da: Huffington Post
di Domenico
Marocchi
A Palermo c'è un bambino di appena due anni
che per diverse ore è rimasto accanto al corpo esanime della madre.
Un corpo martoriato dalle coltellate, una vita calpestata, ancora una volta, da
un uomo che non ha saputo accettare la fine di una relazione.
Eppure Rosy Bonanno, 26 anni, aveva già
denunciato per ben sei volte per stalking l'ex convivente Benedetto Conti.
Avevano avuto un figlio insieme, ma dopo
numerosi litigi, la donna aveva deciso di andarsene di casa e tornare a vivere
con i genitori assieme al bambino. La fine della convivenza ha però aperto la
porta della follia e dell'ossessione.
Conti, 36 anni, ha iniziato a molestare
Rosy. Doveva vedere il figlio due volte a settimana e invece, ogni giorno, si
presentava a casa della donna, ed è lì che partivano le violenze, le minacce,
le intimidazioni.
Rosy e i suoi genitori però hanno provato a reagire, chiedendo aiuto alle istituzioni, denunciando per ben sei volte l'uomo, ricevendo i consigli e il sostegno di forze dell'ordine ed assistenti sociali che però non sono riusciti a scongiurare quello che, a detta dei parenti, era un "delitto annunciato".
Rosy e i suoi genitori però hanno provato a reagire, chiedendo aiuto alle istituzioni, denunciando per ben sei volte l'uomo, ricevendo i consigli e il sostegno di forze dell'ordine ed assistenti sociali che però non sono riusciti a scongiurare quello che, a detta dei parenti, era un "delitto annunciato".
"Si sapeva che finiva così" urla
oggi, disperata, Teresa, la madre della giovane. "Gli assistenti
sociali le avevano consigliato di cambiare casa, di nascondersi - continua
la donna- ma non era lei che doveva scappare, era lui che dovevano
fermare".
Parole semplici e allo stesso tempo
taglienti. Perché se la fuga è l'unica soluzione la battaglia allo stalikng è
persa in partenza. Sei denunce sono troppe, Benedetto Conti doveva essere seguito,
osservato e fermato. Quando ieri è entrato nell'abitazione di via Orecchiuta,
dopo l'ennesimo litigio, la sua furia è esplosa: ha ucciso Rosy sotto gli occhi
del figlioletto e poi è fuggito, fino a quando non è stato bloccato dagli
uomini della squadra mobile nella sua abitazione.
Quando si parla di femminicidio l'appello
che si fa alle donne è quello di uscire dal tunnel dell'omertà, di denunciare
al primo schiaffo, alla prima violenza, ai primi segnali di squilibrio. Tutto
ciò Rosy l'aveva capito, aveva provato a reagire e difendersi, ma di fatto è
rimasta sola davanti al suo aguzzino.
È alla luce di questo caso che ci si chiede
quanto potrà effettivamente fare la Commissione bicamerale per contrastare il
femminicidio presentata in un disegno di legge bipartisan qualche giorno fa.
Nel documento si legge che la Commissione dovrà monitorare le politiche,
raccogliere dati, effettuare studi relativi alla violenza e realizzare un
rapporto annuale. Tutti lodevoli propositi non c'è che dire, ma nel frattempo
bisogna agire a livello locale, tenendo alta la guardia e non spegnendo quei
piccoli fari, rimasti ormai senza fondi, che sono i centri antiviolenza.
Il personale che opera nei centri è l'unico
mediatore efficace fra donne e istituzioni. Una serie di professionisti che
possono fornire assistenza e segnalare i casi più preoccupanti, affinché uomini
come Conti non continuino a presentarsi alla porta delle loro vittime
nonostante una serie infinita di denunce.
Se fosse fuggita e si fosse nascosta forse
oggi Rosy sarebbe ancora viva. Eppure ha deciso di denunciare e di battersi per
una vita libera da minacce. È in virtù di questo coraggio che bisogna prestare
un'attenzione sempre maggiore ai casi di violenza, affinché l'ennesima morte
non risulti vana, affinché le denunce non si riducano a semplice carta
straccia.
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