lunedì 1 luglio 2013

Salvatore Settis: “Nessuno tocchi la Costituzione”



da: L’Espresso – 21.06.13

Nel 2006 ben 16 milioni di italiani bocciarono una riforma costituzionale che ora si vuole rilanciare. Il vero problema è la mancata attuazione di diritti cruciali come quello al lavoro. Altro che le modifiche…
La Costituzione é sotto attacco su tutti i fronti. E nessun tema è “di nicchia”, perché la Costituzione non è una litania di articoli isolati, ma una sapiente architettura di principi. In essa, anche il diritto alla cultura (istruzione, ricerca, tutela) è strumento di eguaglianza, giustizia sociale, libertà, democrazia. Ma le modifiche costituzionali di cui si parla in clima di larghe intese non sono indirizzate a questi grandi traguardi. Tendono, invece, a consolidare l’impasse della politica, il “pilota automatico” che assoggetta i governi al potere finanziario, fuori da ogni controllo democratico.
Si inventano conventicole arbitrarie e si osa chiamarle “Costituente”: ma un Parlamento eletto con il Porcellum non è legittimato a esprimere nessuna Costituente. E perché Berlusconi non “stacca la spina”al governo Letta, se non perché punta a una riforma simile a quella bocciata dal referendum del 2006? Con il governo Monti, la modifica dell’art. 81 (pareggio di bilancio) fu approvata, senza referendum, dalla stessa maggioranza che appoggia ora il governo: è già pronta a varare una Costituzione presidenzialista ad personam?

L’unica vera Costituente, quella eletta dal popolo nel 1946 con l’espresso mandato di scrivere la Costituzione, fu l’esito di un’incubazione che cominciò sotto l’oppressione fascista, prese un ritmo febbrile con la guerra e la Resistenza e coinvolse importanti figure esterne. Grande fu l’attenzione per la pubblica opinione: nei governi Parri e De Gasperi il ministero per la Costituente, affidato a Nenni, promosse via radio e stampa un’intensa campagna di alfabetizzazione costituzionale.
In questo spazio pubblico del discorso, la Costituzione fu il progetto di un’Italia migliore: perché «ogni legislatore dev’esser guidato, sorretto, confortato dalla coscienza del suo popolo» (Jemolo), anzi deve cogliervi quella «vita nascosta di attese e speranze che pullula al di sotto degli affanni della vita quotidiana (…): un lampeggiare di rilievi, un affiorare spontaneo di idee e di scorci, che colpisce, e non può non rallegrare» (Nenni). Quanto sono lontane queste parole dalle manovre sotterranee di ingegneria costituzionale a cui ci tocca assistere!
Quello italiano é un “costituzionalismo debole”: lo Statuto Albertino del 1848, in vigore per cento anni, fu debole fin dall’inizio perché concesso dal re e poi avvilito dal fascismo. La Costituzione della Repubblica ha ben altra legittimazione, perché nata dalla Resistenza; ma il suo slancio ideale è mortificato dalla mancata attuazione di diritti cruciali (come il diritto al lavoro).
A questo “costituzionalismo debole” è tempo di contrapporre una Costituzione forte: lo richiede la crisi della democrazia rappresentativa, particolarmente grave per l’iniqua legge elettorale e per la ripetuta legittimazione di un leader (Berlusconi) che non dovrebbe esser tale per i conflitti di interesse. Chi governa dimentica il referendum del 2006, quando 16 milioni di italiani (il 62 per cento dei voti) bocciarono una riforma costituzionale che ora si rilancia.
Si ignora il responso delle urne, la crescita dell’astensionismo, il montare dell’indignazione, il rifugio nella protesta, il disagio sociale, la crescita della povertà. Si insegue insomma l’impossibile modello di una democrazia senza popolo. All’insegna di uno “sviluppo” che non crea ricchezza, ma la sposta e la concentra nelle mani di pochi, smontando lo Stato, svendendo i beni pubblici, socializzando le perdite e polarizzando i profitti.
Perciò non si può accettare nessuna “pacificazione”, nessuna forzata amnesia: perché la democrazia si nutre di conflitti, non di oblio. I partiti, è vero, non sono più un luogo di riflessione e di progettazione, ma un macchinario del consenso, fondato sulla perpetuazione delle caste al potere. Dei partiti c’è bisogno: è tempo di espugnarli con le ragioni della Costituzione, manifesto vivente dei nostri diritti, esigendone la piena attuazione.
Dopo la rivolta operaia del 17 giugno 1953 Brecht scrisse: «Il popolo, si disse, ha perso la fiducia del governo / e deve riconquistarla raddoppiando il lavoro. / Non sarebbe più semplice, allora, / che il governo sciolga il popolo?». Perché nulla di simile accada in Italia la nostra arma è la Costituzione. Questa, e non un’altra.

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