giovedì 13 dicembre 2012

Milano: all’Ortomercato comanda la ‘ndrangheta

da: Lettera 43

Milano, la criminalità nel mercato ortofrutticolo
Dal lavoro nero al riciclo di denaro. All'Ortomercato comanda la 'ndrangheta. E il Comune non si muove.
di Alessandro Sarcinelli

Sotto una pioggia incessante e al buio, le prime ombre si avvicinano a via Lombroso, periferia Est di Milano. Controllano che nelle vicinanze non passi la polizia locale, scavalcano la recinzione di circa tre metri e in pochi secondi si ritrovano all’interno dell’ortomercato. A quell’ora non sono più di cinque; con il passare dei minuti aumentano fino a un centinaio.
Sono i lavoratori in nero, extracomunitari irregolari e guadagnano da cinque a 10 euro al giorno. I compiti svolti sono diversi: scaricano e caricano i camion per conto dei venditori al dettaglio; raccolgono bancali abbandonati da 15 chili per rivenderli a fine nottata a 50 centesimi l’uno; infine acquistano frutta e verdura rovinata a prezzi irrisori per rivenderla ad altri indigenti.

AI CAPORALI I VERI GUADAGNI. I cosiddetti caporali fanno da intermediari tra questa manodopera disperata e i datori di lavoro. Iose Giovanni Dioli addetto alla sicurezza della Sogemi (la partecipata comunale al 99,99% che gestisce l’Ortomercato) li descrive così: «Sono figure istituzionali che da ormai 30 anni forniscono i ragazzi ai venditori e ovviamente guadagnano una barcata i soldi».
Tuttavia i capi-zona sono solo un tassello di un quadro più complesso.

NESSUNA TUTELA PER I LAVORATORI. La convergenza di interessi tra imprenditori e lavoratori in nero è il fattore determinante del dilagare di questo fenomeno: da una parte i primi, grazie al lavoro irregolare, non rispettano nessuna normativa e pagano meno tasse abbattendo così i costi di produzione. Dall’altra le centinaia di ragazzi giunti in Italia in cerca di fortuna che puntano a fare i soldi in fretta; preferiscono avere 100 euro in più a fine mese piuttosto che puntare ai vantaggi di un lavoro regolarizzato.
Inoltre, ignorano del tutto i loro diritti e sono quindi più esposti ai ricatti dei datori di lavoro.

Troppi accessi all'Ortomercato e pochi addetti alla sicurezza

Contrastare meccanismi così radicati è un compito arduo: le troppe porte d’accesso e i pochissimi addetti alla sicurezza rendono particolarmente facile introdursi all’interno dell'Ortomercato senza regolare tesserino.
Tuttavia secondo gli stessi dipendenti Sogemi manca la volontà da parte delle istituzioni di intraprendere questa battaglia.
Dioli ammette: «Se si vuole si può combattere qualsiasi cosa, ma io finché non ho l’imprimatur dall’alto non posso agire».
IL COMUNE CONTRO L'ILLEGALITÀ. L’altro soggetto che ha la responsabilità di tutelare la legalità è il Comune di Milano.
Nell’ultimo mese la polizia locale, con diversi blitz notturni, ha fermato decine di persone mentre scavalcavano; il 5 novembre sono stati effettuati 13 fermi.
«L'intento», ha spiegato l'assessore alla sicurezza Marco Granelli, «è di salvaguardare un'attività così strategica per la città da tutte le forme di illegalità».
DALLA POLIZIA INTERVENTI INUTILI. Tuttavia le attenzioni delle forze dell’ordine si sono sempre concentrate esclusivamente sui ragazzi stranieri, l’ultimo ingranaggio di un meccanismo più grande. A sottolinearlo è ancora Dioli: «Gli imprenditori che sfruttano la disperazione di queste persone per abbassare il costo del lavoro non li ha mai toccati nessuno e gli interventi della polizia locale non servono a nulla se non per essere spesi sui giornali».
Anche David Gentili, consigliere del Partito democratico e presidente della commissione Antimafia del Comune, è consapevole dei rischi: «È una catena che da qualche parte devi spezzare, ma così paga solo l’anello debole».

Il controllo della droga da parte della 'ndrangheta

L'Ortomercato, però, non è solo lavoro illegale. La notte del 5 novembre un marocchino 23enne, trovato all’interno della strutture con 13 dosi di cocaina, è stato arrestato. Chi è a conoscenza delle vicende giudiziarie intorno all'Ortomercato sa che non è un fatto isolato.
Nel 2007 l’operazione «For a king» ha portato al sequestro oltre 200 chili di cocaina. L’Ortomercato si è rivelato la base logistica di un giro d’affari internazionale di 9 milioni di euro: la droga da Buenos Aires arrivava a Milano passando da Dakar.
Il personaggio chiave di questi traffici era Salvatore Morabito, uno dei boss più influenti della ‘ndrangheta, attualmente in carcere; nel 2004 aveva destato sospetto la sua assunzione come facchino da una cooperativa di via Lombroso. E grazie a questa copertura negli anni ha colonizzato un intero piano della Sogemi.
Gli atti processuali parlano di una «completa messa a disposizione oltre che dei locali del terzo piano, anche degli spazi dell’Ortomercato».
LA PIAGA DEI SOLDI RICICLATI. Oltre allo spaccio di droga, l’altro grande obiettivo della criminalità organizzata è il riciclaggio di denaro sporco.
Emiliano Bonomi, presidente della Cooperativa lavoratori Ortomercato (Clo) spiega il meccanismo: «Alla 'ndrangheta basta entrare in una cooperativa che necessita di liquidità per poter immettere nel circuito legale capitali illeciti».
Il caso più eclatante fu quello del Consorzio nuovo Coseli salvato da un buco di 1,3 milioni di euro dallo stesso Morabito.
MENO MISURE DI SICUREZZA. Dal 2007 a oggi altri tentativi di infiltrazione mafiosa hanno interessato l’Ortomercato. Ma come per il lavoro nero, secondo molti per combattere i clan non sono state prese le contromisure necessarie. Al contrario alcuni sistemi di controllo sono stati tolti: una sirena posta all’ingresso segnalava l’arrivo dei camion e permetteva quindi di effettuare controlli sulla merce; da metà Anni 90 non è più in funzione.
Nello stesso periodo, inoltre, i tir hanno smesso di sostare in una zona circoscritta e da allora scaricano dove vogliono. E ora non esiste nessun tipo di vigilanza sulla merce in entrata.
INTIMIDAZIONI DELLA MAFIA. A conferma della presenza capillare della criminalità organizzata ci sono le intimidazioni di cui sono state spesso vittime alcuni soggetti impegnati per la trasparenza e la legalità delle attività.
Il 15 maggio il presidente della Sogemi, Luigi Predeval, ha ricevuto una lettera con minacce di morte. Andò peggio a Dioli, cui, nel 2007, venne bruciata la casa a 50 chilometri da Milano.
Così ancora oggi all’Ortomercato, nascosti tra pomodori e zucchine, arrivano cocaina, armi e borse contraffatte.

Il Comune ha promesso 33 mln per la riqualificazione

Il 16 febbraio una delibera del Comune ha stanziato 33 milioni di euro per la riqualificazione dell'Ortomercato e la riorganizzazione di Sogemi. La giunta di Giuliano Pisapia si era impegnata, inoltre, a presentare entro cinque mesi un piano di sviluppo organico della stessa partecipata.
A metà novembre, nove mesi dopo la delibera, in via Lombroso non è però arrivato neanche un euro. Da palazzo Marino, Gentili lo conferma: «A oggi i soldi per la riqualificazione non ci sono».
Chi lavora da anni in Sogemi deve avere avuto una sensazione di déjà vu: a ottobre 2010, infatti, la giunta di Letizia Moratti aveva stanziato 130 milioni di euro senza un’effettiva attuazione.
SI ATTENDONO SOLDI DAL 1965. A causa di queste delibere fantasma il rinnovamento delle strutture continua a essere rinviato a data da destinarsi. E l’attesa perdura ormai da ottobre 1965, anno d’inaugurazione dell’Ortomercato. In 47 anni nessuna amministrazione è mai riuscita a portare a termine un progetto di rinnovamento concreto e gli effetti sono piuttosto visibili: l’intero impianto elettrico non è a norma e il rischio che un piccolo incendio sfoci in tragedia è una possibilità più che concreta.
NESSUN INTERVENTO DELL'ASL. Inoltre strutture fatiscenti implicano dei sovraccosti notevoli; l’assenza di una catena del freddo e di impianti per la conservazione della frutta in estate comporta una perdita di merce di diversi milioni di euro all’anno.
Infine a causa della gestione attuale è messa a repentaglio anche la qualità stessa dei prodotti: la merce rimane esposta per ore agli scarichi delle centinaia di tir con i motori accesi. Il livello di inquinamento è altissimo, tuttavia l’Asl non è mai venuta a fare un controllo sull’analisi del residuato.
Il futuro del mercato agroalimentare milanese è quindi tutt’altro che chiaro. Gentili non appare diplomatico nel commentare l’operato del Comune: «Abbiamo perso un anno e non si è ancora fatto nulla. Il mercato rimane uno schifo». In attesa della prossima delibera.

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