Tra i pensionati italiani, c'è chi ha una
pensione media mensile che non supera i 1.000 euro. Alcuni possiedono una casa
di proprietà e hanno un gruzzolo in
banca. Ma neppure chi prende una pensione di 1.000 euro, ha una casa di
proprietà e qualche risparmio in banca, può scialare.
Molti di loro usufruiscono di agevolazioni
ed esenzioni. E’ comprensibile – ma non per questo accettabile – che quando
devono fare l’autocertificazione per usufruire di riduzioni o esenzioni si “scordino”
di avere un conto corrente (normalmente, intestato con i figli) e dei Bot (se
la banca non gli ha rifilato qualche “investimento” strutturato).
Tra i pensionati italiani, c'è chi ha un
reddito lievemente superiore ai suddetti e non rientra tra i beneficiari di agevolazioni
ed esenzioni. Quelli che, appunto, ottengono gli “smemorati” nell’autocertificazione.
Sarebbe auspicabile – non vale certo solo
per i pensionati – che in questo paese si dichiarasse ciò che realmente si
possiede e si alzasse la soglia di reddito per concedere agevolazioni, sconti
ed esenzioni. Se alcuni sono fuori dai benefici è perché non sono smemorati o perché
prendono 10 euro in più al mese. Non si capisce per quale motivo gli “smemorati”
debbano invece beneficiare del welfare.
La vera rivoluzione sociale in questo paese
è un’utopia. Ma la politica ci deve provare e deve riuscire.
La rivoluzione sociale italiana comincia, innanzitutto,
con questo ideale pratico: tutti devono
dichiarare i loro beni. Punto e stop. Si tratta, in uno stato civile – cioè in
presenza di uno stato sociale – di concedere esenzioni e dare agevolazioni in
ragione di un reddito complessivo reale che definiamo essere basso rispetto al
costo medio della vita e in virtù del fatto che, se si pagano delle tasse, si
devono avere dei servizi in cambio.
Faccio presente - piaccia o no a parte degli italiani che il costo della vita è maggiore in alcune parti del paese piuttosto che in altre.
Se non ci diciamo le cose come stanno e se
non comprendiamo i vari aspetti della vita personale e sociale, non riusciremo
mai ad attuare l’equità sociale. In questo paese, per troppi italiani, i
redditi reali non sono certi. Pertanto, in assenza – non dico della certezza
totale – ma di un sempre maggior assottigliamento dell’”imprecisione”,
agevolazioni ed esenzioni devono essere ridotte al minimo se non bandite. Solo
quando avremo la coscienza sociale di dichiarare l’effettivo stato dei nostri
beni, lo Stato Sociale dovrà riconoscere a una fascia di persone esenzioni e
agevolazioni.
La giustizia sociale non è solo tassare i
grandi patrimoni – quando, tra l’altro, nessuno dei politici sa quali siano gli
strumenti per riconoscerli – ma garantire onestà, trasparenza, in tutti. Per
tutti.
E’ ovvio che si tratta, innanzitutto, di
coscienza personale. Ma questa se ne va a spasso in un paese nel quale pochi
pagano per tutti. Ecco perché, capisco il “pensionato smemorato”; ma non è
accettabile che vi siano persone che, per aver dichiarato tutto onestamente si
perdano ciò che altri si sono conquistati con qualche trucco.
In un paese civile, democratico, equo, la
politica deve pensare e attuare strumenti che consentano l’identificazione
delle disponibilità di ognuno di noi. Poi, possiamo discutere quali siano i
requisiti e i termini per concedere a taluni forme di sostegno, di esenzione,
di agevolazione. La coscienza personale cresce solo se la politica è onesta e
capace di trovare gli strumenti adeguati. Non sarà possibile raggiungere la
perfetta giustizia sociale, ma usciremo da questo imbarbarimento individualista
che impedisce – anche a chi ne avrebbe intenzione, per educazione, principi,
esperienze di vita – di essere parte di una collettività.
Siamo – da anni – in piena involuzione
sociale. E per mantenere questo stato “involutivo”, c’è gente che rivoterà
ancora Berlusconi. Comprensibile. Ce li vedete Bersani e Monti a fare la
rivoluzione sociale.
E
se ho scritto qualcosa di impopolare..ovviamente…me ne fotto. Non scrivo per
prendermi in giro o per prendere in giro.
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