Nel 2017 il presidente del consiglio era Paolo
Gentiloni e il ministro dell’Interno…guarda
un po’…era Minniti. Ministro dell'interno applaudito da Travaglio e dal giornalismo che votava PD che lo sosteneva convinto che la sua politica (se politica si chiama pagare la Libia per violentare esseri umani) avrebbe scongiurato la crescita di Salvini. E, invece, Minniti non è riuscito neppure a farsi eleggere il 4 marzo 2018. Sappiamo che fine - anzi, che inizio - ha avuto Salvini. La fine (momentanea), se l'è decretata da solo perchè è un'ignorante megalattico soprattutto a livello internazionale.
Come scrissi in questo post: non c’è differenza tra Minniti e Salvini.
Come scrissi in questo post: non c’è differenza tra Minniti e Salvini.
da: https://www.avvenire.it/
- di Nello Scavo
La
trattativa nascosta. Dalla Libia a Mineo, il negoziato tra l'Italia e il boss
Le
foto dell’incontro nel 2017 tra il numero uno dei trafficanti di esseri umani,
Bija, e delegati inviati dal governo.
L’incontro di Mineo del maggio 2017 cui prese parte il trafficante libico Bija, l'unico con il volto non pixellato, a sinistra con la barba (foto Avvenire) |
Quando il minibus coi vetri oscurati entra
nel Cara di Mineo, solo in pochi conoscono la composizione della misteriosa delegazione
da Tripoli. È l’11 maggio 2017. L’Italia sta negoziando con le autorità
libiche il blocco delle partenze di profughi e migranti. Oggi sappiamo che quel giorno, senza lasciare traccia nei
registri d’ingresso, alla riunione partecipò anche Abd al-Rahman al-Milad, il
famigerato Bija. (IL
PROFILO)
Le numerose
immagini ottenute da Avvenire attraverso una fonte ufficiale, documentano
quella mattinata rimasta nel segreto. Accusato
dall’Onu di essere uno dei più efferati trafficanti di uomini in Libia,
padrone della vita e della morte nei campi di prigionia, autore di sparatorie
in mare, sospettato di aver fatto affogare decine di persone, ritenuto a capo di
una vera cupola mafiosa ramificata in ogni settore politico ed economico
dell’area di Zawyah, aveva ottenuto un
lasciapassare per entrare nel nostro Paese e venire accompagnato dalle autorità
italiane a studiare «il modello Mineo», da dove in questi anni sono passati
oltre 30mila migranti. Accordi
indicibili che proseguono anche adesso, nonostante le reiterate denunce delle
Nazioni Unite.
All’incontro,
partecipavano anche delegati nordafricani di alcune agenzie umanitarie
internazionali, probabilmente ignari di trovarsi seduti a fianco di un signore
della guerra dedito alle peggiori violazioni dei diritti umani.
Non deve
essere un caso se, pochi giorni dopo, le Nazioni Unite in un durissimo rapporto del Consiglio di sicurezza denunciavano: «Abd al-Rahman Milad (alias Bija) e altri membri della Guardia costiera sono direttamente coinvolti nell’affondamento di imbarcazioni migranti utilizzando armi da fuoco». Si chiede il congelamento dei beni e il divieto di viaggio di Bija al di fuori della Libia. Nel dossier quel nome viene citato per sei volte: «È il capo del ramo di Zawiyah della Guardia costiera. Ha ottenuto questa posizione grazie al supporto di Mohammad Koshlaf e Walid Koshlaf». Questi erano a capo della “Petroleum Facilities Guard”, controllavano la locale raffineria disponendo di una milizia di almeno duemila uomini.
essere un caso se, pochi giorni dopo, le Nazioni Unite in un durissimo rapporto del Consiglio di sicurezza denunciavano: «Abd al-Rahman Milad (alias Bija) e altri membri della Guardia costiera sono direttamente coinvolti nell’affondamento di imbarcazioni migranti utilizzando armi da fuoco». Si chiede il congelamento dei beni e il divieto di viaggio di Bija al di fuori della Libia. Nel dossier quel nome viene citato per sei volte: «È il capo del ramo di Zawiyah della Guardia costiera. Ha ottenuto questa posizione grazie al supporto di Mohammad Koshlaf e Walid Koshlaf». Questi erano a capo della “Petroleum Facilities Guard”, controllavano la locale raffineria disponendo di una milizia di almeno duemila uomini.
Sembra
impossibile che le autorità italiane non sapessero chi era l’uomo seduto al
tavolo dello strano convegno.
Diversi
mesi prima del suo arrivo in Italia, Bija era finito nel mirino di una raffica di inchieste giornalistiche e
investigazioni internazionali. Il 14 febbraio 2017 The Times diffonde un
video nel quale si vede un uomo in divisa mimetica picchiare selvaggiamente un
gruppo di migranti su un gommone. Ripreso di spalle, il miliziano appare con
una menomazione alla mano destra. Proprio come Bija, che durante i
combattimenti anti Gheddafi del 2011 aveva perso alcune dita. Il 20 febbraio la
giornalista italiana Nancy Porsia pubblica un approfondito reportage in inglese
per Trt World, proseguendo un’inchiesta apparsa già il 6 gennaio in italiano su
The Post Internazionale, nel quale spiega che «Bija lavora sotto la protezione di Al Qasseb, nom de guerre di
Mohamed Khushlaf, che è a capo del dipartimento di sicurezza della raffineria di
Zawiyah. Supportato da suo cugino e avvocato Walid Khushlaf, Al Qasseb esercita
il controllo totale sulla raffineria e sul porto di Zawiyah. I cugini Khushlaf
fanno parte della potente tribù Abu Hamyra, così come Al Bija». Poi arriveranno
articoli pubblicati da Il Messaggero, Il Mattino, la Repubblica e l’Espresso.
L’anno prima, siamo nel 2016, erano stati
anche Panorama e Il Giornale a indicare Abdou Rahman quale uomo chiave del
traffico di esseri umani. Numerose e ininterrotte da anni sono le inchieste di
Francesca Mannocchi per l’Espresso e svariati altri media, di Sergio Scandura
per Radio Radicale, oltre che di alcune tra le principali testate del mondo.
Il trafficante Bija (foto Avvenire) |
Nonostante
la grande mole di informazioni, Bija viene accompagnato in Italia e presentato come «uno dei comandanti della Guardia costiera della Libia», racconta
una fonte ufficiale presente al meeting di Mineo. Quel giorno però accade un imprevisto. Un migrante libico ospitato nel Cara finisce per errore nei pressi del
prefabbricato dove erano attesi Bija,
alcuni delegati del premier Serraj e del Ministero dell’Interno tripolino.
Quando dal minibus di una azienda di servizi turistici della provincia di
Catania sbarcano i libici (almeno sei), l’immigrato
si allontana spaventato: «Mafia Libia, Mafia Libia», dice in italiano.
Le immagini
che oggi pubblichiamo parzialmente per proteggere l’identità di diversi
funzionari italiani presenti a vario titolo, mostrano Abdou Rahman seduto accanto a due suoi connazionali, un
uomo e una donna. Ascolta senza mai proferire parola. Prende nota e ogni tanto
fa cenno all’emissario del ministro dell’Interno del governo riconosciuto di
intervenire. I libici fanno domande
precise: «Quanto vi paga il governo italiano per ospitare ogni migrante qui?
Quanto costa annualmente il Cara di Mineo». Poi, racconta la fonte di Avvenire,
in modo neanche troppo diplomatico «fanno
capire che in fondo il “modello Mineo” si può esportare in Libia e che l’Italia potrebbe finanziare la
realizzazione di strutture per migranti in tutto il Paese, risparmiandosi
denaro e problemi». Da lì a poco parte
l’assedio alle Ong e vengono annunciati interventi dell’Italia e
dell’Europa per aprire campi di raccolta nel Paese nordafricano.
In realtà, ha spiegato l’inviato del Tg1
Amedeo Ricucci nel corso di uno speciale mandato in onda dopo essersi recato di
persona a Zawyah per intervistare proprio Bija appena dopo il viaggio in
Sicilia, «è come se giocassero a guardie e ladri, ma in salsa libica: con i
ruoli degli uni e degli altri che si invertono di continuo a seconda delle
convenienze».
La
trattativa deve essere andata a vantaggio dei trafficanti, se Bija è ancora in
servizio. E anche i governi
che si sono susseguiti hanno continuato a sostenere indirettamente ma
consapevolmente le attività dei boss libici. Diversi testimoni in indagini
penali «hanno dichiarato – si legge nei report dell’Onu – di essere stati
prelevati in mare da uomini armati su una nave della Guardia costiera chiamata
Tallil (usata da Bija, ndr) e portati al centro di detenzione di al-Nasr, dove
secondo quanto riferito sarebbero stati detenuti in condizioni brutali e
sottoposti a torture».
Queste informazioni hanno avuto un inatteso
riscontro proprio nei giorni scorsi. Mentre gli investigatori di Agrigento e Palermo indagavano per arrestate i tre
presunti torturatori camuffati tra i migranti dell’hotspot di Messina, alcune delle vittime hanno raccontato
che a
decidere chi imbarcare sui gommoni era «un uomo libico, forse di nome “Bingi”
(fonetico), al quale mancavano due falangi della mano destra». Secondo
un altro migrante l’uomo era soprannominato “Bengi”, e «si occupava di
trasferire i migranti sulla spiaggia; era lui, che alla fine, decideva chi
doveva imbarcarsi; egli era uno violento ed era armato; tutti avevamo timore di
lui». Quando gli chiedono se qualche volta avesse sentito il suo vero nome, il
migrante risponde con sicurezza: «Lo chiamavano Abdou Rahman». (1-Continua)
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