da: la Repubblica
Il grande silenzio del rock
"Questa volta è finita davvero"
Nel 2011 le top ten musicali sono state dominate dal
pop. E il movimento degli indignati è rimasto senza una canzone simbolo. Così
la musica è cambiata
di Gino Castaldo
Ma allora è
proprio finita? I giovani trovano luoghi e ragioni per nuove proteste, che si
chiamino Indignados o Occupy Wall Street, ma curiosamente, forse per la prima
volta nella storia moderna, non esiste una colonna sonora che racconti di
queste nuove esperienze. Il rock? Latita, è assente, così come sta praticamente
scomparendo dalle classifiche, lasciando il posto a un dominio pressoché
assoluto del pop commerciale.
Basta dare un'occhiata alla top 100 di Billboard Usa: Adele, Drake, i Lmfao, Rihanna, Katy Perry e via così tra pop e rap, anche questo del resto da alcuni anni in piena e irrefrenabile regressione commerciale. Prima di trovare qualcosa che assomigli al rock bisogna scendere molto più in basso. C'è il rock d'autore di Florence and the Machine, qualche sussulto firmato Black Keys, ma in generale prevale l'imperativo della dance.
Lo stesso in Inghilterra, dove per contro manca lo strapotere del rap: Michael Bublè, Bruno Mars, Adele, Rihanna. Certo, ci sono i Coldplay
Stessa cosa vale per i Grammy, il massimo riconoscimento musicale americano. Tra le candidature del prossimo evento di febbraio spiccano di nuovo Adele, Rihanna, Lady Gaga, a testimonianza che tra l'altro se di novità possiamo parlare, sancita definitivamente nel corso del 2011, è l'assoluto predominio delle voci femminili. Comunque vada un profluvio pop che, ci si può scommettere, dominerà le maggiori categorie, tranne che in quelle rock ovviamente, le uniche dove il successo è ancora garantito. Ma per quanto?
I margini sembrano ridotti, come se il rock stesse diventando una riserva, da proteggere e magari conservare con cura, come un retaggio del passato. Ogni tanto arriva un acuto un segno forte (Springsteen, Radiohead, Arcade Fire tanto per fare esempi), ma i nomi in grado di contrastare la marea montante del disimpegno musicale sono sempre meno e più isolati. Sembrerebbero circostanze molto distanti tra di loro, la protesta e le classifiche, e invece sono strettamente connesse.
Parlano entrambi di un vuoto, del fatto che il popolo giovanile, incoraggiato da un sistema mediatico votato al consumismo più sfrenato, sembra tornato a un'era pre-rock in cui la musica era soprattutto intrattenimento, magari licenzioso, qualche volta trasgressivo, ma pur sempre solo e soprattutto divertimento. Di nuovi gruppi rock ce ne sono, a centinaia, ma preferiscono un profilo più basso e aristocratico, nessuno di loro sembra volersi fare carico di essere portavoce di alcunché, tantomeno di esprimere nelle canzoni un grande respiro generazionale.
Ci sono band da culto come i Fleet Foxes o i Mumford and sons, che hanno un notevole seguito, e qualche volta riescono a inserirsi nel grande circuito, e lo stesso vale per nuovi cantautori rock come Bon Iver, molto amati, ma anche il loro successo conferma un trend fortemente conservativo. Anche loro non fanno che ripetere stili e modalità del vecchio rock, appena rinfrescate ad uso e consumo delle nuove generazioni.
Rimane il fatto che, se dovessimo trovare oggi un pezzo rock capace di interpretare il presente faremmo una gran fatica. Anche le band storiche tipo U2, non sembrano più molto intenzionate a cavalcare la ricerca dei nuovi sentimenti planetari. E ovviamente, se di vuoto si tratta, c'è spazio per ogni tipo di revival. I Sessanta, che non tramontano mai del tutto, poi Settanta, gli Ottanta, una spirale infinita e ormai più che logora, che rimbalza da un luogo all'altro dell'immaginario sonoro dei nostri tempi.
Un sintomo inequivocabile è l'eterno ciclo delle vecchie band che decidono di tornare in pista. Tutto fa brodo per salvare il salvabile, e anche il 2012 si annuncia all'insegna dei grandi ritorni. Come se il calendario si fosse inceppato nella maglie del tempo, tra i tour più attesi dell'anno nuovo ci sono in programma molti eventi di riunione, con un ampio raggio che va dai Black Sabbath ai Beach Boys.
Parlando di rock si investe molto sui concerti, che ancora funzionano, soprattutto se si parla di nomi consolidati, meglio ancora se sono vecchie glorie capaci di risvegliare anche nel pubblico giovanile il sogno, ormai tramontato, di una musica capace di far fantasticare, di parlare una lingua nuova, di risvegliare il nostro orgoglio di cittadini del mondo, alle prese con le difficoltà del mondo reale.
Mancano idee e progetti, il rock sembra incapace di rinnovarsi, e il vuoto si espande e si scioglie nella dispersione di cuffiette, download e condivisioni social. Il verbo rock, in quanto tale, non sembra più in grado di rappresentare il nuovo, cede il posto alle punte avanzate della tecno, ai lustrini fiammeggianti delle nuove iconiche dive pop. E quel poco che c'è viene puntualmente boicottato. In Italia ad esempio c'è un certo risveglio rock, ci sono gruppi forti e molto arrabbiati come il Teatro degli Orrori e i Ministri, ma fanno una gran fatica a emergere dalla trama asfissiante del mercato, con le sue rigide regole di imposizione mercantile.
E che i tempi siano cambiati lo dimostrano proprio le recenti manifestazioni di protesta. Un buon test per verificare la tenuta carismatica di un genere nato sostanzialmente come moto di rivolta. Se da una parte non sembra avere molte difese commerciali da opporre al pop che avanza, dall'altra non riesce a fornire emozioni in grado di aggregare forze collettive. Non ci sono nuovi inni, pezzi come We shall overcome o Blowin in the wind, per rimanere alle vecchie posizioni anni Sessanta, ma neanche pezzi incendiari come London calling o come gli ultimi vagiti di rabbia espressi dal grunge, in fin dei conti non ci sono brividi da condividere.
A presenziare, tra primitive e spontanee jam session di tamburi sono i soliti grandi vecchi come Patti Smith, Lou Reed. Vanno e cantano, ma ovviamente non hanno pezzi nuovi da fornire al movimento. E comunque cercano almeno di essere presenti. In Inghilterra si sono affacciati i Radiohead, ma anche loro al momento non sembrano intenzionati a "cantare" la protesta, ammesso che questo rientri nella loro più enigmatica vocazione di gruppo guida del disagio poetico.
Tom Morello dei Rage Against The Machine è andato allo Zuccotti park e si è messo a suonare per i manifestanti, lo stesso hanno fatto vecchie glorie come Crosby e Nash. Graham Nash ha introdotto Teach your children, dicendo: "Questa la conoscete, quindi aiutateci a cantarla. L'ho scritta quarant'anni fa ma ci siamo accorti di quanto sia attuale. Dobbiamo impegnarci a far crescere meglio i nostri figli".
Come dire, visto che non c'è niente di contemporaneo che possa adattarsi alla nuova situazione, tanto vale cantare le vecchie cose, che almeno sapevano il fatto loro. Ma accadono fatti curiosi. A conferma del fatto che a sostituire certe modalità di condivisione siano oggi i social network, si registra un episodio molto curioso. Il batterista dei Roots, uno dei gruppi più trendy del momento, l'afroamericano Questlove, ha partecipato a titolo personale alle proteste di Occupy Wall street, e quando si è accorto che la polizia si stava muovendo in direzione della zona occupata dai manifestanti ha avvisato i suoi numerosi followers su Twitter. Un cinguettio può salvare il mondo? Certamente più della musica, che di questi tempi sta vivendo un lungo e irritante letargo di coscienza.
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