da: Corriere
della Sera - di Aldo Grasso ‘A file di rete’
Giallini,
la perfetta incarnazione del commissario Schiavone
Marco Giallini torna a indossare il loden
di Rocco Schiavone, anticonformista nato dalla penna di Antonio Manzini (tutti
i libri sono editi da Sellerio). E’ questa la cosa più importante. Senza Giallini
la serie non esisterebbe, quanto meno sarebbe molto difficile immaginarla.
Nessuno meglio di lui, romano trapiantato
ad Aosta, poliziotto dai modi antieroici e perenne elaboratore di lutti,
riuscirebbe a dar vita a un personaggio dal profilo psicologico complesso (intepreta
la figura canonica del «ruvido empatico»), solo come un cane (anzi solo con un
cane), sempre sul punto di essere abbandonato dalle persone cui tiene di più. I
suoi sottoposti sembrano macchiette, vivono di luce riflessa a rischio di una «montalbanizzazione»
della serie (il format Montalbano contamina la fiction Rai: un solo
protagonista, un poliziotto alla Cattarella, il crime che si chiude in una puntata,
il paesaggio da Film Commission..).
A Valpelline è stato ritrovato il corpo
senza vita di un ex sacerdote, Donato Brocherel, un uomo che da ben 18 anni
viveva solo in una piccola casa in mezzo alle montagne. Morte accidentale,
suicidio o omicidio? Il vicequestore ha 37,3 di febbre e quindi deve stare
rinchiuso in casa, timoroso di qualche irreparabile complicazione polmonare.
Eppure, nella sfiorata ridicolaggine della situazione, conduce le indagini via telefono.
Nasce così una situazione straniante: la
scena del delitto, invece di essere rappresentata direttamente, è raccontata e
molta parte delle indagini si svolge via telefono. Alla fine, come al solito, un’intuizione
di Rocco Schiavone farà luce sul delitto.
La terza stagione, per la regia di Simone
Spada, va in onda per quattro settimane (Rai2, mercoledì, ore 21,20).
Marco Giallini sembra la trasposizione finzionale
del direttore di Rai2 Carlo Freccero, il savonese trapiantato a Roma.
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