da: La Stampa
Il
monitificio
Saranno piovute
anche a casa vostra le immagini arabescate dei tg sull’inaugurazione dell’anno
giudiziario della Corte dei Conti, la magistratura che ha il compito di fare le
bucce ai bilanci dello Stato. Un rito che il potere mette in scena ogni primo
martedì di febbraio. In un’aula stipata di giudici spagnolescamente agghindati,
alla presenza delle Gentili Autorità e di carabinieri muniti di pennacchio, un
giudice più agghindato degli altri, il Presidente, pronuncia discorsi solenni
in una lingua arcaica e sovrabbondante, la cui sintesi è: facciamo schifo. La
corruzione ha raggiunto livelli sistemici (gli incorruttibili vengono ormai
additati nei corridoi dei ministeri come anime bizzarre), le imprese sono
strangolate da mazzette e mancati pagamenti, il lavoro è soffocato da tasse e
austerità, le famiglie boccheggiano.
Un ritratto della
nazione che, liberato dalle sue bardature linguistiche, potrebbe essere stato
scritto da un rivoluzionario con dolori alla cistifellea o più banalmente da
chiunque di noi, ma che contrasta col contesto parrucchiforme in cui viene
declamato. Ogni anno, al termine del discorso, mi aspetto sempre che il
Presidente ordini ai carabinieri col pennacchio di arrestare parecchie delle
persone sedute nelle prime file, sicure corresponsabili del disastro. Invece il
fustigatore si limita ad auspicare una presa di coscienza che il quadro appena
delineato rende necessaria e addirittura impellente, eccetera. A quel punto gli
accusati applaudono l’accusatore e poi tutti vanno a pranzo perché si è fatta
una cert’ora. Anche ieri. Se stanotte mi verrà un incubo, sarà a forma di
monito.
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