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di Paolo Natale
C’era
una volta la piazza: migliaia di cittadini ci andavano per
ascoltare e seguire Beppe Grillo, durante le mobilitazioni del 2007-2008 (i
V-Day) per un Parlamento pulito o per un’editoria più libera. Il nascente
movimento riusciva in quelle occasioni ad ottenere una visibilità significativa
sui media, benché molti dei commenti cercassero soprattutto di ridicolizzare,
sottolineandone il carattere effimero, l’iniziativa politica del comico (“prova
tu a fondare un partito…”).
Dal punto di vista elettorale, in quegli
anni, c’era invece poco o nulla. Qualche presenza a livello locale, senza
incidere. I limiti di quelle esperienze fanno emergere la necessità di
costruire un riferimento politico comune a livello nazionale. Nell’ottobre
2009, al Teatro Smeraldo di Milano, viene dunque fondato il MoVimento 5 Stelle.
Beppe Grillo propone un non-programma con più di centoventi obiettivi da
realizzare e un “non statuto” che stabilisce le regole di adesione e alcuni
principi organizzativi. Il nuovo soggetto politico si presenta con un profilo
diverso rispetto ai partiti tradizionali per le idee, le forme organizzative e
il tipo di rapporto con i cittadini.
Ma è il 2012 l’anno della svolta.
I risultati elettorali e le intenzioni di voto cominciano a sorridere al
MoVimento: le adesioni crescono, e la sostanziale compattezza che
caratterizzava i votanti per il M5s agli esordi del loro percorso politico
tende a scemare.
Precedentemente, nel movimento, si distinguevano due tipi
principali: i delusi dalla sinistra, che avevano trovato qui un nuovo interesse
per la partecipazione politica, e i neofiti, che avevano trovato qui
l’occasione per iniziare a partecipare in prima persona alla vita politica del
paese.
Le anime che popolano il movimento dal 2013 in poi, in occasione
dell’impensabile successo elettorale (il 25% dei consensi), ancora migliorato
cinque anni dopo (33%), sono alquanto più variegate, con una significativa
crescita dell’area più di destra e quella più “qualunquista”, rispetto alla
situazione esistente agli albori. Come diventa presto evidente, il potenziale
elettorale di questa nuova formazione dipende dalla capacità di parlare alle
diverse anime, con toni e accenti trasversali, per dare motivazioni a tutti.
Una cosa relativamente semplice stando all’opposizione, ma piuttosto complicata
quando si è al governo, prima a livello locale e poi, dal 2018, a livello nazionale.
Perché sottolineare specifiche parole
d’ordine (troppo “di sinistra”, oppure troppo “populiste”) e avallare o
adottare specifiche politiche ha come conseguenza immediata quella di
allontanare una o più delle consistenti parti di questo elettorato non
omogeneo, formatosi attraverso un percorso scaglionato nel tempo.
Così l’iniziale
struttura “movimentista” e le proposte quasi da sommatoria di “single-issue
parties” poco alla volta viene contraddetta
dal ruolo che il M5s svolge nei governi centrali o periferici in cui è
presente. L’evoluzione (l’involuzione)
del Movimento è sotto gli occhi di tutti: alleanze con la destra e con la
sinistra; politiche prima anti-europeiste e poi in accordo con la UE; assenza
di leader (uno vale uno), poi personalizzazione e poi ancora “direzione
collegiale”; strategie abbozzate e presto contraddette, in cerca di un contatto
duraturo con i propri elettori, che da almeno un anno non capiscono più
esattamente cosa sia la forza politica che li dovrebbe rappresentare.
Perché un
cittadino dovrebbe scegliere oggi, al suo decimo compleanno, il M5s? Farlo
diventare un brand politico “comprensibile” sarà dunque l’arduo compito che si
appresta a sostenere la nuova direzione, pena il dissolvimento di un movimento
che pareva invece destinato a mutare definitivamente il quadro
politico-elettorale.
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