da: https://www.corriere.it/economia/
- di Valentina Santarpia
L’ipotesi
del governo
«Non trasformiamo le famiglie in sostituti
d’imposta»: a lanciare l’allarme è Assindatcolf, il sindacato di categoria, che
dopo aver visto la nota di aggiornamento che prepara la manovra, ha chiesto un
incontro al ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, per pensare a un «intervento
organico». Anche se per ora non è stato ancora deciso niente- quello a cui si
riferisce il sindacato è solo uno studio allegato, un’ipotesi- cerchiamo di
capire cosa potrebbe cambiare per le famiglie che hanno in carico una persona
di servizio, colf, badante o baby sitter che sia.
Gli
obiettivi
Partiamo da un presupposto. Il settore è
uno di quelli in cui il lavoro nero è purtroppo ampiamente diffuso. Secondo
Assindatcolf, il 60% dei lavoratori domestici non è assunto regolarmente, con
conseguenze importanti per le casse dello Stato. Il comparto «ha registrato
all’Inps 850mila rapporti di lavoro ma stimiamo ce ne siano altrettanti in
nero», dice il segretario nazionale Teresa Benvenuto. Ed è per questo che il
governo, per fare cassa, sta pensando di introdurre delle novità che potrebbero
far emergere le irregolarità. La più importante è proprio quella di trasformare
i datori di lavoro in sostituti d’imposta.
Che
cosa significa sostituto d’imposta
Il datore di lavoro non è tenuto a
trattenere dallo stipendio del lavoratore le ritenute fiscali. Versa
semplicemente i contributi previdenziali (Inps/Inail), ed è poi il lavoratore a
dover pagare le tasse in dichiarazione dei redditi (Irpef). L’ipotesi è quindi
ora quella di obbligare invece le famiglie a effettuare le trattenute mensili,
da versare poi all’Erario, mediante modello F24 o altri metodi semplificati.
Cosa
succederebbe
In questo modo i lavoratori avrebbero
stipendi più bassi, pur venendo meno per loro l’obbligo di pagare le tasse
successivamente. E i datori di lavoro dovrebbero pagare non solo i contributi
previdenziali ma anche l’Irpef per i lavoratori.
Chi
si oppone
Una soluzione che non piace al sindacato
dei lavoratori domestici: per fare emergere dal sommerso, anche dal punto di
vista fiscale, i lavoratori domestici non si può dare «un ulteriore aggravio
alle famiglie, burocratico e amministrativo», come quello di trasformare questi
datori di lavoro «in sostituti di imposta». Il primo costo sarebbe quello
necessario «per rivolgersi a un professionista che dia una mano a gestire»
questa nuova contabilità. Infatti per calcolare i contributi da trattenere
bisognerebbe valutare prima l’aliquota (fino a 1 5mila euro è il 23%, poi il
27%), poi le detrazioni da lavoro (se determinato o indeterminato) e familiari
(se il lavoratore ha coniuge o figli a carico), e poi le addizionali regionali
e comunali in base alla Regione e al Comune di appartenenza. Non proprio
un’operazione semplicissima.
La
no tax area
Tanto più che, rileva il sindacato, esiste
un’ampia fascia di «no tax area», cioè lavoratori che non raggiungono stipendi
oltre gli 8100 euro all’anno e che quindi sono esentati dal pagamento delle
tasse. E che è proprio qui che si annida gran parte del nero. I lavoratori
avrebbero infatti tutto l’interesse a far sì che le famiglie non dichiarino
interamente l’orario di lavoro in modo da evitare di pagare l’Irpef, dal 23 al
27% per le cifre oltre gli 8100 euro. Una circostanza confermata dal rapporto
sul sommerso allegato alla Nota di aggiornamento al Def, dove si rileva che
anche tra chi risulta all’Inps ce n’è almeno un quarto (circa 221mila) che si
collocano in modo «anomalo» sulla soglia della no tax area, attorno agli 8mila
euro.
L’ipotesi
di marzo: l’Irpef al 15%
Un’ipotesi per provare a far emergere
lavoro nero era stata formulata a marzo, nell’ambito del decreto sul reddito di
cittadinanza e quota 100: ma è stato bocciata la possibilità di portare al 15%
l’Irpef per i lavoratori domestici per spingerli pagare le tasse. Il prelievo
al 15% si sarebbe applicato con una ritenuta d’acconto delle imposte su redditi
sulle retribuzioni erogate ai lavoratori domestici effettuata dal datore di
lavoro, che così come oggi avviene per i il versamento trimestrali dei
contributi previdenziali, avrebbe versato direttamente all’Inps anche la quota
di Irpef agendo da sostituto d’imposta pagando con il bollettino precompilato
inviato dallo stesso istituto di previdenza. Un’opportunità persa per lo Stato
di guadagnare circa 500 milioni di emerso senza aggravi aggiuntivi in termini
di adempimenti per datori di lavoro e lavoratori domestici.
La
proposta del sindacato: la deduzione per le famiglie
La segretaria di Assindatcolf ricorda,
peraltro, che quando si tratta di sgravi per le assunzioni, come è accaduto da
ultimo con l’incentivo per le imprese che assumono chi beneficia del reddito di
cittadinanza, le famiglie «non vengono considerate tra i datori di lavoro» a
cui concedere gli sconti. Assindatcolf, sottolinea Benvenuto, «chiede da sempre
la defiscalizzazione del lavoro domestico» così come accade «per i costi
aziendali del personale». Questo darebbe alla famiglia-datore di lavoro
«maggiore potere contrattuale nei confronti di richieste che spesso vengono dal
lavoratore: si avrebbe interesse a dichiarare l’intero orario di lavoro e anche
l’effettiva retribuzione che, per una badante convivente supera ampiamente la
no tax area. Così i lavoratori domestici pagherebbero le loro tasse, mentre i
datori avrebbero un vantaggio sui costi che rispondono a una esigenza di
welfare e non a una produzione di reddito».
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