mercoledì 2 ottobre 2019

Gianrico Carofiglio: La versione di Fenoglio / 4



Non avevo niente di preciso in testa, ovviamente. Non ero mai stato sulla scena di un omicidio e non avevo idea di quale fosse il modo giusto di comportarsi. Comunque sia, cominciai a guardarmi attorno, a spostare i libri sugli scaffali per vedere se ci fosse qualcosa dietro, a frugare nei cassetti, a passare in rassegna gli oggetti sulla scrivania. Tutte cose che avevano già fatte i militari del nucleo.
A un certo punto mi trovai fra le mani il blocchetto delle ricette. Era quasi nuovo e, in apparenza, non aveva nulla di interessante. Pagine bianche con il nome del medico e gli altri suoi dati.
Allora perché non lo rimisi subito a posto come avevo fatto con tutti gli altri oggetti che - violando le disposizioni del maresciallo - avevo toccato ed esaminato? Non lo so o non me lo ricordo. Che poi è la stessa cosa. Sta di fatto che non lo riposi.
In effetti in quel blocchetto c’era qualcosa di interessante, proprio perché non c’era.
Parole invisibili incise sulla carta.
Il medico aveva scritto una ricetta sul foglio precedente del blocco e lo aveva strappato per consegnarlo al paziente.
Accesi la lampada da tavolo e la inclinai in modo radente rispetto alla superficie bianca. Le parole vennero fuori, o meglio, si vedevano e non si vedevano a seconda di come tenevo la luce. Si intuiva che erano lì, ma non erano leggibili.
Così, senza nemmeno rendermi conto che stavo manipolando e alterando in modo irreversibile una possibile prova, misi in pratica un trucco che avevo imparato dalla professoressa di educazione artistica alle scuole medie. Serviva a far comparire dal nulla un disegno o un testo. Il gioco consisteva in questo: si scriveva o si disegnava sulla prima pagina di un blocchetto, calcando forte in modo tale che le lettere e le parole venissero impresse su quella sottostante. Quest’ultima all’apparenza rimaneva bianca, ma passandoci sopra con delicatezza un carboncino o una matita dalla punta morbida, come per magia le parole saltavano fuori in bianco su fondo nero, simili a un graffito.

Sul ricettario comparve, con una grafia stranamente chiara per appartenere a un medico, la prescrizione di un antidolorifico - Optalidon - e il nome del paziente. L’ultimo che il dottore aveva visitato prima di morire. O almeno l’ultimo per il quale aveva scritto una ricetta.
Il mio primo impulso fu di rientrare in caserma, andare dal comandante del nucleo operativo e riferirgli cosa avevo scoperto e come avevo fatto, chiedendo come ricompensa di essere ammesso al nucleo operativo e di poter partecipare al prosieguo dell’indagine.
Mi ci volle solo qualche secondo per rendermi conto che era un progetto assurdo.
Anche se fossi riuscito a farmi ricevere - cosa niente affatto scontata - che avrei detto?
«Comandi signor capitano, dopo che ve ne siete andati mi sono messo a frugare senza autorizzazione, anzi, contravvenendo alle superiori disposizioni, sulla scena del crimine. Ho trovato una possibile prova e l’ho maneggiata e anche manipolata. In tal modo ho capito che il dottore prima di essere ammazzato, ha scritto una ricetta».
Ammesso che il capitano non mi avesse mangiato vivo, cosa avrebbe fatto dopo questa rivelazione? Mi avrebbe detto: «Vicebrigadiere Fenoglio, complimenti davvero per la sua brillante intuizione. Vado pazzo per le reclute che fanno di testa loro ficcando il naso nel lavoro degli altri e in particolare quello dei miei uomini. Suvvia lasci perdere il radiomobile e venga con noi. Anzi adesso le cedo pure il mio ufficio così può organizzarsi meglio».
Nel migliore (e più improbabile) dei casi avrebbe preso il foglietto, mi avrebbe dato una pacca sulle spalle e mi avrebbe rimandato ai miei turni di pattuglia. Nel peggiore avrei passato, meritatamente, guai piuttosto seri.
Allora mi venne un’idea folle. Avrei cercato io stesso l’ultimo paziente visitato dal medico e, una volta trovato, gli avrei chiesto se, andando via, avesse notato qualcosa. Se non sapeva nulla avrei lasciato perdere e non avrei raccontato niente a nessuno. Se avesse avuto qualche informazione utile…bè ci avrei pensato dopo.
In quel momento non mi passò per la testa che, molto probabilmente, quelli del nucleo operativo sarebbero comunque arrivati a quel soggetto. Lo avrebbero interrogato e lui avrebbe risposto che aveva già parlato con qualcuno dei carabinieri. Quelli si sarebbero insospettiti, magari avrebbero indagato e la situazione sarebbe potuta diventare davvero molto spiacevole.
Scoprire i dati di quel paziente non fu difficile. In uno dei cassetti della scrivania c’erano un paio di piccoli schedari. Dopo dieci minuti di consultazione, sempre tenendo d’occhio la porta nel caso arrivassero quelli del nucleo mentre ero intento a non farmi i fatti miei, avevo le generalità e l’indirizzo del soggetto. Osvaldo Baresi, si chiamava. Suppongo che non dimenticherò mai il suo nome. Trascorsi alcuni minuti arrivarono due sottoufficiali del nucleo operativo per repertare tutto quello che poteva essere utile. Io avevo in tasca il foglio. Il blocco delle ricette era sulla scrivania e rimase lì anche quando ebbero finito.
Nessuno dei due lo aveva degnato di uno sguardo.

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