestire i panni di un uomo normale: se qualcuno accetta di lavorare con me sa che cerco il realismo, e non il glamour di certe produzioni hollywoodiane".
Ma c'è dell'altro.
Perché questo autore cinquantaduenne orgoglioso delle sue origini greche, a Roma proprio per presentare la sua pellicola (nelle sale dal 17 febbraio con distribuzione Fox), ha un'altra peculiarità. E cioè il talento di far recitare grandi divi in ruoli inediti, lontani anni luce dalla loro immagine patinata. Era già successo con un Jack Nicholson vecchio, dimesso e senza ghigno diabolico, in A Proposito di Schmidt. E accade di nuovo qui, con un Clooney (candidato anche lui agli Oscar, e già trionfatore ai Golden Globe) come non lo immaginereste mai. Non solo imbruttito, cosa accaduta già in altri film (vedi Syriana o La tempesta perfetta). C'è di più: qui il bellissimo del cinema mondiale è davvero irriconoscibile, un padre di famiglia triste, perdente, vestito con brutte camicie a fiori. In altre parole: sfigato. "Tutte le stelle con cui ho lavorato, e in particolare Clooney - spiega Payne - io le ho considerate sempre e solo degli attori. Mentre giro dimentico che si tratta di una star: me lo ricordo solo durante la promozione della pellicola, visto l'interesse mediatico che suscitano. Ma io lo vedo solo come un interprete che possiede le qualità, la verità che cerco per i miei film. Tutto il contesto di gossip - le sue ultime fidanzate, lui che dichiara di non volersi mai sposare, e così via - non mi interessa. Io gli ho chiesto di vestire i panni di un uomo normale: se qualcuno accetta di lavorare con me sa che cerco il realismo, e non il glamour di certe produzioni hollywoodiane".
E in effetti è proprio il realismo la chiave di lettura di Paradiso amaro. Ambientato nelle Hawaii, luogo visto in tonalità di grigio e lontano dal paradiso turistico che immaginiamo, il film segue le vicende di Matt King, marito e padre di due figlie adolescenti e complicate. Tutto cambia, per lui, quando la moglie ha un incidente nautico, e si capisce che non resta altro che staccare la spina. Ma prima lui, costretto quasi per la prima volta a fare anche il padre, sembra deciso a svelare una verità prima nascosta sulla consorte... Una storia volutamente dimessa che parla di legami familiari, di vita e di morte. "E' dai tempi di Edipo in poi - dichiara Payne - che la condizione dell'essere umano è drammatica".
Ma Payne non parla solo del film. Torna anche sul tema degli Oscar, accettando di commentare - lui, il noto gourmet ed esperto di vino che ha realizzato un film come Sideways - il sapore che per lui ha questa corsa alle statuette: "Metallico". E di dire qual è il suo film preferito: "L'iraniano Una separazione, peccato che sia candidato solo come miglior film straniero e non come miglior film in assoluto". Poi la morte del grande regista greco Theo Angelopoulos: "Mi dispiace tanto che sia scomparso, anche se come disse una volta Akira Kurosawa andarsene mentre si sta sul set non è poi così male". Sui suoi gusti cinematografici: "Adoro il cinema europeo. E quello americano, ma solo fino al 1980". E infine, in riferimento alla sua visita di ieri a Cinecittà, e in particolare al famoso Studio 5 di Fellini: "Girarci un film sarebbe un sogno".
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