da: Il Fatto Quotidiano
Se tutto va male, a fine luglio la
maggioranza indecente che sgoverna l’Italia imporrà a tappe forzate la modifica
dei regolamenti parlamentari per aggirare l’articolo 138 della Costituzione e
appaltare in esclusiva a un ristretto club di 20 deputati e 20 senatori del Pd,
del Pdl e di Scelta civica (nessuno di M5S e Sel, cioè dell’opposizione) la
riforma della Costituzione che poi il Parlamento non potrà neppure emendare, ma
solo approvare o respingere – dunque approvare – alla svelta, senza neppure
rispettare gli intervalli temporali previsti dalla Carta. È un golpe
legalizzato che i cittadini potranno respingere solo votando No al referendum
confermativo, ma occorrerà una grande mobilitazione perché tutti i partiti
faranno campagna per il Sì, a parte Grillo e Vendola.
Se Pd, Pdl e Scelta civica, alle elezioni
di febbraio, avessero avuto i voti per cambiare la Costituzione, se ne potrebbe
anche discutere. Invece nessuno di loro ne parlò, dunque nessun elettore li ha
votati per quello. L’unica riforma istituzionale che riempiva le bocche dei
leader era quella elettorale. Tutti giuravano “mai più Porcellum” e questa fu
anche la prima scusa con cui la Trimurti giustificò l’inciucio del governo
Letta: fare in fretta le cose più urgenti, legge elettorale ed economia, e
tornare alle urne. Invece, quanto alla prima,
siccome B. non la vuole, l’hanno
prontamente accantonata. Quanto all’economia, le uniche decisioni assunte dal
governo più rissoso e inconcludente della storia, sono i rinvii. Rinviata
l’Imu, rinviato l’aumento dell’Iva, rinviati gli F-35.
La stampa di regime, impermeabile anche al
senso del ridicolo, titola ogni giorno su mirabolanti “accordi” per “rinviare”
questo o quello. Ma un accordo per rinviare è un ossimoro: gli accordi si fanno
sulle soluzioni dei problemi, non sul loro rinvio a data da destinarsi. I
comuni denominatori che tengono insieme la Trimurti sono altri due: la paura di
votare e l’allergia per la Costituzione. Che infatti si accingono a cambiare,
concentrando tutti i poteri sull’esecutivo e smantellando i controlli del
legislativo e del giudiziario. I titoli IV e VI della Costituzione,
Magistratura e Corte costituzionale, erano stati esclusi dalla legge istitutiva
del comitato dei 40.
Ma l’altro giorno, dopo le sentenze della
Consulta sul legittimo impedimento e del Tribunale di Milano sul caso Ruby, il
Pdl ha tentato di infilarceli con un emendamento. Il Pd è insorto, parlando
addirittura di “pirateria”, ma era tutta una finta: è bastato che B.
minacciasse di scassare tutto perché ieri Lady Inciucio, al secolo Anna
Finocchiaro, cedesse su tutta la linea ammettendo sul Corriere che “il problema
del coordinamento tecnico con gli articoli del titolo IV e del titolo VI della
Costituzione esiste e va affrontato”. Come? Con un emendamento da “formulare
insieme”.
Del resto il vero padrone del governo,
l’unico che potrebbe farlo cadere dall’oggi al domani (e naturalmente lo tiene
in piedi per ricattarlo in vista dell’amnistia) e cioè B., fa sapere che “se
c’è un settore che ha assolutamente bisogno di una riforma è quello della
giustizia”. È vero che il ministro delle Riforme Quagliariello dice il
contrario. Ma, fra il fattorino e il titolare della ditta, tutti sanno chi
comanda.
Si ripete così pari pari il copione della
Bicamerale: nella legge istitutiva presentata nel ’96, il capitolo Magistratura
era escluso. Poi B. ordinò di inserirlo, minacciò di scassare tutto e D’Alema
si calò prontamente le brache. Tant’è che in Bicamerale si parlò quasi solo di
quello. Poi, siccome in due anni di lavori non veniva fuori l’amnistia, nel ’98
B. fece saltare il tavolo. Anche perché allora al Quirinale c’era Oscar Luigi
Scalfaro, che si batté come un leone contro gli inciuci anti-toghe. Ora invece
c’è Napolitano, che li patrocina da tempo immemorabile. E riceve al Quirinale
il fresco condannato a 12 anni per frode fiscale, rivelazione di segreti,
concussione e prostituzione minorile: il padre prostituente.
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