giovedì 11 luglio 2013

Rosy, che aveva denunciato sei volte il suo assassino

da: Huffington Post
di Domenico Marocchi

A Palermo c'è un bambino di appena due anni che per diverse ore è rimasto accanto al corpo esanime della madre. Un corpo martoriato dalle coltellate, una vita calpestata, ancora una volta, da un uomo che non ha saputo accettare la fine di una relazione. 
Eppure Rosy Bonanno, 26 anni, aveva già denunciato per ben sei volte per stalking l'ex convivente Benedetto Conti.
Avevano avuto un figlio insieme, ma dopo numerosi litigi, la donna aveva deciso di andarsene di casa e tornare a vivere con i genitori assieme al bambino. La fine della convivenza ha però aperto la porta della follia e dell'ossessione.
Conti, 36 anni, ha iniziato a molestare Rosy. Doveva vedere il figlio due volte a settimana e invece, ogni giorno, si presentava a casa della donna, ed è lì che partivano le violenze, le minacce, le intimidazioni.
Rosy e i suoi genitori però hanno provato a reagire, chiedendo aiuto alle istituzioni, denunciando per ben sei volte l'uomo, ricevendo i consigli e il sostegno di forze dell'ordine ed assistenti sociali che però non sono riusciti a scongiurare quello che, a detta dei parenti, era un "delitto annunciato".

"Si sapeva che finiva così" urla oggi, disperata, Teresa, la madre della giovane. "Gli assistenti sociali le avevano consigliato di cambiare casa, di nascondersi - continua la donna- ma non era lei che doveva scappare, era lui che dovevano fermare".
Parole semplici e allo stesso tempo taglienti. Perché se la fuga è l'unica soluzione la battaglia allo stalikng è persa in partenza. Sei denunce sono troppe, Benedetto Conti doveva essere seguito, osservato e fermato. Quando ieri è entrato nell'abitazione di via Orecchiuta, dopo l'ennesimo litigio, la sua furia è esplosa: ha ucciso Rosy sotto gli occhi del figlioletto e poi è fuggito, fino a quando non è stato bloccato dagli uomini della squadra mobile nella sua abitazione.
Quando si parla di femminicidio l'appello che si fa alle donne è quello di uscire dal tunnel dell'omertà, di denunciare al primo schiaffo, alla prima violenza, ai primi segnali di squilibrio. Tutto ciò Rosy l'aveva capito, aveva provato a reagire e difendersi, ma di fatto è rimasta sola davanti al suo aguzzino.
È alla luce di questo caso che ci si chiede quanto potrà effettivamente fare la Commissione bicamerale per contrastare il femminicidio presentata in un disegno di legge bipartisan qualche giorno fa. Nel documento si legge che la Commissione dovrà monitorare le politiche, raccogliere dati, effettuare studi relativi alla violenza e realizzare un rapporto annuale. Tutti lodevoli propositi non c'è che dire, ma nel frattempo bisogna agire a livello locale, tenendo alta la guardia e non spegnendo quei piccoli fari, rimasti ormai senza fondi, che sono i centri antiviolenza.
Il personale che opera nei centri è l'unico mediatore efficace fra donne e istituzioni. Una serie di professionisti che possono fornire assistenza e segnalare i casi più preoccupanti, affinché uomini come Conti non continuino a presentarsi alla porta delle loro vittime nonostante una serie infinita di denunce.
Se fosse fuggita e si fosse nascosta forse oggi Rosy sarebbe ancora viva. Eppure ha deciso di denunciare e di battersi per una vita libera da minacce. È in virtù di questo coraggio che bisogna prestare un'attenzione sempre maggiore ai casi di violenza, affinché l'ennesima morte non risulti vana, affinché le denunce non si riducano a semplice carta straccia.

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