da:
La Stampa
Il
nuovo divario tra ricchi e poveri passa per la Rete
L’ultima
tappa del nostro viaggio nel futuro si conclude con una sfida: le nuove
tecnologie rendono il mondo più giusto?
di Luca
Indemini
Che i nostri figli non siano mai separati
da un divario digitale: con questo auspicio di Al Gore nel 1996, il concetto di
«Digital divide» è entrato nell’uso comune. Il rischio paventato dall’allora
vice Presidente Usa con il tempo è diventato un problema concreto. Oggi il
divario digitale tra chi ha accesso alle tecnologie dell’informazione (pc e
Internet in primis) e chi ne è escluso, in modo parziale o totale, non riguarda
solo i rapporti tra Nord e Sud del mondo. Molti stati sviluppati ne sono
affetti, con realtà complesse e sfaccettate all’interno di ogni Paese. Italia
inclusa. Che si colloca 12 punti percentuali sotto la media europea
nell’accesso a Internet da casa mediante banda larga (cioè accesso alla rete
con velocità uguale o superiore a 2Mbps): 49% contro il 61%, secondo i dati
Istat 2012. E questo nonostante l’incremento della quota di famiglie che
dispongono di una connessione veloce: dal 14,4% del 2006 al 45,8% del 2011. Ai
primi posti, la Svezia supera l’80%, Danimarca e Paesi Bassi sono al 79%.
Questi stessi Paesi, assieme alla Corea del
Sud, sono ai primi posti dell’edizione 2012 dell’e-Intensity Index, con cui il
Boston Consulting Group misura la propensione all’essere digitale: l’Italia è a
metà classifica a livello mondiale,
con una valutazione pari a 72, contro una
media didi 52. Altri tre valori completano la fotografia a livello nazionale:
il digital divide di base (connessione inferiore a 2 Mbps su rete fissa o su
banda larga mobile) colpisce il 4,8% della popolazione, quello da rete fissa
(colmato dalla tecnologia mobile) sale al 10%. L’Italia si colloca all’80°
posto a livello globale (ultima in Europa) per velocità media di download, pari
a circa 5,8 Mbps.
Per poter superare questo divario è
necessario individuare il digital divide. Forse sarebbe più corretto parlare di
divari digitali, al plurale: oltre a quello tecnologico dell’accesso alle reti,
c’è il divario culturale (carenza di strumenti e competenze per avere accesso
alle reti). Altri «divide» sono legati alle diverse motivazioni di ordine
economico, sociale, culturale, geografico, di genere e ceto. E per colmare tale
gap non basta portare la larga banda, ma è necessario creare il tessuto
connettivo perché possa essere utilizzata. In questa direzione è cruciale il
ruolo giocato dai governi. L’Italia con l’Agenda Digitale si sta muovendo nella
giusta direzione, con una serie di misure pro-digitale nella scuola per
favorire la diffusione delle competenze digitali. Lo stesso provvedimento
prevede stanziamenti mirati a eliminare il digital divide entro il 2013 (320
milioni di euro) e a portare la banda ultra larga (30 e 100 Megabit) nel Sud
entro il 2020 (598 milioni di euro) nel rispetto degli obiettivi dell’Agenda
Digitale europea.
Cruciale il nodo economico: portare la
fibra ottica ha costi molto elevati, giustificati dal raggiungimento di un
ampio bacino di utenza. «Gli operatori di rete sono privati che vogliono fare
business e che seguono identici principi pure nella distribuzione dei router e
delle stazioni di comunicazione sul territorio», spiega a IGF Italia Davide
Vega dell’Universitat Politècnica de Catalunya. Che ha prospettato una
possibile soluzione: il ricorso ai Wireless Community Networ, reti cooperative
gestite e mantenute dagli stessi utenti, che installano antenne non solo per
ricevere, ma anche per rimandare il segnale wireless ad altri utenti. In Italia
l’esperienza più importante è quella di Ninux.org. Altra possibilità per
portare la connettività in territori difficili è l’Open Spectrum, che sfrutta
le frequenze libere o inutilizzate per veicolare radio, Internet, telefonia
fissa e mobile, tv digitale.
Fino ad arrivare alle imprese avventurose e
a basso costo di Daniele Trinchero, ribattezzatto Mr. Wireless, che ha portato
la connettività senza fili sul Monte Rosa, in Amazzonia e in un deserto del
Darfur. Partendo da Verrua Savoia.
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