Perché
se ne riparla e quali sono le posizioni dei principali partiti
Da alcuni giorni si è tornati a parlare
delle modalità con le quali in Italia le persone minorenni possono acquisire la
cittadinanza. Giovedì 3 ottobre, infatti, riprenderà in commissione Affari
costituzionali della Camera l’iter della proposta
di legge firmata da Laura Boldrini (deputata di LeU, ora PD) sullo “ius
soli”. Alla stessa commissione, nel giugno del 2018, è stata assegnata una proposta
di legge presentata da Renata Polverini, deputata di Forza Italia, che
prevede lo “ius culturae”. Entrambi i testi prevedono una riforma delle
modalità di acquisizione della cittadinanza, attualmente regolata da una legge
che si basa esclusivamente sul principio dello “ius sanguinis”. Se lo “ius
soli” sembra comunque essere fuori dalla discussione, nei giorni scorsi a
favore dello “ius culturae” si sono pronunciati sia la nuova ministra della
Famiglia Elena Bonetti sia il presidente della commissione Affari
Costituzionali Giuseppe Brescia. Ma vediamo cosa vogliono dire queste
espressioni latine.
L’ultima
legge sulla cittadinanza, introdotta nel febbraio del 1992, si basa sul
principio dello “ius sanguinis” (dal latino, “diritto di sangue”) e prevede tre
modalità per l’acquisizione della cittadinanza italiana: per naturalizzazione,
per matrimonio e per nascita (se si ha almeno un genitore italiano, da cui il
“sanguinis”). Nel primo caso la cittadinanza può essere concessa dopo dieci
anni di residenza ininterrotta sul territorio nazionale; nel secondo caso a uno
straniero che sposa un cittadino italiano dopo una residenza di due anni dal
matrimonio.
È invece cittadino per nascita chi è nato da padre o madre
cittadini italiani. Se i genitori stranieri sono diventati cittadini italiani,
anche il figlio minore convivente diventa cittadino italiano. In base al
principio dello “ius sanguinis”, però, se il minore è nato in Italia ma i
genitori non sono cittadini italiani, il figlio non acquista la cittadinanza
italiana e può diventare cittadino italiano solo dopo aver compiuto 18 anni e
se fino a quel momento ha risieduto in Italia “legalmente e ininterrottamente”.
Questo pur essendo nato in Italia e vissuto in Italia fin dal giorno della
nascita.
Questa legge è da tempo considerata
carente: esclude per diversi anni dalla cittadinanza e dai suoi benefici decine
di migliaia di bambine e bambini nati e cresciuti in Italia, e lega la loro
condizione a quella dei genitori (il cui permesso di soggiorno nel frattempo
può scadere, e costringere tutta la famiglia a lasciare il paese e tornare in
un posto di cui i minori spesso non conoscono nemmeno la lingua). Alla fine del
2015 la Camera aveva approvato una riforma che avrebbe introdotto
due nuove modalità: lo “ius soli temperato”, cioè un diritto legato al
territorio, e lo “ius culturae”, cioè un diritto legato all’istruzione. Il
Senato però non la approvò mai.
Lo “ius
soli” puro prevede che chi nasce nel territorio di un certo stato ottenga
automaticamente la cittadinanza: è il modello statunitense, per capirci. Lo
“ius culturae” passa invece attraverso il sistema scolastico italiano. La
proposta di legge Polverini prevede che potranno chiedere la cittadinanza
italiana i minori stranieri nati in Italia che vi abbiano risieduto legalmente
senza interruzioni fino al compimento del corso della scuola primaria (i cinque
anni delle elementari). «L’acquisto della cittadinanza», si dice nel testo, «si
configura pertanto come un diritto sottoposto a una condizione sospensiva,
consistente nel compimento di un corso di istruzione che certifica l’avvenuta
acquisizione delle conoscenze culturali e della formazione civica necessarie
per una piena integrazione del giovane nella società italiana».
Nella legge di riforma della cittadinanza
mai approvata dal Senato durante il governo di Matteo Renzi, lo “ius culturae” prevedeva che
potessero chiedere la cittadinanza italiana i minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni e che
avevano frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni e superato
almeno un ciclo scolastico (cioè le scuole elementari o medie). Prevedeva
poi che i ragazzi nati all’estero ma arrivati in Italia fra i 12 e i 18 anni
potessero ottenere la cittadinanza dopo aver abitato in Italia per almeno sei
anni e avere superato un ciclo scolastico. Secondo gli ultimi dati della
Fondazione Leone Moressa, sono circa 166 mila i ragazzi stranieri che hanno
completato almeno cinque anni di scuola in Italia e che sarebbero dunque
interessati dallo “ius culturae”.
Lega
e Fratelli d’Italia sono in generale contrari allo “ius culturae”.
Luigi Di Maio, leader del Movimento
5 Stelle, ha detto che la questione non è una priorità, opinione condivisa
anche da una parte del PD. Il
ministro dell’Istruzione, Lorenzo
Fioramonti del M5S, ha detto di essere «completamente favorevole», mentre
per Matteo Renzi «se ci sono i numeri, e Di Maio ci sta» si può fare, «se non
ci sono i numeri, perché i Cinque stelle non ci sono, prendiamone atto. Ma non
trasformiamolo in un tormentone come è stato fatto dal governo nel 2017».
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