venerdì 1 febbraio 2013

Siria: il massacro dimenticato


da: Lettera 43

Siria, il massacro dimenticato
L'Occidente interviene in Mali. Ma ignora Damasco. Solo Israele decide di agire. Colpendo convogli diretti in Libano. 
di Giovanna Faggionato

Per tornare a parlare del massacro siriano ci sono voluti i corpi gonfi di acqua e di fango sdraiati sulla riva di un fiume che sembra un canale di scolo, ai margini della periferia asfaltata di Aleppo.
Quei cadaveri 'sparati' con le mani legate dietro la schiena in un sobborgo riempito di aria calda e cemento hanno fatto ritrovare le parole, anche se tutte quelle possibili sono ormai state spese e si sono logorate al punto da non riuscire più a raccontare. Solo ora l'esecuzione teatrale e barbara ha riacceso le luci sul gorgo siriano.

«IL PAESE STA ANDANDO A PEZZI». Lakhdar Brahimi, l'inviato speciale delle Nazioni unite e della Lega Araba per la Siria, è stato eloquente, mostrando il proprio sgomento: «La Siria sta andando a pezzi di fronte al mondo, giorno dopo giorno». Non solo: «Sono stati raggiunti livelli di orrore finora mai visti». A cosa possa servire la constatazione, oltre ai titoli sulla stampa di mezzo mondo e all'aggiornamento del bilancio a 60 mila vittime e 700 mila rifugiati, è difficile a dirsi. La Turchia è in allerta da mesi, mentre Israele ha addirittura iniziato a bombardare i convogli oltre il confine per paura che le armi chimiche siriane vengono trafugate in Libano.
LA SIRIA NON È IL MALI.  L'intervento della comunità internazionale è sempre
sull'orlo di dispiegarsi, ma non arriva mai. E in 22 mesi di rivolte, bombe e guerra civile, si sono fatti ben pochi passi avanti. Nel frattempo Israele ha bombardato la striscia di Gaza e la Francia ha apparecchiato in pochi mesi una guerra al terrore. Ma la Siria non è il Mali. E per tre volte, al tavolo dell'Onu, al momento di votare una risoluzione contro il regime di Bashar al Assad, Cina e Russia hanno posto inesorabilmente il veto, offrendo all'Occidente la migliore motivazione per non intervenire. E lasciare che tutto scorra. Come i cadaveri lungo un canale di scolo.

«Israele ha bombardato oltre il confine libanese»

Qualcosa, certo, è successo. Si sono tenuti i vertici degli amici della Siria, si sono mobilitate la Lega Araba e le potenze occidentali che insieme hanno cercato e costruito un interlocutore in vista del dopo Assad.
Parigi ha accolto una rappresentanza permanente della Coalizione siriana degli oppositori al regime, e a Londra si è tenuto anche un incontro tra i vertici militari occidentali per decidere una strategia comune.
Nel solo arco di pochi giorni, tra sabato 26 e mercoledì 30 gennaio, i ribelli al regime hanno incontrato il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius e hanno chiesto di porre fine all'embargo: «Non abbiamo bisogno di un vostro intervento, ma di armi, e di 500 milioni di dollari», hanno reclamato.
La Nato ha schierato batterie di missili Patriot al confine tra Siria e Turchia.
TENSIONE ISRAELE- LIBANO. In Israele, invece, il sito di informazione Ynet ha dato per certa la presenza di campi di Hezbollah libanesi accanto agli arsenali chimici siriani. E il governo di Tel Aviv ha dispiegato la difesa anti aerea sulle Alture del Golan. Ha inviato un suo uomo a Mosca e discusso con l'ambasciatore americano del pericolo legato ai depositi incustoditi. E ha subito intensificato le operazioni di controllo aereo sul Libano, al confine siro-libanese.
Il 30 gennaio «le forze aeree di Tel Aviv hanno fatto saltare in aria un convoglio che aveva appena attraversato il confine dalla Siria verso il Libano», ha spiegato una fonte parlando a condizione di anonimato, viste le delicate dimensioni della questione. E l'esercito di Beirut ha confermato la notizia alla France Presse: «Diversi aerei da guerra di Israele sono entrati per almeno 16 volte nello spazio aereo libanese».
Insomma, l'allerta è altissima. Le operazioni militari sono alle porte. Ma poi, quando il dossier arriva all'Onu, tutto resta sospeso, come fossero movimenti simmetrici di una guerra fredda mediorientale. E l'iniziativa di Israele - ufficilamente non confermata - può solo irrigidire le posizioni di Mosca e Pechino.

L'Onu si sforza per raccogliere 1,5 miliardi di dollari

Troppi sono gli interessi in campo. Secondo gli analisti un intervento potrebbe far collidere i blocchi e deflagrare tutte le tensioni regionali: i Paesi del Golfo sunniti contro il blocco sciita di Iran e Libano, l'Occidente 'imperialista' contro il nuovo mondo arabo, Israele contro tutti.
Tanto che il presidente Usa Barack Obama lo ha ammesso candidamente: «Mi devo chiedere che differenze potrebbero esserci, se un intervento militare avrebbe effetto o se causerebbe ancora maggiori violenze».
UN CONTRIBUTO USA DI 365 MLN. Alla fine di concreto restano solo gli aiuti umanitari.
Nell'imperversare delle azioni di guerra, degli attacchi e delle ritorsioni, la possibilità d'azione delle organizzazioni umanitarie è limitata. Ma l'Onu è comunque rimasta sul campo. E ha organizzato per il 30 gennaio a Kuwait City una conferenza per raccogliere 1,5 miliardi di euro e sostenere l'attività umanitaria per i prossimi sei mesi.
Con 155 milioni di dollari annunciati da Obama, il contributo americano ha raggiunto i 365 milioni. Kuwait e Emirati Arabi hanno promesso 300 milioni di dollari ciascuno. Mentre altri 300 milioni dovrebbero arrivare dall'Arabia Saudita, 80 dalla Gran Bretagna, 20 dal Bahrain e 13 dalla Germania. Dal Kuwait il segretario generale dell'Onu Ban Ki-Moon ha anche lanciato un appello per fermare il massacro. L'ennesimo appello destinato, probabilmente, a cadere nel vuoto.

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