Dal
presidente del Consiglio al finanziere Raffaele Mincione, passando per la
segreteria di stato vaticana ecco spiegata la complicata vicenda di investimenti
in immobili e telecomunicazioni
La vicenda con la quale il Financial Times ha
tirato in ballo il premier Giuseppe Conte riguarda alcuni incarichi professionali collegati con la sua attività forense
e ricevuti poche settimane prima di essere indicato come premier della
coalizione Lega-M5s, nell'estate del 2018.
Più nel dettaglio Conte, a maggio del 2018, riceve l'incarico di elaborare un parere pro veritate "a favore
della Fiber 4.0, un gruppo coinvolto
nel controllo della Reselit, una compagnia
di tlc italiana. Il principale
investitore della Fiber 4.0 era il Fondo Athena Global Opportunities, finanziato interamente dalla segreteria di Stato vaticana".
Questo fondo,
a sua volta, è "di proprietà del
finanziere Raffaele Mincione". Al di là degli aspetti giudiziari
e politici della vicenda vediamo chi sono i soggetti coinvolti.
IL FONDO
FIBER 4.0
È un fondo, di proprietà al 40% del finanziere Raffale Mincione. Nell'aprile del 2018 il fondo viene sconfitto in una votazione per il controllo di Retelit. Fiber 4.0
possedeva già il 9% di Retelit e pianificava
di collocare Mincione a capo del cda. Secondo il Ft, per cercare di rovesciare il risultato, Fiber avrebbe ingaggiato Conte come consulente per un parere legale, o
meglio avrebbe cercato di invalidare il
voto degli azionisti con un escamotage
tecnico legale che richiedeva l'approvazione
del governo e, a tal fine, avrebbe assunto proprio Conte, cioè un
avvocato che avrebbe rilasciato un parere legale pochi giorni prima di diventare primo ministro.
Questa ricostruzione
è stata seccamente smentita dal premier che all'epoca era
professore di diritto
all'Università di Firenze. La cordata che si è opposta con successo a Fiber 4.0 è formata dal gruppo statale libico delle tlc e della Shareholder
Value, un fondo tedesco.
LA
SOCIETA’ DI TLC RETELIT
Retelit, come si legge sul suo sito,
è uno dei principali operatori
italiani di servizi digitali e infrastrutture. Opera nel mercato delle
telecomunicazioni. Dal 2000 è quotata alla Borsa di Milano, dal 26
settembre 2016 è nel segmento STAR. L'infrastruttura in fibra ottica di
proprietà della società si sviluppa per oltre 12.500 chilometri
(equivalenti a circa 321.000 km di cavi in fibra ottica) e collega 10 reti metropolitane
e 15 Data Center in tutta Italia. Con 4.000 siti on-net e 41 Data Center
raggiunti, la rete di Retelit si estende anche oltre i confini nazionali con un
ring paneuropeo con PoP nelle principali città europee, incluse
Francoforte, Londra, Amsterdam, Parigi e Marsiglia, raggiungendo anche New York
e il New Jersey, negli USA.
Retelit è membro dell'AAE-1
(Africa-Asia-Europe-1), un consorzio che gestisce il sistema di cavo
sottomarino che collega l'Europa all'Asia attraverso il Medio Oriente. Offre servizi che vanno dalla connessione Internet in fibra ottica al
Multicloud, dai servizi di Cyber
Security e Application Performance
Monitoring ai servizi di rete basati su tecnologia SD-WAN.
IL FONDO
ATHENA GLOBAL OPPORTUNITIES
È un fondo di investimenti, gestito dal finanziere Raffaele Mincione.
Lui stesso, in un'intervista al Corriere della Sera, ha rivelato che l'unico investitore del fondo Athena era la Segreteria di Stato vaticana,
con 200 milioni di dollari, pari a
circa 147 milioni dell'epoca, nell'ottobre 2013. Di quei milioni, circa 80 vennero utilizzati per rilevare il 45%
di un palazzo di lusso a Londra (a vendere le quote fu lo stesso Mincione),
mentre il resto dei soldi venne utilizzato per investimenti mobiliari, fondamentalmente in tre titoli di società quotate
a Piazza Affari: Banca Carige, Tas (socieà che si occupa di pagamenti
digitali), e Retelit.
È lo stesso Mincione a rivelare al Corriere di aver scalato queste tre società, soprattutto Tas e Retelit, coi soldi
del Vaticano. Di fatto la segreteria
di Stato sarebbe stata l'effettivo proprietario delle azioni fino al
novembre del 2018, quando la transazione tra Mincione e il Vaticano non
portò a una divisione delle attività: al Vaticano andò l'intero
palazzo; a Mincione gli investimenti mobiliari più un conguaglio di 44
milioni di euro in contanti. È in quel periodo che Mincione scala Retelit,
candidandosi anche come presidente della società e che spunta il nome di
Conte.
IL FINANZIERE
RAFFAELE MINCIONE
Raffaele Mincione, 53 anni, è un
finanziere italiano, originario di Pomezia, noto per aver tentato la scalata alla Popolare di Milano e alla Banca Carige.
Mincione, appassionato velista, di professione fa il raider finanziario. La sua base è Londra, ma si muove a suo agio tra fondi lussemburghesi, speculazioni in Russia, affari immobiliari e
operazioni tra Malta, il New Jersey e i Caraibi.
Coltiva importanti amicizie nel mondo
politico, della diplomazia e dell'alta burocrazia. Tra i suoi consulenti,
secondo una ricostruzione de L'Espresso, c'è l'ex presidente del Consiglio
Lamberto Dini e Alain Economides, ex capo di gabinetto del ministro degli
Esteri Franco Frattini e poi ambasciatore nella capitale britannica. Da Londra,
Mincione si specializza nella scalata delle banche italiane.
Nel 2012
compra l'1% circa del Monte dei Paschi quando già la banca senese si
trova sull'orlo del baratro. Dura poco. Nel giro di un anno esce di scena
vendendo, in perdita, il suo pacchetto di azioni. Gli va meglio con la Popolare di Milano (Bpm), dove
già nel 2011 rastrella in Borsa
l'8,7% del capitale. Da allora, nella banca lombarda succede di tutto:
cambi della guardia al vertice, indagini della magistratura, battaglie tra
cordate contrapposte di azionisti.
A fine
2016, la Bpm si fonde col Banco Popolare di Verona. Dall'operazione nasce
la terza banca italiana e Mincione
mantiene una quota che nel frattempo si è diluita fin sotto il 2%. Da
Milano nel 2017 il finanziere fa
rotta su Genova ed entra nel cda di
Carige, al fianco dei rappresentanti dei due maggiori azionisti:
l'imprenditore Vittorio Malacalza, forte del 20,6% e il petroliere Gabriele
Volpi, con il 9% circa. Lui nel febbraio 2018 annuncia di possedere il 5,4%
della banca ligure, che nonostante le difficoltà resta comunque tra i
primi dieci istituti di credito in Italia.
Alla fine
del 2017 Carige deve ricapitalizzarsi e dentro la banca Malacalza e Volpi incrociano le spade, con
Mincione, che è sempre ben presente in tutte le operazioni di
ricapitalizzazione e agisce come terzo incomodo tra i due litiganti. Nel settembre 2019 Mincione ha circa il 7%.
La famiglia Malacalza si sfila e non fa pesare il suo 27,55% che avrebbe potuto
di bloccare la delibera dell'assemblea che da' l'ok all'aumento di capitale,
sponsorizzato dal governo. Per Mincione comunque Carige è solo uno
dei tanti tavoli a cui gioca. Un'altra partita è quella di Retelit.
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