L’ennesimo
aumento del prezzo dei mezzi pubblici ha scatenato disordini, danni, violenza
e, purtroppo, un ingiustificabile teppismo. Ma il vero malessere si cela dietro
una realtà che molti si ostinano a negare
Una
settimana fa il presidente Sebastián Piñera definiva il Cile «un’oasi pacifica
in un’America Latina in convulsione». Ma da giovedì scorso la frase si è trasformata in una espressione
irreale. L’aumento del prezzo dei mezzi pubblici ha provocato prima la protesta a Santiago, dove si è
evitato di pagare l’autobus in massa, poi, in modo inatteso, tra venerdì e
sabato notte, la protesta è degenerata in caos. Oggi siamo allo stato
d’emergenza in cinque regioni del Paese e col coprifuoco a Santiago,
Valparaíso, Concepción, Coquimbo, La Serena.
Durante la giornata di ieri sono continuati
i saccheggi di supermercati e negozi a centinaia, in decine di casi poi
incendiati. I morti sono una decina. Nella capitale ci sono danni seri a 41
stazioni della metro che resterà chiusa vari giorni. In tutto il Paese gli
arresti superano il migliaio, centinaia i feriti, tra questi 60 poliziotti, una
ventina di bus incendiati. E tutto nonostante il coprifuoco a partire dalle 22
del sabato ed i militari che pattugliano le città e prenderanno in mano la
sicurezza per i prossimi 15 giorni.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è
stato l’aumento dei mezzi pubblici nella
capitale, dove vivono sei milioni di abitanti e per arrivare al lavoro si fanno
fino a due ore di tragitto. L’incremento potrebbe sembrare irrisorio, da
1,13 a 1,17 dollari il biglietto, ma si
aggiunge agli aumenti recenti di acqua e luce, al costoso servizio di sanità, a stipendi e pensioni scandalosamente
bassi. Il 70% delle famiglie fa fatica ad arrivare a fine mese.
Finora la protesta non ha personaggi che la
rappresentino ed ha utilizzato le reti sociali per organizzarsi. L’opposizione, di sinistra, la giustifica,
magari senza condannare troppo la violenza, mentre a destra la si condanna con decisione, ma senza tener conto del
resto. L’assenza di partiti in questa realtà di malcontento sociale non è
insolita: i sondaggi di opinione assegnano ai partiti ora l’ultimo ora il
penultimo posto tra le istituzioni meritevoli di fiducia. Dopo le prime azioni
di disobbedienza, pacifica, come spesso succede, nuclei di violenti sono
apparsi agendo con una violenza ingiustificabile. Non siamo di fronte a casi
isolati e di provocatori.
L’improvvisa trasformazione di migliaia di persone, spesso giovani, in
saccheggiatori è una immagine angosciante. Come se in molti avesse preso
forma la sensazione di non aver nulla da
perdere. Appare qui un dato di fatto: poche ore di scontri sono bastanti al
governo per rinunciare a farsi carico della situazione, credendo fosse
sufficiente mettere in strada le forze armate. In realtà, poco è cambiato e
nemmeno il coprifuoco ha impedito proteste e vandalismo.
Molti, anche tra gli economisti, sono
davvero convinti di vivere in oasi destinata a stare gomito a gomito con i
Paesi ricchi della Ocse. Ma quando si leggono meglio i dati economici la realtà
è ben altra: su un totale di 17,5
milioni di abitanti, 11 milioni sono indebitati e di questi 4,6 milioni sono
morosi e non sanno come fare. Una nota pubblicità in vari mezzi stampa è
quella della «difesa dei debitori» da parte di studi di avvocati. Il 76,5% dei salariati guadagna tra il 50% ed
il 60% di quanto si ha bisogno per vivere ed anche meno. Le statistiche
indicano che al di sotto della soglia
della povertà ci vive il 19% della popolazione, ma se si considerano i
settori vulnerabili, arriviamo intorno
al 30% e più della popolazione con estrema facilità.
Ma la maggiore
difficoltà consiste nel convincere chi – governo compreso – non “vede” il problema delle scandalose
disuguaglianze, che l’attuale sistema economico e tributario sostiene e
incrementa. Uno dei problemi delle disuguaglianze accentuate sta proprio nella
loro “invisibilità” (e non manca chi le giustifichi includendole tra i fatti
naturali o il frutto di meriti e demeriti). Mentre si nega la realtà, le
sperequazioni sono lì, sono evidenti e covano sotto la cenere un malcontento
generale crescente. La politica comincia in queste ore a dare segnali, pochi e
timidi, di voler prendere nota di quanto accade. C’è molto da ricostruire in
questo Paese.
Nessun commento:
Posta un commento