da: Adnkronos
Sanremo,
Celentano: "Mazzi dica la verità sulle parole del dg o non vengo"
Adriano
Celentano interviene sulla querelle
apertasi ieri con Viale Mazzini sulle modalità della sua partecipazione
alla prossima edizione di Sanremo e dal suo blog si indirizza direttamente al
direttore artistico del Festival, Gianmarco Mazzi. "Caro Gianmarco -
scrive - pur non dimenticando l'impegno e il grosso 'lavoro ai fianchi' che hai
dovuto esercitare su di me per portarmi a Sanremo (e non da adesso, ma da anni)
devo purtroppo darti un aut aut", ovvero: "posso venire a Sanremo solo se tu dichiarerai alla stampa il
contenuto dei messaggi che hai ricevuto dal simpatico direttore di RaiUno Mauro
Mazza (non è un'ironia mi è simpatico veramente) con i quali
ti faceva la radiocronaca di ciò che la 'Lei aveva sentenziato: 'Celentano è
fuori da Sanremo'. Chiedendoti inoltre di cercare una alternativa alla mia
partecipazione al Festival e come comunicare una simile Cazzata".
Questa
mattina a parlare era stata Claudia Mori: "Il problema serio riguarda il
fatto che Adriano da una parte
della Rai non è ben visto perché oltre che cantare lui ha il vizio di parlare",
ha detto all''Alfonso Signorini Show' su Radio Monte Carlo, concedendosi anche
una battuta: "Casomai andremo… c'è ancora il Festival di Ariccia?".
Il
chiarimento di Mazzi è arrivato attraverso una dichiarazione. Sabato scorso il
direttore artistico ha ricevuto una comunicazione dal direttore di Rai1, Mauro
Mazza, in cui si diceva "per iscritto e in modo inequivocabile, 'la Lei
dice Celentano è fuori', fatto confermatomi telefonicamente dall'avvocato
Fiorespino che riferisce dell'invito della direzione generale a cercare
'un'alternativa a Celentano'''.
Mazzi
dopo queste comunicazioni ha iniziato "a parlare con Adriano per
rimontare, per cercare di capire la situazione e provare a ricomporla. Le
questioni apparivano sostanzialmente due e riguardavano le interruzioni
pubblicitarie (su cui abbiamo individuato presto una soluzione accettabile da
Celentano e proponibile alla Rai) e la libertà autoriale, tema su cui mi
sentivo particolarmente sicuro avendo avuto rassicurazioni dai vertici Rai e
nessuna smentita alle dichiarazioni fatte in occasione dell'annuncio di
Celentano".
"A
questo punto - prosegue Mazzi - ho letto la bozza del contratto, mostratami da
Claudia Mori, e in particolare l'art. 8: 'Noi (ndr Rai) garantiamo che avete
discrezionalità ed autonomia sui contenuti dell'intervento delle performances
del Sig. A. Celentano, che saranno concordati, unitamente alle modalità della
partecipazione dell'artista alla manifestazione in oggetto, con i competenti
uffici. Pertanto tutte le decisioni inerenti la impostazione e strutturazione
degli interventi del Sig. A. Celentano, relativamente alla fase preparatoria
spetteranno a Voi'. Celentano - sottolinea Mazzi - mi ha guardato e mi ha detto
'secondo te, che dice questo contratto, sono libero o non sono libero?'. Non ho
saputo rispondere", ammette Mazzi.
Mazzi confessa
anche: "Se penso agli appelli fatti, tra gli altri, da un grande come
Fiorello per avere Adriano nella sua trasmissione e al giusto sostegno dato
dalla Rai, dico che da parte dell'azienda per cui sto lavorando mi sarei
aspettato più entusiasmo". Mazzi racconta per la verità che all'inizio la
trattativa era andata avanti senza problemi. "Fino a un certo punto - dice
- le trattative parevano indirizzate nel verso giusto, gli accordi sul compenso
chiusi in linea con il mercato attuale, addirittura al di sotto di compensi
erogati negli anni scorsi per un evento importante come Sanremo (in
ottemperanza alla corretta politica di contenimento dei costi imposta dalla
crisi e voluta dal direttore generale Lei) e Celentano ha potuto iniziare a
lavorare".
"Poi
sabato scorso mentre mi trovavo con lui, in attesa delle prove con Morandi -
racconta il direttore artistico - qualcosa si è inceppato. Primo segnale, il
direttore di Raiuno mi comunica per iscritto che la Rai ha bloccato la
programmazione dei promo su Celentano (già, a mio avviso, stranamente sotto
tono, così come quella su Sanremo in generale rispetto allo scorso anno e a
campagne viste di recente). Mi sembrava una decisione platealmente ostile e
autolesionista, in una fase di trattativa ormai avanzata. Poi mi comunica, sempre per iscritto e
in modo inequivocabile, ''la Lei dice Celentano è fuori'',
fatto confermatomi telefonicamente dall'avvocato Fiorespino che riferisce
dell'invito della direzione generale a cercare ''un'alternativa a Celentano''.
Rispondo all'avvocato con un silenzio costernato''.
"Il
seguito è cronaca recente di colpi e contraccolpi e io sono molto irritato
perché tutto questo danneggia anche il mio lavoro di direttore artistico che ha
a cuore il successo della manifestazione. Sono pagato per quello e quello
voglio raggiungere, così come ho sempre fatto negli anni. Per il resto non
esprimo giudizi anche se mi piacerebbe tanto sapere quali uffici, e quali
ufficiali, dovrebbero concordare i contenuti dell'intervento di Celentano. Non
mi fido, preferisco che Celentano (lo conosciamo tutti da sempre) dica quello
che vuole, anche perché in diretta può farlo liberamente, e a me (come a
chiunque altro) sia data la possibilità di rispondergli se non sarò d'accordo.
Il che è anche probabile''.
Intanto, in una nota diffusa dall'Ufficio Stampa
di Viale Mazzini si legge che "la Rai è in attesa di ricevere la bozza di
contratto definitiva relativa alla partecipazione di Adriano
Celentano al Festival di Sanremo".
"La
bozza, come concordato nella tarda serata di ieri - sottolinea la Rai - doveva
pervenire entro la mattinata. A questo e all'apporto artistico di Adriano
Celentano al Festival, la Rai era e resta fortemente interessata. Nessuna
attenzione, invece, l'Azienda intende prestare ai pettegolezzi che sembrano
inspiegabilmente prevalere in queste ultime ore", conclude Viale Mazzini.
da: la
Repubblica
La flex
senza security
di Carlo Clericetti
Altro che
articolo 18. Il documento letto
ai rappresentanti delle parti sociali 1 dal ministro Elsa
Fornero fa intuire che l'intenzione del governo sarebbe di agire ben più
pesantemente sull'organizzazione del mercato del lavoro. Dopo tutti i discorsi
sulla flexsecurity, la flessibilità anche nei licenziamenti ma
compensata da una rete di sicurezza per chi perde il posto, l'esordio di ieri
propone di realizzare subito la prima parte, mentre la seconda sarebbe rinviata
a tempi indefiniti.
Il documento, dopo la riunione, è stato "degradato" ad appunto di lavoro del ministro, perché i sindacati non hanno gradito il metodo proposto, per la verità senza precedenti. Il documento è stato solo letto dal ministro, ma non consegnato alle parti sociali, perché, ha spiegato, l'intenzione è di avviare un dibattito per via telematica. Una procedura seguita in altri paesi europei, ma per l'Italia una novità assoluta. Ma non è stato tanto quello il problema sollevato dai sindacati, quanto il fatto di voler iniziare una trattativa sulla base di un documento già strutturato, che - osservano - dovrebbe essere piuttosto un punto di arrivo. "Per noi ha detto Susanna Camusso - si parte dall'agenda e non dai contenuti già predeterminati".
Ma tra i contenuti enunciati dal ministro soprattutto uno ha provocato reazioni negative: la proposta di abolire la cassa integrazione straordinaria (Cigs). "Tutte le parti sociali hanno detto che questa cosa non è fattibile", ha specificato Camusso calcando la voce sul "tutti". E infatti anche la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha osservato che "Non si può toccare ora la cassa integrazione, perché il 2012 sarà un anno di forti ristrutturazioni".
Per capire l'importanza di questo punto bisogna ricordare a che serve la Cigs. Le aziende che vogliono ridurre l'impiego di manodopera possono ricorrere alla cassa integrazione ordinaria se ritengono che le difficoltà siano superabili e limitate nel tempo, come una diminuzione degli ordini causata da un rallentamento dell'economia o la necessità di procedere a rstrutturazioni. Se invece ritengono di avere di fronte un problema strutturale - mutamento del mercato, perdita di competitività - ricorrono alla Cigs, che è in pratica un quasi-licenziamento. In altre parole, la Cig prefigura un ritorno in azienda in tempi definiti, mentre la Cigs - pur non recidendo del tutto il legame con il lavoratore - significa che questo rientro sarà molto difficile, ancora possibile se l'azienda riuscirà a superare i suoi problemi, ma non probabile.
La Cigs dura 18 mesi, durante i quali si percepisce l'80 % della retribuzione, ma con il limite massimo di 800 euro al mese. Finito questo periodo si entra "in mobilità": le speranze di riprendere il lavoro precedente sono ormai svanite e c'è un altro periodo di tempo - in linea di massima un altro anno - per trovarne un altro, con un'indennità ancora più ridotta.
La Cigs serve all'azienda, perché dal momento in cui i lavoratori vengono presi in carico da questo istituto non ne sostiene più il costo; e serve ai dipendenti perché non restano disoccupati da un giorno all'altro. In Italia questo è praticamente l'unico ammortizzatore sociale, visto che l'indennità di disoccupazione è praticamente inesistente.
Nel documento letto dal ministro si parla di sostituire la Cigs con "indennità risarcitorie": significa che ai licenziati verrebbe data una certa somma , presumibilmente alcuni mesi di stipendio. Un bel misero paracadute, tenuto conto delle difficoltà di trovare un nuovo lavoro e che le retribuzioni italiane sono per lo più basse. L'intenzione sarebbe poi di offrire un "sostegno al reddito" a chi ha perso il lavoro, cioè di garantirgi un sussidio di disoccupazione che gli permetta di sopravvivere: ma le risorse che sarebbero necessarie per finanziarlo al momento "non sono individuabili". Quindi questa misura sarebbe inserita nella riforma ma prevedendo "un'applicazione dilazionata". Detto in chiaro: intanto stabiliamo che si licenzia; per la sopravvivenza di chi perde il lavoro si vedrà.
Quali sarebbero state le conseguenze se queste nuove norme fossero state in vigore dall'inizio del 2011? Semplice: avremmo 340.000 disoccupati in più, considerando i 190.000 lavoratori in Cigs e i 150.000 che usufruiscono della cosiddetta "cassa in deroga". Il numero complessivo sarebbe balzato da 2.142.000 a quasi due milioni e mezzo e il tasso di disoccupazione sarebbe aumentato di quasi il 16%, arrivando a sfiorare quasi il 10% (9,965) della forza lavoro, mentre adesso (dati di dicembre) si attesta all'8,6%.
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