da: https://www.startmag.it - di Michele
Arnese
Airbnb, Amazon, Booking, Facebook, Google, Netflix. Chi colpirà (e chi no) la web tax e
come funzionerà
Come
funzionerà la web tax approvata dal governo. Le aziende escluse e quelle
interessate. Numeri, obiettivi e un rischio: le società colpite potranno
ribaltare sulle imprese italiane che utilizzano i loro servizi digitali. Tutti
i dettagli e le polemiche
Gragnuola di nuove tasse nella manovra:
compresa l’imposta sui servizi digitali. Come funzionerà la web tax? E chi
colpirà? Ecco tutti i particolari.
La bozza
di legge di bilancio chiarisce anche i contorni della tassazione dei
servizi digitali. Sarà colpita ad esempio la pubblicità su Google e Facebook. E
altrettanto i servizi marketplace di Amazon e Ebay, sempre più utilizzati dalle
piccole e medie imprese per velocizzare il loro processo di digitalizzazione e
incrementare l’export.
LA
NATURA DELL’IMPOSTA
E’ stata quindi confermata un’imposta sul
B2B (business-to-business) e non su B2C (business to consumer). La norma si
applicherà sul flusso dei servizi a partire dal primo gennaio 2020.
ECCO
LE AZIENDE CHE PAGHERANNO LA WEB TAX
La web tax è in sostanza un’imposta che
sarà pagata dalle multinazionali del web come Google, Facebook, Booking, Apple,
Expedia, Airbnb, Amazon, eBay e altri.
IL
RISCHIO DI TRASLAZIONE
Ci sarà una buona probabilità che questi
gruppi la possano ribaltare sulle imprese italiane che utilizzano i loro
servizi dematerializzati, quali piattaforme ed applicazioni digitali, di
intermediazione per la vendita di beni e servizi, o vetrine virtuali. Ma sarà
il ministero dell’Economia a definire meglio l’ambito preciso di applicazioni
con decreti attuativi.
QUALI
SONO LE AZIENDE ESCLUSE
Sono esclusi dall’applicazione
dell’aliquota del 3% sui ricavi digitali tutti i soggetti della sharing
economy, ossia Airbnb, Deliveroo, Netflix e Spotify. Ma con la possibilità –
notano i tecnici che hanno studiato la materia – che rientrino con riferimento
ad attività di advertising o vendita di dati. Esclusi anche i servizi di
intermediazione finanziaria e le piattaforme di scambio di energia elettrica.
LA
CLAUSOLA
Il governo ha previsto questa clausola: le
disposizioni sono abrogate se e quando Ocse e Unione europea portino a
compimento e conclusione il progetto di una web tax globale.
I
NUMERI SULL’IMPOSTA
“L’imposta sui servizi digitali – scrive
Italia Oggi – interviene sulle norme approvate nella legge di Bilancio 2019
(legge 145/2018) che hanno introdotto una aliquota del 3% sui servizi digitali
i soggetti esercenti attività d’impresa che, singolarmente o a livello di
gruppo, nel corso di un anno solare, realizzano congiuntamente: a) un ammontare
complessivo di ricavi ovunque realizzati non inferiore a euro 750.000.000; b)
un ammontare di ricavi derivanti da servizi digitali, di cui al comma 37,
realizzati nel territorio dello Stato non inferiore a euro 5.500.000″.
QUALI
SONO I SERVIZI NON DIGITALI
Che cosa non si considerano servizi
digitali? La fornitura diretta di beni e servizi nell’ambito di un servizio di
intermediazione digitale, la fornitura di beni o servizi ordinati attraverso il
sito web del fornitore di quei beni e servizi quando il fornitore non svolge
funzione di intermediario, la messa a disposizione di un’interfaccia digitale
il cui scopo è quello della fornitura agli utenti dell’interfaccia dei
contenuti digitali.
L’ANALISI
DI ITALIA OGGI
“Nella pratica – nota
Italia Oggi – si dovrà dunque vivisezionare l’attività delle piattaforme perché
ad esempio sui film prodotti direttamente da Netflix non si applicherà
l’imposta che al contrario sarà applicabile sui film di terzi che Netflix
trasmette con accordi di licenza”.
IL
COMMENTO DI LISCIA (NETCOMM)
Roberto
Liscia, presidente di Netcomm (il consorzio del commercio digitale in Italia), sostiene
che la proposta rappresenti un’iniziativa fortemente negativa verso le imprese:
“Le nuove regole fiscali in
discussione si pongono come un’ennesima
tassa che deprimerà ulteriormente il mercato, riversandosi sulle nostre imprese, mediamente di piccole dimensioni,
che presentano un saldo digitale negativo. Rileviamo, infatti, che ci sono
20 mila aziende nel nostro Paese che utilizzano piattaforme digitali per
vendere le loro merci. È chiaro che un’ulteriore tassa, come quella prevista,
sarebbe un costo eccessivo per la stragrande maggioranza. Siamo contrari
all’ipotesi di una web tax non
armonizzata a livello europeo e lo siamo ancora di più quando vediamo a
rischio le possibilità per le imprese del nostro Made in Italy di competere sui
mercati globali. Siamo al passo opposto rispetto ad alcuni esecutivi del
passato, in cui si ventilava l’idea di finanziare le imprese tese
all’internazionalizzazione”.
Aggiunge Liscia: “Netcomm sostiene da
sempre che la tassazione dell’economia digitale debba essere affrontata con una
visione globale che tenga conto del
quadro fiscale internazionale al fine di evitare gravi asimmetrie
competitive tra singole imprese e Stati. In tale scenario riteniamo che l’OCSE
rappresenti l’Organizzazione più adeguata per stimolare tali riflessioni e
guidare la riforma in collaborazione con le Autorità europee. È per tali
ragioni che riteniamo quanto mai opportuno – come affermato più volte – evitare
azioni unilaterali da parte dei singoli Paesi posto che potrebbero avere gravi
impatti sulle imprese ostacolando l’adozione o lo sviluppo delle nuove
tecnologie da parte delle imprese stesse. Alla luce dei chiari progressi
dell’OCSE, raccomandiamo quindi al Governo italiano di sospendere eventuali
azioni unilaterali ricercando lo sviluppo di linee coerenti con il quadro
internazionale”.
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