da: Il Fatto Quotidiano
È tutta una questione di stile, visto
che di sostanza c’è poco. Ma che stile. Enrico Letta da premier si sta
dimostrando un virtuoso del governo versione andreottiana (anche di Giulio
Andreotti, alla morte, nessuno ricordava i risultati ma tutti il metodo, la
pervicacia nel garantirsi la sopravvivenza). Dietro la massima, anche questa
andreottiana, del “meglio tirare a campare che tirare le cuoia” c’è una prassi
politica ormai definita composta di vari tasselli. Eccoli.
BRUNETTA. Enrico
Letta si sveglia al mattino e pensa a Renato Brunetta. Ogni parola, ogni
silenzio , ogni sospiro, è calibrato nella consapevolezza delle reazioni del
capogruppo del Pdl. Imu, Iva, spread, Europa: Letta prima calcola fin dove può
spingersi senza farsi azzannare dal professore veneziano, solo dopo, se è il
caso, si pronuncia.
IL
DISCORSO. Ma il governo Letta abolirà l’Imu o
no? Alla domanda tutti i ministri e gli adepti delle larghe intese rifiutano di
esprimere un’opinione personale e rimandano sempre allo stesso, venerato, documento:
il testo del discorso di insediamento. Che, a posteriori, non è solo una
(lunga) lista
di buone intenzioni, ma un manuale di conversazione che offre ai
ministri sempre la citazione giusta. Insomma, che si fa con l’Imu? “Bisogna
superare l’attuale sistema di tassazione della prima casa”. Tutto chiaro.
SAGGI
E REGISTI. In teoria un governo senza
opposizione, pieno di tecnici e consulenti, dovrebbe avere la massima potenza
decisionale della storia repubblicana. O almeno tutte le idee che servono.
Invece Letta decentra, coinvolge, si affida alla saggezza dei saggi, annacqua i
ministri forti nelle cabine di regia, i partiti nei vertici di maggioranza. Le
grandi riforme? Trentacinque saggi per ora ne discutono (perché appena si
arriva al dunque, che sia semipresidenzialismo o legge elettorale, crolla
tutto). La spending review? Aspettiamo di nominare il commissario e ne
riparliamo. Le nomine nelle controllate del Tesoro? Per fortuna ci sono i tre
garanti che si devono riunire. L’incontro Pd-Pdl-Scelta Civica sulla politica
economica? Aggiorniamolo tra un paio di settimane, evitiamo decisioni
affrettate .
TWITTER. Pur
impaludando l’azione del governo tra consultazioni e rinvii, Letta riesce a
personalizzare la sua azione da premier. Grazie a Twitter. Niente ingenuità –
tipo il “Wow” di Mario Monti (che ora ha smesso di cinguettare) – ma
comunicazione politica, notizie (e veline) che passano prima da un tweet e solo
dopo dall’ufficio stampa. Il premier sa usare il mezzo: quando annuncia “Ce
l’abbiamo fatta! Commissione Ue annuncia ora ok a più flessibilità x prossimi
bilanci x paesi come Italia con conti in ordine”, si inventa pure un hasthag
(che su Twitter è una specie di titolo): “#serietàpaga”.
IN
CAMICIA. Monti ha passato tutta la legislatura
con lo stesso look: completo blu e cravatta azzurra (si ricorda una sola
trasgressione sul rosso). Letta ha trovato la sua cifra nella conferenza stampa
in camicia: se quella di Gianni Riotta al Tg1 evocava familiarità, l’assenza di
giacca in un premier è sintesi di lavoro, della fatica della mediazione. Effetto visivo prezioso soprattutto se gli elementi
concreti da annunciare sono pochi.
DIMENTICARE
MONTI. Lo stile Letta prevede la rimozione
totale di Mario Monti: della sua squadra ha ereditato alcuni ministri (Enzo
Moavero, Anna Maria Cancellieri) e un paio di stretti collaboratori (Vieri
Ceriani e Stefano Grassi). Ma del governo tecnico è meglio non parlare. La
chiusura della procedura d’infrazione europea, i soldi per i disoccupati, il
permesso di salire al 2,9 per cento del deficit: tutti merito di una lotta a
mani nude tra Letta e Angela Merkel. Il professore della Bocconi, che tutte
quelle cose le aveva già ottenute, comprensibilmente è seccato. E dopo l’ultimo
Consiglio europeo non si è più trattenuto: “Senza un cambio di marcia, non
riteniamo di poter contribuire a lungo a sostenere una coalizione affetta da
crescente ambiguità”. È dovuto intervenire il Quirinale per trattenere il
furente Monti.
L’ARTE
DELLE CIFRE. La contabilità dello Stato
richiede creatività, Letta ne è dotato: l’uscita dalla procedura d’infrazione
europea libera 12, no, 15, forse anche 20 miliardi di euro da investire. I
soldi per i giovani disoccupati erano 500 milioni, ma Letta giura via Twitter
(di documenti ufficiali manco l’ombra) che sono in realtà 1,5 miliardi.
L’aumento del deficit dal 2,4 al 2,5 per cento, assicurando, vale 8 miliardi,
16 contando anche quelli che arriveranno da Bruxelles per co-finanziare gli
investimenti. Stando alla “narrazione” governativa, in tre mesi Letta ha
strappato all’Europa una trentina di miliardi. Eppure, stranamente, non si
trovano neppure un paio di miliardi per l’Iva o l’Imu. E quindi si rinvia fino
a novembre. Quando arriverà la legge di Stabilità e si faranno i conti, il
Letta style dovrà cambiare. Oppure i partiti cambieranno premier.
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