Ci sono due aspetti
diversi, entrambi fondamentali. Il primo aspetto riguarda la lotta
all’evasione.
Grande fratello,
privacy. Non c’è privacy, non c’è “grande fratello” che tenga quando
l’obiettivo è ridurre l’evasione. Non è pensabile che questo paese continui ad
essere una democrazia (?!) fondata sull’evasione fiscale.
L’altro aspetto,
essenziale, è che non si possono ignorare i timori delle persone. In un paese
dove i delegati – politici e/o gestori di enti e istituzioni – sono, nella
migliore delle ipotesi, dilettanti allo sbaraglio, il rischio è quello di
consegnare dati che non siano usati in modo appropriato per raggiungere
l’obiettivo.
Così come, per andare
in altro campo, il punto non è eliminare le intercettazioni telefoniche se
violano la privacy ma gestirne la diffusione, in merito alla nuova anagrafe
fiscale, il punto della questione non è escludere la trasmissione dei movimenti
di conto corrente al Fisco, bensì, definirne il corretto e adeguato criterio
dell’uso.
Criteri trasparenti e
logici nell’aggregazione per consentire rilevazioni pertinenti. E, in caso di
rilevazioni “sospette” (cioè che facciano ipotizzare elusioni e evasioni) i
riscontri devono essere discussi con la contraparte, cioè il cittadino.
Tutto ciò ha un costo,
in termini di tempo e denaro, ma questa roba si chiama: civiltà, rispetto dei
diritti e dei doveri. Di entrambe le controparti: cittadino e fisco.
da: Il Sole 24 Ore
I rischi della nuova anagrafe
Il Fisco a tentoni tra i conti correnti
di Enrico De Mita e Salvatore Padula
Il Fisco italiano
dispone di una quantità di dati sulla situazione finanziaria dei contribuenti
di gran lunga superiore agli altri maggiori Paesi. Questo gap diventerà ancora
più ampio quando, tra qualche mese, andrà a regime
il Sid (Sistema di
Interscambio Dati), vale a dire la nuova infrastruttura informatica attraverso
la quale l'agenzia delle Entrate acquisirà nuove informazioni finanziarie su
tutti i contribuenti. Dalla Francia alla Germania, le amministrazioni fiscali
degli altri maggiori Paesi possono attualmente contare sui dati anagrafici dei
titolari di rapporti finanziari e, in genere, solo in relazione ad alcune
tipologie di contratto (in molti casi, esclusivamente i conti correnti). All'estero, quindi, nessun dato - né sulle consistenze dei
rapporti in essere né sul volume complessivo dei movimenti annuali - viene
raccolto dalle autorità fiscali. Le amministrazioni,
naturalmente, possono accedere a queste informazioni, ma solo seguendo procedure abbastanza rigide (come
peraltro è previsto anche dalla normativa italiana sulle indagini finanziarie);
procedure che si basano, in genere, sulla richiesta preventiva di
un'autorizzazione a organi superiori o alla magistratura. In questo quadro,
fanno eccezione gli Stati Uniti, dove da un lato non esiste
una vera anagrafe dei conti bancari ma, dall'altro lato, i funzionari dell'Irs
- l'equivalente della nostra agenzia delle Entrate - hanno maggiore libertà nel
chiedere direttamente a banche e operatori finanziari i dati sui contribuenti.
In Italia la situazione è più articolata. Da tempo esiste l'Anagrafe dei rapporti finanziari, alla
quale banche, poste e altri operatori
trasmettono periodicamente tutte le informazioni su apertura, variazione e
chiusura di qualsiasi rapporto (inclusi i dati sulle operazioni "fuori
conto"). Con il decreto «Salva
Italia» (n. 201 del 2011), la raccolta di dati è diventata - anzi,
diventerà - ancor più massiccia. Banche e intermediari devono infatti
trasmettere al Fisco (il primo invio, relativo all'anno 2011, è in corso in
queste settimane e si chiuderà il 31 ottobre), non solo i dati identificativi del rapporto, ma anche i saldi a inizio
e fine anno, oltre alle movimentazioni totali annuali, distinte tra dare e
avere. Che utilizzo farà il Fisco di questi dati? Al momento, sappiamo,
come prevede la legge, che queste informazioni verranno utilizzate
dall'amministrazione per "selezionare"
i contribuenti a rischio-evasione. In che modo? Anche qui, le norme
stabiliscono che dovranno essere create liste selettive dei contribuenti a maggior
rischio di evasione. E che criteri e
modalità saranno fissati da un futuro
provvedimento del direttore dell'agenzia delle Entrate. Il che suscita più
di una perplessità. Proprio il direttore Attilio
Befera, alcuni giorni fa, ha parlato di queste misure in termini di «misure
straordinarie», dovute al fatto che «un'evasione pari al 21% del Pil, contro il
13-14 della media europea, è un'emergenza e in questa guerra qualcosa va
fatto».
Befera ha auspicato
che «si possa tornare presto a una normalità di gestione nel rapporto fra
contribuenti e fisco», affermazione che lascia presagire un possibile
ripensamento delle regole introdotte. Le dichiarazioni di Befera vengono fatte
in un quadro politico e istituzionale che non era quello da noi auspicato prima
delle ultime elezioni. Siamo tornati a una situazione dove il Governo, preso da Imu e Iva, non assume nessuna iniziativa in tema di
evasione e di funzionalità del sistema e dove il Parlamento procede per conto
suo. Sicché tutto resta affidato, esattamente come per il redditometro, alla responsabilità dell'agenzia delle Entrate che
viene a tranquillizzare i contribuenti con dichiarazioni di dubbio significato
tecnico e politico. In ogni caso, le frasi di Befera sembrerebbero voler dire
che le misure vengono ritenute sufficienti per combattere l'evasione e che
quindi si spera con esse di realizzare risultati concreti misurabili. Così
saranno proprio i risultati predeterminati a orientare le procedure, che allo
stato rimangano però incerte. Con quale valutazione si può presumere che il monitoraggio dei dati finanziari sia la
spia dell'evasione? È evidente come questo sia un aspetto cruciale per dare la
necessaria trasparenza all'utilizzo di queste informazioni. E il provvedimento
dell'agenzia che fisserà i criteri, dovrà anche soffermarsi sulle possibili
interazioni tra questo strumento e altri, in via di definizione (per esempio,
il nuovo redditometro). Le questioni aperte, comunque, sono moltissime: cosa accadrà a chi finirà nelle liste
di "sospetta" evasione? Ne sarà informato? Riceverà un questionario?
Verrà convocato dal l'agenzia per un contraddittorio? Quali giustificazioni
dovrà fornire? L'inclusione nelle liste sarà solo l'innesco di un controllo su
ulteriori elementi? Il rischio è che
gli strumenti "finali"
utilizzati dall'amministrazione finiscano
per essere ancora l'accertamento induttivo e il concordato o l'accertamento
esecutivo. Il punto è che la lotta
all'evasione si fa con un sistema che funzioni, non con la somma di un sistema
che non funziona, più uno strumento straordinario che tanti interrogativi
sta suscitando. L'incertezza è confermata dalle dichiarazioni, a titolo
personale, del presidente della commissione Finanze della Camera, Daniele Capezzone, che ritiene
illiberali queste misure e definisce "grande fratello" il
potenziamento della possibilità di entrata del Fisco nei conti correnti degli
italiani. Le «rassicurazioni esteriori e formali» non escludono un'atmosfera di
panico, di paura di "mostri burocratici", di dubbia trasparenza. Il
Governo dovrebbe spiegare la valutazione che si dà del sistema dei conti
correnti come quadro d'informazione sull'andamento del sistema fiscale. Il
risparmio è una sede troppo delicata perché possa essere letta in modo diverso
da quello proprio degli altri Paesi europei. Che cosa ci farà tornare alla
normalità? È proprio questa distinzione fra emergenza e normalità che non regge
per chi è alla guida della politica fiscale. Il Governo non può affidarsi a una
legislazione corriva frutto dell'emergenza e alla responsabilità della
burocrazia che si assume il compito di valutare natura e temi dello strumento
straordinario, strumento che si trova a operare senza la fiducia del Parlamento
e con la paura della gente in buona fede.
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