da:
Il Sole 24 Ore
Glam
rock e quella faccia un po' così. Quarant'anni fa il debutto dei Kiss, la band
che si fece brand (da un miliardo di dollari)
di Francesco
Prisco
Forse fu colpa del nome del locale: Popcorn
Club, un po' come se si trattasse di un ritrovo per boyscout. Forse fu colpa
della scarsa pubblicità: giusto qualche manifestino ciclostilato affisso nel
quartiere di Queens. Ma soprattutto fu colpa del fatto che, quella volta, ci
misero la faccia: la loro «vera» faccia, senza un grammo di makeup. Tre date
dal vivo – dal 30 gennaio all'1 febbraio 1973 – per radunare sotto il palco
qualche decina di persone in tutto, per larga parte amici e parenti. Al primo
live act pare ci fossero addirittura soltanto tre spettatori.
È nata così, con quel flop che col senno di
poi ha assunto contorni mitologici, la leggenda dei Kiss, gruppo di punta della
scena glam newyorchese degli anni Settanta, band fra le più longeve e «vendute»
della storia del rock. Palmares di rispetto assoluto, sul versante
discografico: 130 milioni di album venduti in giro per il mondo, 24 dischi
d'oro, dieci di platino e due multiplatino. Un «brand» più che una band, se si
considera che, più di chiunque altro, i quattro hanno legato la propria immagine
alle categorie merceologiche più diverse: dai plettri per chitarristi alle
birre, dai condom personalizzati alle figurine di Hello Kitty, dalle automobili
ai palloni da calcio, fino alle bare in legno laccato (!). Soltanto attraverso
Live Nation,
il principale store online di oggettistica dedicata agli
appassionati di musica, si calcola che negli ultimi 15 anni il marchio Kiss
abbia mosso qualcosa come mezzo miliardo di dollari.
Oltre che come un pezzo di storia del rock,
i Kiss andrebbero analizzati come una case history di successo. Di quelle che
suscitano innumerevoli interrogativi. Quanto vale il loro marchio? Gene
Simmons, bassista e linguacciuto ideologo del gruppo, lo stima tra il miliardo
e i cinque miliardi di dollari. Quanti saranno i fan del gruppo? Viene davvero
da chiederselo, a pensare che la vendita delle magliette con sopra stampati i
loro inconfondibili faccioni ha superato i 10 milioni di pezzi. Quanti soldi
muove il merchandising di un loro concerto che finisce sold out? Pare che la
risposta esatta si aggiri intorno ai 600mila dollari. Cosa c'entra tutto questo
con la musica? Beh, il rock a volte è tutto quello che ci gira intorno.
Con quella faccia un po' così
L'interrogativo principale, tuttavia, è un altro: senza il loro leggendario makeup, i Kiss sarebbero stati comunque i Kiss? Azzardiamo una risposta che forse scontenterà qualcuno: no. I Kiss nascono da un concept molto ambizioso, nel quale la faccia gioca un ruolo determinante. L'idea venne a Simmons, ovviamente. Forse non tutti sanno che, in fondo al suo cuoricino, è un grande fan dei Beatles. All'inizio degli anni Settanta convinse Paul Stanley, cantante e chitarrista ritmico con il quale aveva condiviso l'esperienza fallimentare dei Wicked Lester, a fondare una band sul modello dei Fab Four: un specie di forma geometrica perfetta con quattro vertici, ciascuno ben caratterizzato e per questo facilmente riconoscibile; un'alchimia tra quattro elementi che si completano fino a comporre una miscela esplosiva; un ensemble musicale in cui «tutti cantano e tutti contano». Il resto lo fecero l'influenza del teatro Kabuki mescolata alla rivoluzione glam, al successo di David Bowie che in Inghilterra si era re-inventato alieno nei panni di Ziggy Stardust e a quello dei New York Dolls che in America giocavano ai travestimenti. Fu la quadratura del cerchio: ciascun membro dei Kiss sarebbe stato il suo trucco di scena. Simmons divenne «The Demon», Stanley «The Starchild», il chitarrista solista Ace Frehley «The Spaceman», il batterista Peter Criss «The Catman».
L'interrogativo principale, tuttavia, è un altro: senza il loro leggendario makeup, i Kiss sarebbero stati comunque i Kiss? Azzardiamo una risposta che forse scontenterà qualcuno: no. I Kiss nascono da un concept molto ambizioso, nel quale la faccia gioca un ruolo determinante. L'idea venne a Simmons, ovviamente. Forse non tutti sanno che, in fondo al suo cuoricino, è un grande fan dei Beatles. All'inizio degli anni Settanta convinse Paul Stanley, cantante e chitarrista ritmico con il quale aveva condiviso l'esperienza fallimentare dei Wicked Lester, a fondare una band sul modello dei Fab Four: un specie di forma geometrica perfetta con quattro vertici, ciascuno ben caratterizzato e per questo facilmente riconoscibile; un'alchimia tra quattro elementi che si completano fino a comporre una miscela esplosiva; un ensemble musicale in cui «tutti cantano e tutti contano». Il resto lo fecero l'influenza del teatro Kabuki mescolata alla rivoluzione glam, al successo di David Bowie che in Inghilterra si era re-inventato alieno nei panni di Ziggy Stardust e a quello dei New York Dolls che in America giocavano ai travestimenti. Fu la quadratura del cerchio: ciascun membro dei Kiss sarebbe stato il suo trucco di scena. Simmons divenne «The Demon», Stanley «The Starchild», il chitarrista solista Ace Frehley «The Spaceman», il batterista Peter Criss «The Catman».
Quando il successo si fa aspettare
Il bello fu che, anche stavolta, la ruota sembrava non volerne sapere di girare per il verso giusto. I primi album «Kiss», «Hotter than Hell» e «Dressed to kill» si rivelarono un mezzo flop, in barba ai massicci investimenti in pubblicità e agli ammiccamenti alternati ad hard rock e melodia. In compenso, dal vivo la band funzionava a meraviglia, con tutto il suo armamentario di esplosioni e succo di pomodoro vomitato come fosse sostanza ematica. Il trend si invertì guarda caso con un disco dal vivo: «Alive!». Ma il salto mainstream si avrà nel '79 con «Dynasty» e quella «I was made for lovin' you» grazie alla quale tutto il mondo si accorge di loro. Negli anni Ottanta proveranno anche a far musica con la loro vera faccia, ma il pubblico non gradirà. Oggi, a più di sessant'anni, portano in giro la grandeur dei loro volti pitturati ed è un circo che vale il prezzo del biglietto. Che vende spille e bandierine ai bambini. Lasciatevelo dire da quel demonio di zio Gene: «Il mio pezzo preferito di merchandising sono io».
Il bello fu che, anche stavolta, la ruota sembrava non volerne sapere di girare per il verso giusto. I primi album «Kiss», «Hotter than Hell» e «Dressed to kill» si rivelarono un mezzo flop, in barba ai massicci investimenti in pubblicità e agli ammiccamenti alternati ad hard rock e melodia. In compenso, dal vivo la band funzionava a meraviglia, con tutto il suo armamentario di esplosioni e succo di pomodoro vomitato come fosse sostanza ematica. Il trend si invertì guarda caso con un disco dal vivo: «Alive!». Ma il salto mainstream si avrà nel '79 con «Dynasty» e quella «I was made for lovin' you» grazie alla quale tutto il mondo si accorge di loro. Negli anni Ottanta proveranno anche a far musica con la loro vera faccia, ma il pubblico non gradirà. Oggi, a più di sessant'anni, portano in giro la grandeur dei loro volti pitturati ed è un circo che vale il prezzo del biglietto. Che vende spille e bandierine ai bambini. Lasciatevelo dire da quel demonio di zio Gene: «Il mio pezzo preferito di merchandising sono io».
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