da: La Stampa
Province
stagnanti
La commissione affari costituzionali del
Senato ha impiegato appena tre quarti d’ora per affossare la riforma delle
province. Ma è il «come» che merita di essere raccontato e ringrazio il lettore
G.P. per il resoconto della riunione. Il presidente della commissione Vizzini
(già segretario del Psdi quando il centravanti del Milan era Van Basten)
esordisce spiegando che il provvedimento è stato oggetto di esame accurato, ma
che la crisi politica e la presenza di emendamenti e subemendamenti da
approfondire rendono arduo il completamento dell’esame. Il senatore Boscetto
(Pdl) condivide e ritiene necessario un rinvio. Il senatore Calderoli (Lega)
rileva che il lavoro di sintesi, encomiabile, non è stato in grado di
individuare una soluzione condivisa. Il senatore Bianco (Pd) ringrazia il
presidente e prende atto con dispiacere che non sussistono le condizioni per
proseguire. Il senatore Milana (Udc) condivide la valutazione del senatore
Bianco e il senatore Pardi (Idv) rileva incongruenze ma auspica. Il presidente
Vizzini prende atto e toglie la seduta.
Non uno che abbia avuto il coraggio di dire
la verità: sono contrario a ridurre le province perché garantiscono posti e
clientele. Tutti pronti, i finti litiganti da talk show, ad arrampicarsi in
cordata sugli arabeschi delle procedure parlamentari pur di vanificare, senza
assumersene la responsabilità, l’unico provvedimento che tentava di cambiare
finalmente qualcosa. Questo sconcio balbettio viene chiamato comunemente
politica, ma ne rappresenta l’esatto contrario. La politica è acqua tumultuosa
ricondotta negli argini, non stagno dove galleggiano i tronchi marci dei nostri
ideali.
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