da: https://www.glistatigenerali.com -
di Jacopo Tondelli
Vittoria
doveva essere, e trionfo è stato. Oppure, guardandola con
gli occhi del governo, sconfitta doveva
essere, e disfatta è stata.
Ora, si dirà, già si è detto: votavano
poche centinaia di migliaia di persone, non è un test nazionale! C’erano delle specificità locali, degli scandali che hanno travolto la giunta di
centrosinistra dopo decenni di governo, non era un test nazionale! È tutto sensato, per carità, eppure tutto incredibilmente falso, anche a
fronte della proporzione della vittoria e della sconfitta, e soprattutto a
fronte dell’enorme investimento dei leader nazionali che su questo “laboratorio
Umbria” è stato fatto. La foto di
pochi giorni fa, che ritraeva insieme Giuseppe
Conte, Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti, a far campagna elettorale, è
stata la sanzione esplicita di
quanto è stato detto e ripetuto molte volte da diversi leader del “nuovo”
“centrosinistra”, composto da Pd e 5 Stelle, nei giorni e nelle settimane
precedenti. “Bisogna lavorare a un’alleanza organica e strutturata” hanno detto
uno dopo l’altro in tanti, Dario
Franceschini con l’aria dello stratega di lungo corso, Nicola Zingaretti con quella di chi deve “tenere insieme tutti”, e
prima per l’unità bisognava dire “mai con i 5 stelle”: e adesso, in nome dello
stesso obiettivo, sembra dover dire “sempre coi 5 stelle”.
L’esperimento
umbro pare sbagliato invece per due ragioni, una tattica e l’altra
strategica. Quella tattica è presto detta: dopo la sconfitta umbra non ci
sono “piani b”, si è sparata la “cartuccia grossa” al primo appuntamento, ed è
andata come è andata. Avendo perso male insieme, sarà difficile andare insieme
ai prossimi appuntamenti, ed entrambi i contraenti rischieranno di perdere separati,
o di stare insieme guardandosi in cagnesco, pronti a incolparsi l’un l'altro per
le prossime eventuali sconfitte.
Ma quella che più conta è la ragione strategica, non aveva bisogno
di essere sancita da questa sconfitta dalle proporzioni nettissime, e ci
riporta alle radici di questa strana convivenza in coalizione di governo. Un’alleanza nata senza soluzione di
continuità rispetto ad anni di
insulti, tra due partiti che nell’ostilità reciproca avevano una delle
principali ragioni di identità e, quindi, di consenso. Una coalizione creata in una quindicina di giorni, ad agosto, per paura
di trovarsi al voto e sconfitti malamente da Salvini, col vento in poppa
nonostante la maldestra manovra del Papeete che aveva portato il governo Conte
I a cadere. Un’accozzaglia tanto
fragile da non aver potuto prescindere, come punto di equilibrio, da quello
stesso primo Ministro che aveva messo firma
e faccia su tutti i provvedimenti del cattivo Salvini, prima di insultarlo
pubblicamente nell’aula del Senato. Cosa teneva e tiene insieme i due compagni
di viaggio? Poco, e trovare tracce di un percorso comune futuro in questo
passato non è facile. Basti dire – per tornare all’Umbria – che la precedente giunta di centrosinistra è
stata duramente avversata dai 5 Stelle, prima di inventarsi un’alleanza col Pd
per le regionali, che sono peraltro, da sempre, le elezioni più sfavorevoli ai
5 stelle.
Insomma, la piccola Umbria non è diventata sicuramente un laboratorio: non lo
sarebbe stata in caso di vittoria
della coalizione di governo, non lo è nemmeno in seguito a questa roboante sconfitta. E tuttavia, il
segnale che arriva da Perugia e dintorni è chiarissimo, e travalica ampiamente
i confini e le proporzioni della regione. Non scalfirà il percorso di
sopravvivenza di questo governo, anche perché in fondo il risultato conferma le ragioni per cui questo governo è
nato, ma certo vale a ricordare i principi fondamentali del fare politica: senza un rapporto vero con la società e i
territori che si vogliono rappresentare le alchimie di palazzo mostrano in fretta tutti i loro limiti. Oggi
succede nella piccola Umbria, domani è
realistico immaginare che si salga di scala.
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