da:
L’Espresso
Bavaglio al Web: ci riprovano
Ogni nuovo governo, puntuale, tenta di
mettere le mani su Internet. Adesso è il turno del potente viceministro
Catricalà, secondo il quale la Rete dev'essere 'regolamentata'. E l'Agcom è
pronta a prendere provvedimenti
di Alessandro Longo
Sarà
stato forse per ignoranza di come funziona internet. Oppure per aprire la porta
a norme che la appiattiscano su una dimensione "televisiva", cara a
lobby industriali e a potenti di ogni colore politico. Così alcuni osservatori
interpretano le recenti dichiarazioni del neo viceministro allo Sviluppo
economico Antonio Catricalà: "La tv italiana deve rispettare una
serie cospicua di regole. Ci sono quote da rispettare, obblighi da contratto di
servizio, norme sui minori. Su Internet, invece, si può fare quel che si vuole.
Questo non è corretto". E "tutti devono rispettare le stesse
regole", ha detto.
Parole che fanno discutere perché vengono da una delle principali personalità chiamate a decidere di questi temi: è lui, infatti, ad avere la delega alle Comunicazioni nel governo Letta. Eppure sono parole che non sorprendono. Catricalà, ora 61enne, nel 2010 quando era ancora a capo dell'Antitrust aveva già manifestato insofferenza per la libertà non strutturata tipica di internet,
accusandola addirittura di ostacolare lo sviluppo delle reti in fibra ottica.
Come se non ci fossero ben altri problemi a rallentare gli investimenti degli
operatori, a partire dal debito monstre di Telecom Italia e dalla situazione anomala
dell'Italia, unico Paese in Europa a non avere una rete in cavo coassiale
alternativa a quella di rame.
All'epoca sono state parole senza esito alcuno. Ma adesso è diverso: Catricalà,
con la sua nuova posizione, si occuperà di reti e internet direttamente e
quindi la sua visione è destinata ad avere un impatto sul modo in cui l'Italia
vive i nuovi media.
«Sono parole gravi, non si può dire che le regole tivù si devono applicare
anche alla nuova rete», dice Vincenzo Vita, ex senatore PD attento alle
questioni del digitale. «Credo abbia detto così per un retaggio culturale.
Davvero crede che la rete sia un organismo senza controllo, secondo una cultura
giuridica classica. Ma potrebbe essere anche un modo per sostenere l'arrivo di
nuove norme draconiane sulla rete, a partire da quelle di Agcom sul copyright»,
continua Vita.
«Le parole di Catricalà sono assai preoccupanti, in quanto non nuove nel
dibattito pubblico italiano. Francamente, era lecito aspettarsi che certe
dichiarazioni fossero ormai superate», concorda Ernesto Belisario, noto
avvocato esperto di diritto di internet e dell'associazione Agorà Digitale. «La
volontà di imporre ad internet regole riprese da altri mezzi di comunicazione è
frutto di ignoranza dello strumento tecnico o di una volontà normativa
pervasiva (ormai ben nota), ma assolutamente fuori luogo e pericolosa»,
continua.
Antonio CatricalàIl nuovo presidente Agcom, Angelo Cardani, l'ha promesso:
entro luglio faremo una delibera per rivedere le regole sulla protezione del
diritto d'autore online. Lo chiede a gran voce l'industria e stavolta è ben
compatto il fronte, grazie a un'inedita alleanza tra Confindustria Cultura e
Confindustria Digitale. Dopo le prime sommesse proteste, Cardani ha
acconsentito a non fare una delibera immediatamente esecutiva a luglio ma di
mettere la delibera in consultazione pubblica. Al momento circolano solo bozze
di delibera, redatte dagli uffici dell'Agcom e su cui il Consiglio deve ancora
discutere. I dettagli sono quindi ancora indeterminati, ma l'idea è che si
vogliono dare ad Agcom nuovi e più forti poteri per consentire all'industria
del copyright di bloccare le fonti di pirateria su internet, in modo più facile
e diretto rispetto a quanto è possibile ora tramite la magistratura. Val la
pena ricordare che siamo arrivati a questo punto grazie al decreto Romani
sull'audiovisivo, durante il governo Berlusconi, che ha dato ad Agcom la
missione di riformare il copyright senza bisogno di passare dal Parlamento.
«Ci aveva già provato il precedente Consiglio Agcom, presieduto da Corrado
Calabrò, ma allora tutti i sostenitori dei diritti degli utenti e delle libertà
di internet hanno fatto rumore e hanno impedito la delibera», ricorda Vita. «Mi
preoccupa invece che adesso tutto taccia. Segno dei tempi. Come anche non ci
sono proteste per la proposta di legge per introdurre l'obbligo di
rettifica nei blog». «Questa sì che sarebbe, in effetti, una regola
"televisiva", che minerebbe lo sviluppo della libertà di espressione.
L'obbligo di rettifica valga per le testate giornalistiche online soltanto.
Così anche altre regole, evocate da Catricalà, come quella sulle quote
pubblicitarie: valgono sulla tivù, ma non sono applicabili a internet, che vive
di altre logiche e non ha certo lo stesso problema di affollamento
pubblicitario». E per quanto riguarda il copyright, «bisogna sì punire gli
illeciti, ma all'interno di una riforma più ampia che riveda le norme per
adeguarle all'epoca di internet. E solo il Parlamento può farlo, visto che
questi temi toccano pericolosamente le questioni della libertà di espressione».
Non si tratta solo di punire i pirati. Ma anche di svecchiare le norme. Persino
la precedente Agcom, in una bozza di delibera sul copyright, proponeva non solo
di facilitare l'enforcement ma anche di rendere più flessibile il copyright per
adeguarlo a internet. Per esempio prevedendo forme di condivisione lecita senza
scopo di lucro di materiali protetti da diritto d'autore. Si pensi per esempio
ai libri ormai esauriti da anni nelle librerie. O al diritto - ora debole - di
riprendere brevi o lunghi spezzoni di programmi tv a scopo di commento.
«Il Web non è la televisione ed è necessario che le istituzioni ne prendano
consapevolezza per resistere alle richieste dei broadcaster», dice Belisario.
«Soggetti che oggi sono obbligati ad adeguarsi a tante normative (dalla
"par condicio" alla tutela dei minori fino ad arrivare ai tetti
pubblicitari) guardano ad Internet come un concorrente sleale. Ma così non è:
eventuali norme che dovessero regolamentare odiosamente il Web (oltre ad essere
anacronistiche e di difficile applicazione pratica) avrebbero l'effetto di
penalizzare ulteriormente tutti gli utenti italiani e l'intero sistema Paese»,
spiega Belisario. «Mentre per la Tv abbiamo consumatori passivi per Internet
ognuno è responsabile di ciò che accade sul proprio terminale». La differenza è
tutta qui, ma chi si succede al Governo- da Romani a Catricalà c'è un solo filo
rosso- non lo comprende o preferisce ignorarlo.
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