da: la Repubblica
Dopo
Mps mai più derivati senza regole
di Rainer
Masera
Il “caso Mps ” è molto complesso, per
l’intreccio di problemi che hanno concorso alla crisi della più antica banca
del mondo. Semplificando al massimo, emergono quattro principali profili.
In
primo luogo, quello di corporate governance della Banca e della Fondazione azionista
di riferimento. In secondo luogo, si intersecano le azioni e le scelte di due
autorità di vigilanza: quella della Banca d’Italia responsabile della
supervisione bancaria, e quella del Ministero dell’Economia, cui compete la
sorveglianza sulle fondazioni bancarie. Ad esse si è affiancato ora il vaglio
dell’autorità giudiziaria, che ha ipotizzato la costituzione di un’associazione
a delinquere e ha iscritto la stessa Banca nel registro degli indagati. Non è
vero dunque che le responsabilità da accertare siano meramente individuali. Ove
provata, la presenza di attività di carattere criminale sottolineerebbe la
specificità del caso in questione. In terzo luogo, si pone la questione delle
forme di intervento pubblico a sostegno della Banca, la scelta tra
ricapitalizzazione e acquisto di obbligazioni speciali (Monti-bonds). Questi
interventi prefigurano implicazioni indesiderabili di “azzardo morale”, nella
misura in cui, offrendo garanzia di salvataggio, esimono il management della
Banca dall’assumersi le responsabilità di una cattiva e imprudente gestione.
Al
riguardo, l’Unione Europea sta valutando la creazione di autorità di
risanamento e risoluzione delle banche, dopo
l’introduzione di una rigorosa normativa negli Usa (Dodd-Frank Act), per
prevenire l’utilizzo di denaro pubblico
per salvare le banche in difficoltà.
Ultima, ma di pari importanza, è la questione dell’utilizzo di derivati
complessi e opachi nel Mps e in generale da parte delle banche, al loro interno
e nelle relazioni con la clientela (imprese ed enti pubblici). Le principali
responsabilità della crisi sono da imputare alle scelte operate dai
responsabili della Banca e della Fondazione. Al di là dei gravi comportamenti
di omissione di informazione alle autorità di vigilanza e di eventuali disegni
di carattere criminale, il management ha effettuato una operazione sbagliata:
l’acquisito per 10 mld di euro di una banca, Antonveneta, con 3 miliardi di
capitale tangibile, in un momento in cui in Italia e nel mondo gli avviamenti
bancari subivano falcidie profonde.
Il mercato lo ha sanzionato, distruggendo
il controvalore dell’operazione con la caduta del prezzo di Mps: il titolo è
sceso da 3,5 a 0,8 euro fra la fine del 2007 e il marzo 2009. Oggi quota 0,25,
nonostante le iniezioni di mezzi freschi e il sostegno pubblico. Gli aumenti di
capitale e il Fresh riservato a JP Morgan (con clausole apparentemente tenute
segrete) hanno contribuito a realizzare un’operazione votata a distruggere
valore. La Fondazione, come azionista di riferimento, avrebbe dovuto evitare
l’enorme concentrazione di risorse sulla Banca, che le ha impedito di mantenere
un’opportuna diversificazione dei propri investimenti per adempiere ai compiti
istituzionali, andando addirittura a leva per far fronte agli aumenti di capitale
riservati.
Lo stesso Ministero dell’Economia nella sua azione di vigilanza
sulle Fondazioni avrebbe dovuto porre maggiore attenzione ai profili di
diversificazione (e dei rischi impliciti nel controllo a delle banche di
riferimento da parte di organismi connessi alla politica e, in particolare,
dell’intreccio tra fondazioni e banche, con il passaggio dei vertici delle
prime alle seconde). A seguito dell’operazione su Antonveneta, il Tesoro era
già intervenuto nel 2009 in favore di Mps con l’acquisto di Tremontibonds per
1,9 mld. Oggi, il Governo Monti ha deciso di assegnare 3,9 mld di Monti-bonds a
Mps (previa sostituzione alla pari dei Tremonti-bonds).
Si ricorda che oggi il
valore della Banca si commisura a 2,6 miliardi. I Montibonds sono meno onerosi
per la Banca rispetto ai precedenti (a scapito del taxpayer?), ma comunque
gravemente penalizzanti il conto economico prospettico (il tasso di interesse
iniziale del 9% può essere incrementato fino al 15%). Il Ministero
dell’Economia ha raggiunto il convincimento, sulla base della due diligence
svolta, che la Banca ha una solida posizione patrimoniale, come spiegato in
Parlamento dal Ministro Grilli. Sarebbe stato, allora, più opportuno operare il
sostegno pubblico attraverso l’acquisto di azioni: la fiducia nei valori di
libro e nelle prospettive della Banca avrebbe consentito di prevedere capital
gains man mano che il valore del titolo si avvicinava quantomeno a quello di
libro (price to book attuale 0,27). Al contempo, si sarebbe evitato il rischio
di soffocare il conto economico con gli elevati oneri di interessi. Effetto
collaterale, a mio avviso desiderabile, sarebbe stato quello di estromettere la
Fondazione come azionista di riferimento della Banca. Un’azione trasparente
svolta nel modo indicato sarebbe stata, inoltre, più in linea con gli indirizzi
che si stanno delineando a livello europeo.
Al riguardo occorre dotare
l’autorità di vigilanza di poteri più ampi di intervento in banche
sistematicamente rilevanti che si avvicinano a condizioni di insolvenza. Si
deve sciogliere il nodo giuridico fra efficienza e rapidità degli interventi e
tutela degli interessi degli azionisti. Il Dodd-Frank Act rappresenta un
modello da valutare con attenzione. Per fare chiarezza sull’intera vicenda
occorre infine accertare e valutare le complesse operazioni finanziarie poste
in essere dal Mps attraverso derivati, che hanno impedito alla stessa Banca
d’Italia di svolgere al meglio la sua puntuale azione di vigilanza. Ci si può
al riguardo domandare se i repo strutturati posti in essere dal Monte con
grandi banche internazionali non nascondano operazioni improprie di
assicurazione dei titoli pubblici italiani (una banca con sostegno pubblico
avrebbe offerto garanzie sul debito pubblico stesso). Il problema, peraltro, è
generalizzato, grave e delicato. Non si può non ricordare che lo stesso
Ministero dell’Economia e delle Finanze ha posto in essere operazioni per 160
miliardi in derivati apparentemente con banche internazionali che hanno
portato, come si ricorderà, alla contabilizzazione di 2,6mld di perdite nei
confronti di Morgan Stanley nel marzo del 2012.
Nei giorni scorsi, nel Regno
Unito la Financial Services Authority ha annunciato di voler fare chiarezza sui
rapporti fra le banche e il sistema economico attraverso derivati (il 90% dei
derivati di interesse venduti dalle banche inglesi alle Pmi sarebbero
irregolari). Il caso Mps conferma che analogo accertamento sarebbe opportuno in
Italia. Si collegherebbe alle decisioni finalmente prese in Europa e negli Usa
volte a riportare, per quanto possibile, i contratti derivati sui mercati
regolamentati.
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