da: Il Fatto Quotidiano - 10/7/14
Patto
Renzi-Berlusconi, il modello “super-premier” senza opposizione
Le
riforme in 10 punti: dall'Italicum all'elezione del capo dello Stato, passando
per informazione e immunità parlamentare; se il pacchetto istituzionale passerà
diventa quasi certa la "svolta autoritaria" paventata dai giuristi di
Libertà e Giustizia, senza più opposizione nè controlli
di Marco
Travaglio
Unendo i
puntini delle varie riforme vaganti tra governo e Parlamento,
costituzionali e ordinarie, ma anche di certe prassi quotidiane passate sotto
silenzio per trasformarsi subito in precedenti pericolosi, come le continue
interferenze del Quirinale nell’autonomia del Parlamento, della
magistratura e della stampa, viene fuori un disegno che inquieta. Una democrazia
verticale, cioè ben poco democratica: sconosciuta, anzi opposta ai principi
ispiratori della Costituzione, fondata invece su un assetto orizzontale in
ossequio alla separazione e all’equilibrio dei poteri. Ce n’è abbastanza per
dare ragione all’allarme inascoltato dei giuristi di Libertà e Giustizia
sulla “svolta autoritaria”.
All’insaputa
del popolo italiano, mai consultato sulla riscrittura della
Costituzione, e
fors’anche di molti parlamentari ignoranti o distratti, il combinato disposto
di leggi, decreti e prassi – di per sé all’apparenza innocue – rischia di
costruire un sistema illiberale e piduista fondato sullo strapotere del
più forte e sul depotenziamento degli organi di controllo e garanzia. Il
pericolo è una dittatura della maggioranza (“democratura”, direbbe Giovanni
Sartori) a disposizione del primo “uomo solo al comando” che se ne
impossessa, diventando intoccabile, incontrollabile, non contendibile, dunque
invincibile. Vediamo come e perché. Nella speranza di suscitare un dibattito
fra i lettori e nel Palazzo. Prima che sia troppo tardi.
1.
CAMERA La legge elettorale Italicum
made in Renzi, Boschi, Berlusconi e Verdini conferma le liste
bloccate (incostituzionali) del Porcellum, con la sola differenza
che saranno un po’ più corte. La sostanza è che i 630 deputati saranno ancora
nominati dai segretari dei partiti maggiori. Quelli medio-piccoli invece
resteranno fuori da Montecitorio grazie a soglie di sbarramento spropositate:
4,5% per quelli coalizzati, l’8% per quelli che corrono da soli e il 12% per le
coalizioni. Per ottenere subito il premio di maggioranza, il primo
partito (o coalizione) deve raccogliere almeno il 37% dei voti: nel qual
caso gli spetta il 55% dei seggi, pari a 340 deputati. Se invece nessuno arriva
al 37%, i primi due classificati si sfidano al ballottaggio e chi vince (con
almeno il 51%, è ovvio) incassa 327 deputati. Cioè: chi ha meno voti (37% o
più) ha più seggi e chi ha più voti (51% o più) ha meno seggi. Una follia. Ma
non basta: prendiamo una coalizione con un partitone al 20% e cinque partitini
al 4% ciascuno. Totale: 40%, con premio al primo turno. Siccome nessuno dei
partitini alleati supera il 4,5%, il partito del 20% incamera il 55% dei seggi.
E governa da solo, confiscando il potere legislativo, che di fatto
coincide con l’esecutivo a colpi di decreti e fiducie.
2.
SENATO Con la riforma costituzionale, il
“Senato delle Autonomie” sarà formato da 100 senatori non eletti: 95
saranno scelti dai consigli regionali (74 tra i consiglieri e 21 tra i sindaci)
e 5 dal Quirinale (più i senatori a vita). Sindaci e consiglieri scadranno
ciascuno insieme alle rispettive giunte comunali e regionali, trasformando Palazzo
Madama in un albergo a ore: andirivieni continuo e maggioranze affidate al
caso, anzi al caos. Di norma anche il Senato sarà appannaggio della
maggioranza di governo. E comunque non potrà più controllare l’esecutivo: i
senatori non voteranno più la fiducia né saranno chiamati ad approvare,
emendare, bocciare le leggi. Esprimeranno solo pareri non vincolanti, salvo per
le norme costituzionali. E seguiteranno a eleggere con i deputati il
capo dello Stato e i membri del Csm e della Consulta di nomina parlamentare.
3.
OPPOSIZIONE Nell’unico ramo del Parlamento
ancora dotato del potere legislativo, cioè la Camera, i dissensi interni ai
partiti di governo potranno essere spenti con il metodo Mineo e Mauro:
chi non garantisce il voto favorevole in commissione alle leggi volute
dall’esecutivo sarà essere espulso e sostituito da un soldatino del premier.
Quanto al dissenso esterno, i partiti di opposizione saranno in parte
decimati dalle soglie dell’Italicum. Per i superstiti, la riforma
costituzionale disarma le minoranze istituzionalizzando la “ghigliottina”
calata dalla presidente Laura Boldrini contro il M5S che tentava
di impedire la conversione in legge del decreto-regalo alle banche: corsia
preferenziale per i ddl e i dl del governo, che andranno subito all’ordine del
giorno per essere approvati entro due mesi, con sostanziale divieto di
ostruzionismo e strozzatura degli emendamenti.
4.
CAPO DELLO STATO Malgrado lo
snaturamento del Senato, che finora contribuiva per 1/3 all’Assemblea dei mille
grandi elettori (nel 2013 erano 319 senatori, 630 deputati e 58 delegati
regionali) e in futuro sarà relegato al 10%, nessuna modifica è prevista per
l’elezione del presidente della Repubblica. Quindi potrà sceglierselo il
premier (anche se ha preso soltanto il 20% dei voti) dopo il terzo scrutinio,
quando la maggioranza dei 2/3 scende al 51%. Forte del 55% dei deputati da lui
nominati, gli basteranno 33 senatori per raggiungere la maggioranza semplice
dell’Assemblea e mandare al Quirinale un suo fedelissimo. Il che
trasforma il ruolo di “garanzia” del Presidente in una funzione gregaria del
governo e della maggioranza: il capo del primo partito si sceglie il capo dello
Stato che poi lo nomina capo del governo e firma i suoi ministri e poi le sue
leggi e decreti. Inoltre, dopo il precedente “monarchico-presidenzialista” di Napolitano,
a colpi di invasioni di campo, il nuovo inquilino del Quirinale potrà arrogarsi
enormi poteri d’interferenza in tutti i campi, giustizia in primis.
5.
CORTE COSTITUZIONALE Se tutto
cambia nella selezione di deputati e senatori, nulla cambia nell’elezione dei giudici
costituzionali. Chi va al governo con l’Italicum (anche col 20% dei voti)
controllerà direttamente o indirettamente ben 10 dei 15 giudici costituzionali:
i 5 nominati dal Parlamento e i 5 scelti dal capo dello Stato (gli altri 5 li
designano le varie magistrature). Così, occupati i poteri esecutivo e
legislativo, il premier espugna anche il supremo organo di garanzia
costituzionale. E sarà molto difficile che la Consulta possa ancora bocciare le
leggi incostituzionali, o dare torto al potere politico nei conflitti di
attribuzione con gli altri poteri dello Stato.
6.
CSM E MAGISTRATI Anche la norma
del governo Renzi che anticipa la pensione dei magistrati dagli attuali 75 anni
a 70 può diventare una lesione dell’indipendenza della magistratura. Il
risultato infatti è la decapitazione degli uffici giudiziari, guidati perlopiù
da magistrati ultrasettantenni. E i nuovi capi di procure, tribunali e
Cassazione li nominerà il nuovo Csm, che sarà eletto nei prossimi giorni: per
2/3 (membri togati) dai magistrati e per 1/3 (membri laici). I laici, dopo
l’accordo Renzi-Berlusconi, saranno tutti (tranne forse uno indicato dai
5Stelle) di osservanza governativa. Tra questi verrà poi scelto il
vicepresidente, indicato dal premier, mentre il presidente sarà Napolitano e
poi il suo successore, anch’egli di stretta obbedienza renziana. Così i nuovi
vertici della magistratura li sceglierà il Csm più “governativo” degli ultimi
40 anni, previo “concerto” del ministro della Giustizia Orlando. Ad
aumentare l’influenza politica c’è poi il progetto ideato da Violante e
ventilato da Renzi di togliere al Csm i procedimenti disciplinari di secondo
grado per far giudicare i magistrati da un’Alta Corte nominata per 1/3 dal
Parlamento e per 1/3 dal Quirinale, cioè a maggioranza partitica.
7.
PROCURATORI E PM Per
normalizzare le procure della Repubblica non c’è neppure bisogno di una legge:
basta la lettera di Napolitano al vicepresidente del Csm Vietti che ha
modificato il voto del Csm sul caso Bruti Liberati-Robledo e ha imposto
una lettura molto restrittiva dell’ordinamento giudiziario Mastella-Castelli
del 2006-2007: il procuratore capo diventa il padre-padrone dell’azione penale
e dei singoli pm, che vengono espropriati della garanzia costituzionale di
autonomia e indipendenza “interna” (contro le interferenze e i soprusi dei
capi). Secondo il Quirinale, “a differenza del giudice, le garanzie di
indipendenza ‘interna’ del Pm riguardano l’Ufficio nel suo complesso e non il
singolo magistrato” (e chissà mai chi può insidiare l’indipendenza “interna” di
un’intera Procura). Così, nel silenzio del Csm e dell’Anm, il procuratore viene
autorizzato addirittura a violare le regole organizzative da lui stesso
stabilite, togliendo fascicoli scomodi gli aggiunti e ai sostituti, e
avocandoli a sé senza dare spiegazioni. Per assoggettare procure e tribunali,
basterà controllare un pugno di procuratori, senza più il bilanciamento del
“potere diffuso” dei singoli pm.
8.
IMMUNITÀ L’articolo 68, concepito dai padri
costituenti per tutelare i parlamentari di minoranza da eventuali iniziative
persecutorie di giudici troppo vicini al governo su reati politici, diventa
sempre più uno strumento del governo per mettere i propri uomini al riparo
dalla giustizia. L’immunità parlamentare, prevista in Costituzione per
le Camere elettive, viene estesa a un Senato non elettivo, composto da sindaci
e consiglieri regionali che per legge ne sono sprovvisti. Basterà che un
consiglio regionale li nomini senatori, e nel tragitto dalla loro città a Roma
verranno coperti dallo scudo impunitario, che impedirà a magistrati di
arrestarli, intercettarli e perquisirli senza l’ok di Palazzo Madama. Il
voto sulle autorizzazioni a procedere rimane sia alla Camera sia al Senato a
maggioranza semplice (51%). Il che consentirà alle forze di governo (anche col
20% di elettori, ma col 55% di deputati) di salvare i propri fedelissimi a
Montecitorio e di nascondere a Palazzo Madama i sindaci e i consiglieri
regionali delinquenti. E poi, volendo, di mandare in galera gli esponenti
dell’opposizione.
9.
INFORMAZIONE Le due
leggi che l’hanno assoggettata al potere politico nel Ventennio B. – la Gasparri
sulle tv e la Frattini sul conflitto d’interessi – restano più che mai
in vigore. E nessuno, neppure a parole, si propone di cancellarle. Così la
televisione rimane quasi tutta proprietà dei partiti. Il governo domina la Rai
(rapinata di 150 milioni, indebolita dall’evasione del canone, fiaccata dai
pessimi rapporti fra Renzi e il dg Gubitosi, e in preda alla consueta corsa sul
carro del vincitore). E Berlusconi controlla controlla Mediaset
(anch’essa talmente in crisi da riservare al governo Renzi trattamenti di
superfavore). Intanto i giornali restano in mano a editori impuri:
imprenditori, finanzieri, banchieri, palazzinari (per non parlare di veri o
finti partiti, con milioni di fondi pubblici), perlopiù titolari di aziende
assistite e/o in crisi e dunque ricattabili dal governo, anche per la continua
necessità di sostegni pubblici per stati di crisi e prepensionamenti.
Governativi per vocazione o per conformismo o per necessità.
10.
CITTADINI Espropriati del diritto di
scegliersi i parlamentari, scippati della sovranità nazionale (delegata
a misteriose e imperscrutabili autorità europee), i cittadini non ancora
rassegnati a godersi lo spettacolo di una destra e di una sinistra sempre più
simili e complici, che fingono di combattersi solo in campagna elettorale,
possono rifugiarsi in movimenti anti-sistema ancora troppo acerbi per proporsi
come alternativa di governo (come il M5S); o inabissarsi nel non-voto (che
sfiora ormai il 50%). In teoria, la Costituzione prevede alcuni strumenti di democrazia
diretta. Come i referendum abrogativi: che però, prevedibilmente, saranno
sempre più spesso bocciati dalla Consulta normalizzata. E le leggi d’iniziativa
popolare (peraltro quasi mai discusse dal Parlamento): ma i padri ricostituenti
hanno pensato anche a queste, quintuplicando la soglia delle firme necessarie,
da 50 a 250 mila. Casomai qualcuno s’illudesse ancora di vivere in una
democrazia.
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