Complimenti al Fatto. Ottima iniziativa. In culo ai giornalisti servi..
da: Il Fatto Quotidiano
Dalla
settimana prossima il Fatto pubblicherà ogni giovedì alcune fra le migliori
interviste televisive di Enzo Biagi. La cosa non è affatto piaciuta a Pigi Battista
e al Giornale di Sallusti, affetti
da sindrome di Salieri.
Il primo ha scaricato la sua bile contro il
curatore dell’iniziativa, Loris Mazzetti, che ha collaborato per anni come
regista e capostruttura ai programmi di Biagi Il Fatto (Rai1) e Rt (Rai3) e ha
firmato con lui i suoi ultimi libri. “Ma perché – twitta Battista – le figlie
di Biagi consentono a uno sfaccendato come Loris Mazzetti di sfruttare così il
lavoro di loro (sic, ndr) padre?”.
Il Giornale dedica un’intera pagina al
“vizio di fare il portavoce dei morti sicuri di non essere smentiti: da
Travaglio a Mazzetti, da Ingroia alla Bindi, ecco chi fa carriera grazie ai
defunti eccellenti”. Scrive Maurizio Caverzan: “i portavoce dei morti non
abbisognano di nomine e documentazione. Basta un pizzico
di millanteria, una
certa voglia di carriera e si autocertificano secondo la propria indole”.
Mazzetti “ventriloquo post mortem di Biagi”, Travaglio “esegeta abusivo di
Montanelli”, Ingroia “presuntissimo continuatore di Falcone e Borsellino”. Poi
“le vedove inconsolabili di qualche maître à penser scomparso da decenni, da
Pasolini a Antonioni, da Bobbio a Galante Garrone al Bachelet
ripetutamente citato e rimpianto da Rosy Bindi”.
Ecco, il Caverzan non riesce proprio a concepire che chi ha avuto la
fortuna di frequentare quei grandi personaggi ne conservi e trasmetta la memoria. O forse li preferirebbe
imbalsamati con teca e piedistallo, come si fa con Garibaldi e gli altri padri
della patria, buoni per tutte le stagioni. E il Battista trova inaccettabile che qualcuno, diversamente da lui, rimpianga Biagi e prenda a modello il suo giornalismo
libero anziché quello servile. Ciò che disturba non sono le appropriazioni
indebite, ma quelle debite: Gherardo Colombo direbbe “il vizio della
memoria”.
Se non fossero esistiti
uomini liberi, ancorché diversissimi fra loro come Pasolini, Montanelli, Biagi,
Galante Garrone, Bachelet, Falcone e Borsellino, oggi sarebbe ancor più facile
essere servi. Chi ricorda certi morti impedisce a certi vivi di farne dei
santini bipartisan, di larghe intese. Com’è accaduto al povero De Gasperi, la
cui fondazione è passata dalle mani di tal Franco Frattini (autore di una legge
sul conflitto d’interessi che avrebbe fatto arrossire un cattolico liberale
come l’Alcide) alle grinfie di tal Angelino Alfano: il quale tre anni fa dedicò
la sua controriforma della giustizia a Falcone, che l’avrebbe usata per scopi
igienici. Ma per queste tragicomiche appropriazioni indebite nessuno s’indigna.
Dà noia che chi ha conosciuto queipersonaggi li ricordi per quello che erano,
pensavano, dicevano e scrivevano: “divisivi”, come si dice oggi nell’orrendo
idioma inciucese. Bachelet era un costituzionalista che avrebbe detto e scritto
cose terribili sulla deriva presidenzialista di oggi, e la Bindi, sua
assistente universitaria che se lo vide ammazzare sotto gli occhi, ha continuato
a difendere la Costituzione anche nel suo nome. Lo stesso vale per Falcone e
Borsellino che Ingroia, avendo lavorato con entrambi, non si stanca di
ricordare per quelli che erano contro ogni abuso postumo. Idem per Montanelli e
Biagi, accomunati dal raro privilegio di essere stati cacciati da B.: l’uno dal
giornale che aveva fondato 20 anni prima, l’altro dalla Rai che aveva servito
per 41 anni. Ricordare gli editti del 1994 e del 2002 significa mettere in
imbarazzo chi prese il posto di Enzo e Indro senza batter ciglio. Da un lato
una serie di comparse, fra cui il Battista (i cui epici ascolti ricordiamo a
imperitura memoria a pag. 7 ); dall’altro un trenino
di berlusconiani che ha in Sallusti l’ultimo vagone. Povero Caverzan, non ha
mai avuto la fortuna di lavorare con Montanelli e Biagi, però un giorno potrà
raccontare ai suoi nipoti: “Pensate, ragazzi, ho lavorato con zio Tibia”. E non
sarà un bel momento.
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